Prima o poi doveva accadere, inutile fingersi stupiti o scandalizzati. La “bravata”, perché così è stata definita da tanti, troppi tifosi, ha radici lontane ed è il risultato di un ambiente ormai marcio. Parliamo delle figurine di Anna Frank con la maglia della Roma, ideate dai tifosi rivali della Lazio per offendere i “cugini” giallorossi. Ed è facile anche immaginare che abbiano colto nel segno. Alcuni romanisti si saranno risentiti, rispondendo “Anna Frank ci sarete voi”, perché questo è il clima che si respira nelle curve, quei settori degli stadi occupati dalle frange più “calde” della tifoseria: gli ultras.
In quel mondo, nel mondo delle curve, l’antisemitismo non è solo diffuso: è socialmente accettato, considerato una sorta di status symbol. Un marchio di fabbrica. Qualcosa da sbandierare con fierezza per sentirsi integrati nell’ambiente. “Ebreo” è un vocabolo usato per insultare, con colpevole inconsapevolezza, senza alcuna reale intenzione di riferirsi al popolo ebraico e alla cultura ebraica, perlomeno inizialmente. Ma è proprio qui che arrivano i problemi: insistendo nell’insultare gli ebrei, il sentimento antisemita si propaga pericolosamente e con estrema naturalezza. La stessa adottata dai tifosi laziali nel considerare il paragone con Anna Frank un insulto.
Quando ci riferiamo alle curve degli stadi, parliamo di ambienti frequentati anche da ragazzini, spesso minorenni non accompagnati, facilmente influenzabili e soprattutto desiderosi di inserirsi in un contesto, in un “giro”. Ansiosi di assumerne le usanze, i riti, la subcultura. Di diventare veri ultras. Per essere tali, l’insulto agli ebrei è un dogma irrinunciabile. Ed è il primo passo verso l’antisemitismo, la considerazione radicata e profonda che gli ebrei siano “il male”.
Sarebbe esagerato ipotizzare che l’antisemitismo nasca e si sviluppi esclusivamente negli stadi. Ci sono tanti altri contesti, in primis politici, che contribuiscono alla radicalizzazione e diffusione del sentimento anti-ebraico e dell’insulto all’ebreo come ostentazione fine a se stessa. Le curve degli stadi, però, sono realtà particolarmente frequentate e gradite da giovani, studenti, minorenni in cerca di un’identità (anche politica) e con una personalità ancora da formare.
Questi giovani, frequentando le curve, apprendono e assimilano ciò che possiamo vedere nelle foto
Striscioni, scritte sui muri, slogan che prima divertono i ragazzini e poi si insinuano nella mente, come convinzioni radicate.
Romanisti che credono di insultare laziali a colpi di “Laziale non magia maiale, élite giudea” O “Anna Frank (sempre lei n.d.r.) tifa Lazio”. Laziali che rispondono con “La storia è sempre quella, sul petto vuoi la stella (di David n.d.r.)” o “C’è chi tifa Lazio e kippah Roma”. Interisti che espongono uno striscione contro i milanisti, da brividi: “Milanisti ebrei, stessa razza stessa fine”. E il gettonato coro dei tifosi della Juventus che per insultare i rivali della Fiorentina intonano “i viola non sono italiani ma sono una massa di ebrei”.
Non sono episodi isolati ma scene che si ripetono ogni weekend ad ogni partita di calcio. Riferimenti ai forni, insulti agli ebrei o ai simboli dell’ebraismo. E anche implicazioni geopolitiche.
Chi onora la memoria degli ebrei morti nei campi di concentramento troppo spesso non rispetta gli ebrei vivi, figuriamoci chi non onora neppure la memoria delle vittime della Shoah. Ecco quindi che l’antisemitismo inizialmente guascone e grossolano da stadio si trasforma in odio per Israele (per gli ebrei vivi, appunto) e rivendicazioni politiche a favore della Palestina, senza alcuna conoscenza dei fatti del Medio Oriente. Se antisemitismo e antisionismo sono quasi sempre sovrapponibili, negli stadi sono praticamente indifferenziati.
“Romanista sionista”, inutile specificarlo, è un insulto al pari di “romanista ebreo”. Ma anche i romanisti non si fanno pregare: “Laziali sionisti”, “Laziale ebreo” e l’ignobile “Lazio-Livorno: stessa iniziale stesso forno”. Ma ancora: “Ecco la tua stella romanista ebreo”. E milanisti definiti ebrei dagli interisti.
La banalizzazione dell’antisemitismo degli stadi, mai combattuto, ha prodotto questi risultati
Un utente su youtube commenta un video su Filippo Inzaghi (coincidenza: fratello dell’attuale allenatore della Lazio, Simone) che per tre volte non passa la palla all’allora compagno di squadra nella Juve Alessandro Del Piero. Secondo tale utente Inzaghi sarebbe un “ebreo”.
E gli ultras della Roma come hanno commentato la vicenda delle figurine di Anna Frank distribuite dagli “odiati” laziali”? Solidarizzando con… i rivali.
La pagina facebook “Anche se tutti noi no Asr (Associazione Calcio Roma n.d.r.)” ha parlato di “repressione” e “sterile polemica mediatica”, mostrando con orgoglio uno striscione antisemita della tifoseria giallorossa: “Voi biancoblù come loro” e poi una stella di David. Rectius: siete come gli ebrei.
Infine, gli ultras dell’Ascoli che si rifiutano di aderire al minuto di riflessione proposto dalla Lega Calcio.
Tutto questo, ovviamente, è pericoloso. Perché gli stadi possono diventare il primo megafono dell’antisemitismo. Sono luoghi dove gli insulti agli ebrei sono tollerati, ostentati, urlati spesso con sincero odio.
Poco possono fare allenatori, calciatori, presidenti. Ancor meno il presidente della Lazio, Claudio Lotito, in visita oggi alla sinagoga di Roma per deporre una corona di fiori. Al telefono ha detto “non valgono un cazzo questi qua”, riferendosi a chi lo avrebbe accolto in assenza del rabbino e del vice-rabbino di Roma. E ancora “Andiamo a fare questa sceneggiata”.
Devono intervenire le istituzioni, ad ogni livello: politico, scolastico e culturale. Non si può insistere nell’ignorare una realtà fin troppo conosciuta e certo non si può pensare di addossare tutte le colpe ad una sola squadra o tifoseria, in questo caso la Lazio. Che certo, innocente non è.