Islam e Islamismo

Dentro la mischia: Decertificare l’Iran – un imperativo morale. E adesso?

Come dimostrato dall’esperienza del 2003, l’Iran si limiterà ad abbandonare il suo programma nucleare se si trovasse di fronte a ciò che avverte come una tangibile minaccia militare

In un grande Paese con diversi impianti nucleari e una lunga esperienza in fatto di dissimulazione, le violazioni saranno intrinsecamente difficili da rilevare. Mettere a punto modelli teorici di ispezione è una cosa. Garantire l’osservanza, settimana dopo settimana, nonostante le grosse crisi internazionali e le distrazioni interne, è un’altra. Qualunque segnalazione di una violazione potrebbe innescare un dibattito sul suo significato – o addirittura nuovi colloqui con Teheran per esaminare la questione.

Henry Kissinger and George Shultz, Wall Street Journal, April 7, 2015.

nel 2015, il Congresso ha approvato l’Iran Nuclear Agreement Review Act per far sì che la voce del Congresso sarebbe stata ascoltata. Tra l’altro, la legge prevede che il Presidente, o chi da lui designato, certifichi che la sospensione delle sanzioni, secondo quanto deciso, sia appropriata e commisurata (…) alle misure adottate dall’Iran per porre fine al suo programma nucleare illecito. Basandomi sui fatti (…) annuncio oggi che non possiamo effettuare questa certificazione e non lo faremo. Noi non continueremo lungo un percorso la cui prevedibile conclusione è più violenza, più terrore e la minaccia davvero concreta di una svolta nucleare dell’Iran.

Presidente Donald Trump, 13 ottobre 2017

Venerdì 13 ottobre, il presidente americano Donald Trump ha rifiutato di certificare “l’accordo” sul nucleare iraniano firmato a Vienna il 14 luglio 2015 tra l’Iran, i Paesi del cosiddetto gruppo “5+1” (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania) e l’Unione Europea.

Denominato in modo decisamente inappropriato “Piano Congiunto di Azione Globale” (JCPOA), “l’accordo” è – come vedremo – tutt’altro che “globale”. Inoltre, potrebbe difficilmente definirsi un “piano di azione” e sarebbe più appropriato denominarlo un “piano di inazione”.

Decertificazione: L’imperativo morale

In effetti, decertificando il JCPOA, Trump ha ottemperato agli obblighi di legge, ai sensi dell’Iran Nuclear Agreement Review Act (INARA).

Approvato subito dopo la firma del JCPOA, l’INARA obbliga (tra l’altro) il Presidente a decidere, almeno ogni 90 giorni, se certificare che

– l’Iran si sta attenendo all’accordo

– l’Iran non ha commesso una grave violazione dell’accordo

– l’Iran non ha intrapreso azioni che possono indicare che abbia portato avanti il suo programma di sviluppo delle armi nucleari e

– la sospensione delle sanzioni contro l’Iran sia appropriata e commisurata alle misure adottate dall’Iran per porre fine al suo programma nucleare illecito e vitale per gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

Alla luce delle gravi inadempienze dell’Iran è chiaro – o almeno dovrebbe esserlo – che nessun presidente americano potrebbe, in buona fede, certificare che l’Iran abbia agito conformemente agli impegni assunti con la firma del JCPOA o che la rinnovata adesione all’accordo da parte degli Stati Uniti – in particolare la sospensione delle sanzioni contro l’Iran – sia “vitale per gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti”.

Dopotutto, come si potrebbe certificare che l’Iran agisce conformemente agli impegni assunti per non “portare avanti il suo programma di sviluppo delle armi nucleari” o che non ha commesso “una grave violazione dell’accordo”, quando questo è impossibile da verificare, dato che Teheran ha vietato agli ispettori internazionali l’accesso ai propri siti militari – proprio quei siti in cui si potrebbe sospettare che si concentrino gli sforzi iraniani per sviluppare un programma nucleare militare.

Ma probabilmente ciò che è ancor più sorprendente e sconcertante è la rivelazione dell’esistenza di “accordi collaterali segreti” tra l’Iran e soggetti terzi, dei quali gli Stati Uniti non ne sono a conoscenza e ai quali non hanno aderito – e pertanto non si ha la più pallida idea dell’impatto che essi potrebbero avere o come potrebbero pregiudicare l’attuazione o l’adesione al JCPOA. In genere, si tratta di “accordi” sottoscritti tra l’Iran e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA o IAEA), l’ente internazionale preposto a condurre ispezioni negli impianti nucleari iraniani. La cosa incredibile è che, in alcuni casi, questi accordi consentono all’Iran di effettuare proprie ispezioni negli impianti. Inoltre, l’AIEA è obbligata a conservare la maggior parte delle informazioni confidenziali raccolte e a non condividerle con le altri parti – compresi gli Stati Uniti.

Della serie “la realtà supera la fantasia”!

Non meno invalidante ai fini di un’efficace attività di ispezione – e quindi della capacità del presidente americano di certificare il rispetto dello spirito dell’accordo da parte di Teheran – è il fatto che se si sospetta un’attività illecita, occorre dare all’Iran un preavviso di settimane, offrendogli la grande opportunità di occultare o di sbarazzarsi di qualsiasi prova incriminante. Peggio ancora, il sospetto che gli iraniani abbiano tenuto un comportamento disdicevole deve essergli debitamente motivato, rischiando così di svelare le fonti di intelligence che hanno fornito informazioni utili!

In effetti, queste assurdità del JCPOA sono state rilevate dal premier israeliano Benjamin Netanyahu in un discorso davanti alla Knesset il giorno dopo la firma dell’accordo: “È come dare a un’organizzazione criminale dedita al traffico di droga 24 ore di tempo prima di ispezionare il suo laboratorio per la produzione di droga. (…) L’accordo impone anche alle potenze mondiali (…) di dimostrare all’Iran quella stessa intelligenza per la quale desiderano innanzitutto condurre le ispezioni”.

Un “Piano di inazione non globale”

A dire il vero, Donald Trump non mi è mai andato a genio. Anzi, senza voler essere troppo sprezzante, a mio avviso, il suo indiscutibile vantaggio è che lui non sia…Hillary Clinton.

Detto questo, il discorso di decertificazione è stato innegabilmente rimarchevole. Trump ha offerto un’efficace panoramica sulla condotta illecita iraniana: la violazione da parte di Teheran delle quote stabilite per la produzione di acqua pesante e l’operatività delle centrifughe più avanzate; le intimidazioni nei confronti degli ispettori intenti a svolgere efficacemente il loro lavoro; le violazioni delle risoluzioni internazionali riguardanti il suo programma di sviluppo di missili balistici; il fomentare disordini “in tutto il Medio Oriente e altrove”, e ultimo ma non meno importante, la sponsorizzazione del terrorismo in tutto il mondo.

In questo, Trump ha dimostrato in modo convincente che l’Iran non solo ha violato lo spirito, ma anche la lettera del JCPOA. Ma al di là di questo, egli non ha soltanto mostrato quanto sia terribilmente non globale questo cosiddetto piano “globale”, ma anche i gravi pericoli della mancanza di azione che il presunto “piano di azione” necessariamente implica.

In effetti, senza voler spingere i parallelismi storici troppo lontano, alcune parti del discorso di Trump richiamano alla mente il severo monito di Winston Churchill nel suo epico racconto della Seconda guerra mondiale, The Gathering Storm-L’Addensarsi della tempesta (Vol. I), in cui lo statista avvertiva: “…se non volete combattere quando la vittoria è sicura e non troppo sofferta, allora pensate a quando arriverà il momento in cui dovrete combattere con tutte le circostanze contrarie e solo un’incerta possibilità di sopravvivere”.

Esprimendo sentimenti incredibilmente simili, Trump ha sottolineato che “la storia ha mostrato che più ignoriamo una minaccia, più questa minaccia diventa pericolosa. (…)Noi non continueremo lungo un percorso la cui prevedibile conclusione è più violenza, più terrore e la minaccia davvero concreta di una svolta nucleare dell’Iran”.

Trump ha circostanziato le violazioni dell’Iran per giustificare la sua decisione di astenersi dal certificare il JCPOA: “La nostra politica si basa su una valutazione lucida della dittatura di Teheran, della sua sponsorizzazione del terrorismo e della sua continua aggressione in Medio Oriente e in tutto il mondo. (…) Basandomi sui fatti che ho esposto, annuncio oggi che non possiamo effettuare questa certificazione e non lo faremo”.

Naturalmente, questa sequela di negligenze da parte di Teheran evidenzia come sia irrimediabilmente inefficace l’intero edificio del JCPOA. Infatti, limitando la sua pertinenza al programma nucleare iraniano (e anche in questo caso in modo inadeguato), essa consente di fatto alla teocrazia islamista di seminare caos in qualsiasi altra sfera a proprio piacimento, senza incorrere in alcuna sanzione prevista dall’accordo non verificabile sul nucleare.

Per capire quanto sia assurdo il JCPOA, basta immaginare di raggiungere un accordo con un vicino belligerante che si impegna in futuro a non attaccare voi e la vostra famiglia con armi da fuoco, ma che è libero di colpirvi con coltelli o con mazze, di impalarvi e di trafiggervi con delle frecce. Peggio ancora, non solo il vicino è libero di farlo senza aver paura delle conseguenze, ma addirittura voi siete d’accordo nel finanziare la sua scorta di coltelli, mazze, lance e frecce.

Per quanto ridicolo possa sembrare, questo è in linea di massima ciò che Trump avrebbe dovuto certificare venerdì 13 ottobre, ed è stato biasimato da alleati e avversari per non averlo fatto.

Pensate un po’.

La futilità di “aggiustare”, la necessità di “bocciare”

Se la decertificazione del JCPOA è inevitabile e imperativa, non è di per sé una strategia alternativa. Di fatto, anche la stessa amministrazione Trump si è preoccupata di chiarire che, di per sé, la decertificazione non implica automaticamente che – nonostante tutte le critiche rivolte all’accordo – gli Stati Uniti lo abbandoneranno.

Questa è una posizione rischiosa da adottare, come quella di un uomo che ha un piede sul molo e l’altro in barca, e non può essere mantenuta a lunga. In effetti gli Stati Uniti devono fare una scelta precisa per rispettare la posizione ferma che hanno assunto: cercare di aggiustare il difettoso JCPOA o bocciarlo.

Ogni analisi minimamente realistica porterebbe rapidamente alla conclusione che ogni tentativo di aggiustare l’accordo (ossia introdurre delle procedure di ispezione molto più intrusive ed imporre misure sanzionatorie molto più ampie e rigorose per l’impudente condotta iraniana) è inutile.

Chiaramente, questo richiederebbe forti dosi di infondato e illimitato ottimismo per credere che l’Iran potrebbe essere indotto dalle pressioni diplomatiche a sottomettersi a un regime più rigoroso di ispezioni/sanzioni rispetto a quello attualmente previsto dal JCPOA. Dopotutto, se i Paesi del gruppo “5+1” hanno rinunciato a imporre misure coercitive più drastiche di fronte a un Iran più debole e povero, che motivo c’è di credere (e cosa più importante, perché dovrebbe farlo Teheran) che ora terrebbero testa a un Iran più ricco e più forte???

Questa spiacevole prospettiva ci lascia soltanto un’altra opzione: la necessità di abbandonare il JCPOA nella sua interezza, il che potrebbe accadere in ogni caso. Perché, come prevede Suzanne Maloney della Brookings Institution: “La decertificazione corrode la legittimità dell’accordo (…) [essa] verrà meno lentamente”.

Decertificazione – e adesso?

E allora, come affronterebbero una realtà post-JCPOA gli Stati Uniti (e Israele)? Quali strategie sono disponibili per evitare che una buona iniziativa peggiori la situazione?

Secondo i suoi sostenitori, il JCPOA è stato il migliore accordo possibile. Questa è chiaramente un’affermazione insostenibile, a meno che l’assunto di base sia che le uniche alternative fattibili sono quelle che l’Iran si degnerà di accettare.

Tuttavia, se la motivazione non è quella di accontentare gli ayatollah, ma di coartarli o rimpiazzarli, le alternative sono chiare.

La prima di queste opzioni è quella di rafforzare le sanzioni americane, misura accompagnata da una credibile minaccia di un’azione militare volta a distruggere gli impianti nucleari iraniani e le loro infrastrutture.

Per quanto concerne l’efficacia di una simile alternativa inesorabile, è opportuno rammentare agli scettici gli eventi del 2003, quando l’Iran ridusse il suo programma nucleare dopo che l’invasione dell’Iraq [da parte della coalizione] guidata dagli Stati Uniti fece capire alla Repubblica islamica che la presenza militare americana rappresentava una minaccia tangibile.

Di conseguenza, “l’Iran accettò di sospendere le sue attività di arricchimento dell’uranio e di ratificare un protocollo aggiuntivo che imponeva all’Iran di fornire una dichiarazione esaustiva sulle sue attività nucleari e concedeva all’AIEA maggiori diritti di accesso ai siti del paese”.

Ma una volta scomparsa la minaccia, Teheran annullò questo accordo e tornò ad accelerare il suo programma nucleare.

L’unica alternativa efficace per costringere gli ayatollah ad abbandonare il loro programma nucleare è rimpiazzarli – ossia indurre un cambiamento di regime. Purtroppo, proprio come si è ridotta notevolmente la possibilità (o almeno, è aumentato notevolmente l’onere) di costringerli a rinunciare agli armamenti nucleari, così si sono ridotte le prospettive per un cambiamento di regime. Nelle parole di  una famosa espatriata iraniana: “L’accordo di Vienna [ossia il JCPOA] rappresenta un pericolo molto serio per la società civile iraniana. Non solo la loro situazione economica non migliorerà, ma il regime avrà anche un incentivo per abusare più drasticamente dei diritti umani. Una valanga di soldi finisce nelle tasche di questa leadership. Sarà utilizzata per stringere la presa [sul potere] e per imprigionare, torturare e uccidere innocenti iraniani”.

Così, a due anni dalla firma dell’accordo, il JCPOA ha realmente raggiunto l’obiettivo di dare militarmente potere alla tirannia iraniana, di arricchirla economicamente e rafforzarla politicamente – per niente più che un discutibile ritardo nell’acquisizione di micidiali armamenti nucleari.

Ecco perché la decertificazione null’altro è stata se non un imperativo morale.

Questo articolo, ripubblicato con l’autorizzazione dell’autore, è apparso anteriormente sul Jerusalem Herald, in data 21 ottobre 2017 come Sherman, Martin. “INTO THE FRAY: Decertifying Iran- A Moral Imperative. But Now What?” The Jerusalem Herald | Israeli news analysis | Jerusalem, The Jerusalem Herald, 21 Oct. 2017.

Traduzione in italiano di Angelita La Spada.

Qui l’articolo originale in lingua inglese

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