Suona una musica americana diversa all’ONU da quando Nikki Haley è l’ambasciatrice degli USA al Palazzo di Vetro. Resta ancora fresca nella memoria la sessione del Consiglio di Sicurezza del 23 dicembre 2016, quando l’uscente Amministrazione Obama infierì il suo colpo alla schiena a Israele con la Risoluzione 2334, il peggiore documento contro lo Stato ebraico uscito dal Consiglio di Sicurezza negli ultimi decenni.
Obama regalava sorrisi suadenti e veleno distillato, soprattutto nei confronti del principale alleato degli USA in Medioriente sul quale, negli otto anni in cui restò alla Casa Bianca, venne riversato tutto l’onere della responsabilità per un conflitto che dura dai primi anni del secolo e la cui principale causa è sempre la stessa: il rifiuto arabo-musulmano nei confronti di uno stato Ebraico sorto su un territorio considerato islamico per l’eternità.
Ieri, al Consiglio di Sicurezza, gli USA hanno posto il loro veto su una risoluzione arrivata già cadavere, la quale stigmatizzava la decisione americana di dichiarare Gerusalemme capitale di Israele e, conseguentemente, di trasferirvi la propria ambasciata. Appoggiata da quattordici paesi che hanno il diritto di voto, tra cui l’Italia, la risoluzione è stata subito affossata, o meglio infossata.
E’ chiaro il nuovo assetto. Gli USA di Trump marciano secondo direttive che quando e se li contrappongono all’Europa o al resto del mondo, li lasciano sostanzialmente indifferenti. No, non si tratta di sprezzo o di isolazionismo altezzoso, ma di un riassestamento radicale della politica multilaterale di Obama tutta fondata su un canto e controcanto di (perlopiù) mutue intese, di armonizzazioni finalizzate a un comune orizzonte di pace e concordia anche con stati canaglia e terroristi come l’Iran.
Nel documento reso pubblico lunedì dall’Amministrazione Trump sulla piattaforma strategica della sicurezza nazionale USA, un documento che malgrado i riferimenti più retorici che altro alla priorità degli interessi dell’America su tutto il resto, mette in luce un saldo impianto tradizionale repubblicano, tutto questo è esplicito.
Il mondo è raffigurato per quello che è, un insieme di contrapposizioni che se non regolate con fermezza condurrebbero ad una anarchia diffusa. Le principali minacce agli interessi USA sono ripartite tra “competitor strategici” come la Russia e la Cina e stati canaglia come la Corea del Nord e l’Iran, con tutta la costellazione delle organizzazioni terroristiche transnazionali. In questo contesto le alleanze militari e la cooperazione con altri stati, sono una parte importante e necessaria.
In questo scenario Israele è, ovviamente, il principale baluardo in Medioriente contro il terrorismo islamico nelle sue varie rappresentanze, da Hamas a Hezbollah, alle Guardie Rivoluzionarie iraniane, per includervi tutte le sigle terroriste sunnite con in testa l’ISIS, che si sono date convegno in Siria negli ultimi anni.
Dopo la dichiarazione su Gerusalemme capitale di Israele, preparata accuratamente nel corso di molti mesi di diplomazia e riscontri e con il puntello non ufficiale dell’Arabia Saudita e degli emirati arabi (con l’eccezione del Qatar) in funzione anti-sciita, gli USA e Israele hanno ritrovato una robusta vicinanza di obbiettivi e priorità inevitabilmente affini, la quale certifica apertamente un asse occidentale ben preciso.
Occidentale nei valori e nella netta contrapposizione alle teocrazie, alle dittature, alle satrapie per le quali l’ordine liberale e democratico su cui è costituito l’Occidente, è da abbattere. L’Europa filoaraba e propalestinista a guida francese nata alla fine degli anni Sessanta, l’Europa a targa Mogherini e filoiraniana (e in un recente articolo Giulio Terzi di Sant’Agata, ha spiegato bene quali sono gli intrecci economici che legano l’Italia all’Iran), non è certamente la più atta ad avere questo ruolo.
“America First”, declinato al di fuori della sloganistica elettorale, significa fondamentalmente, “Western values first”, ovvero tutto il bagaglio di libertà, di spazi culturali e civili, di pluralismo, che gli Stati Uniti hanno sempre garantito e di cui, in Medioriente, solo Israele è il titolare.
Il veto americano all’ONU contro una risoluzione negatrice della realtà, (Gerusalemme è da settanta anni la capitale di Israele), raddrizza la barra USA dopo l’ignobile Risoluzione 2334 di un anno fa votata dall’Amministrazione Obama, non a caso qualificata dalla Haley come “una macchia sulla coscienza americana”, ne rappresenta il benvenuto contrappasso.