Nell’aprile 1968 il mensile Hadassah Magazine ospitava una entusiastica recensione di una nuova opera di Salvador Dalì: “Aliyah, The Rebirth of Israel” (Aliyah, la Rinascita di Israele). Si trattava di litografie commissionate a Dalì dalla Shorewood Publishers in occasione del ventesimo anniversario della nascita di Israele, che cadeva proprio nell’aprile 1968. Le opere sono state esposte all’Huntington Hartford Museum e poi vendute a privati.
Su Hadassah Magazine di allora si poteva leggere “Una storia epica del ritorno del popolo ebraico in patria – espressa in 25 disegni audaci, drammatici ma sensibili, schizzi e acquerelli del maestro surrealista Salvador Dali – sarà presto aggiunta al tesoro artistico di Israele e di musei e collezionisti in tutto il mondo. Appropriatamente intitolato “Aliyah, The Rebirth of Israel”, la serie di dipinti cattura lo spirito degli ebrei fin dai primi giorni dell’esilio e per quasi 2.000 anni nella diaspora, fino al loro ritorno definitivo nella loro amata terra di Israele.
Abbracciando un ampio spettro di sentimenti, dall’allegria al dramma profondo alla tragedia, culmina nel trionfo della giustizia e nella gioiosa restaurazione della nazione“.
L’incipit della recensione pubblicata sul magazine lasciava intendere un grande trasporto dell’artista nel rappresentare l’epopea del popolo ebraico e il ritorno in Eretz.
Questa curiosità potrebbe far pensare ad un legame tra Dalì e l’ebraismo, che sarebbe però smentito da certe simpatie palesate dal pittore nei confronti di dittatori antisemiti come Francisco Franco e soprattutto Adolf Hitler. Lo stesso Dalì era stato accusato di antisemitismo. E’ anche vero, però, che lo stesso Dalí considerava illustri ebrei come Sigmund Freud e Albert Einstein quali fonti di ispirazione e ha mantenuto un’amicizia e produttiva collaborazione trentennale con il fotografo ebreo lettone-americano Philippe Halsman.
Secondo il sito web della Fondazione Salvador Dalí “Per illustrare i vari significati della parola ebraica ‘Aliyah’, che significa letteralmente ‘migrazione verso la terra di Israele’, l’artista si è ispirato all’Antico Testamento e alla storia contemporanea”.
Antisemita o appassionato di ebraismo e delle vicende del popolo ebraico?
A fare chiarezza su Dalì ha provato David Blumenthal, che ha curato un’esposizione delle stampe della serie Aliyah: sono state 250 quelle realizzate dalla Shorewood. “Io non credo che Dalì fosse razzista, antisemita, comunista, socialista, fascista o altro. Era un artista. Sapeva assorbire tutto quello che lo circondava e ributtarlo fuori completamente trasformato“.
Aveva ragione George Orwell, che di Dalì ha scritto “Si dovrebbe cercare di tenere sempre in mente che Dalì è un ottimo disegnatore, ma un essere umano disgustoso”, oppure la personalità dell’artista è stata davvero misteriosa e dalle mille sfaccettature?