Il recente ritrovamento presso la Biblioteca Nazionale di Israele di un telegramma scritto da Heinrich Himmler e destinato ad Amin al-Husseini riporta alla ribalta il legame tra il partito nazista e quello che all’epoca era riconosciuto come la principale autorità musulmana in ambito palestinese.
Amin-al-Husseini fu uno dei più solerti promotori dello sterminio ebraico indiscriminato. Si attivò sempre in prima persona e senza consiglieri, come quando si assicurò che 5000 bambini ebrei che Himmler voleva emigrassero in Palestina in cambio del rilascio di 20,000 prigionieri tedeschi, finissero nelle camere a gas. D’altronde aveva personalmente rassicurato il Führer che ci avrebbe pensato lui a fornirgli una Palestina judenfrei, “Tu ammazzali in Europa io provvederò ad ammazzarli qui”. Hitler sembrò soddisfatto dell’intesa. Riconosceva già da tempo una certa affinità con l’Islam, ne ammirava la virtù guerriera. Lo spirito “volkish” che animava l’Umma non gli era certo indifferente. Nell’estate del 1942, un reparto speciale delle SS era di stanza a Cipro in attesa che Rommel tornasse vittorioso dal teatro bellico del Nord Africa. A quel punto avrebbe raggiunto gli alleati arabi per aiutarli nella shoah palestinese.
Nel 2015 fece scalpore la dichiarazione di Benjamin Netanyah, secondo il quale era stato il Mufti a proporre a Hilter la Soluzione Finale. Questo strafalcione a cui molti indignati si appigliarono per accusare il premier israeliano di insipienza storica, in realtà evidenziava un fatto irrefutabile, l’amorevole concordanza tra zelo omicida nazista e musulmano quando si trattava degli ebrei e la sua continuità.
Pierre André Taguieff ha ben illustrato come l’antisemitismo sia in grado di superare barriere ideologiche e culturali, (estrema destra, estrema sinistra, tradizionalismo, anarchismo) per unire fortemente laddove altro separa. Amin al Husseini rappresenta un raccordo emblematico tra Oriente e Occidente, una vera e propria testa di ponte islamica per la propaganda nazista. Islamismo e nazismo. Un gemellaggio naturale per al Husseni.
Scrive Matthias Küntzel nel suo studio seminale, Jihad and Jew Hatred, “Come presidente del Concilio Superiore Islamico (al-Husseini) era la più alta autorità religiosa. Cercò strenuamente di usare la propria posizione religiosa per islamizzare l’antisionismo e fornire una motivazione religiosa per l’odio nei confronti degli ebrei”.
L’ebreo responsabile della decadenza dei costumi, soggetto portatore di patologie culturalmente degenerative, nemico della morale, nonché cospirazionista, era il fantoccio agitato dal Mufti davanti alla folla araba, lo stesso che veniva agitato da Hitler nel medesimo periodo.
Nel 1940, al-Husseini scriveva, “La Germania e l’Italia riconoscono il diritto dei paesi arabi di risolvere la questione degli elementi ebraici…nello stesso modo in cui la questione ebraica è stata risolta in Germania e in Italia”. Il terreno era già stato ampiamente preparato. Nel 1938, in occasione della “Conferenza Parlamentare dei paesi arabi e musulmani” promossa dai Fratelli Musulmani, vennero distribuite ai partecipanti versioni in arabo del Mein Kampf e dei Protocolli dei Savi di Sion.
Fu il Mufti che nel periodo che va dal 1936-39 istigò la rivolta contro l’immigrazione ebraica in Palestina, grazie a fondi provenienti dalla Germania. Ma non tutti i palestinesi erano dalla parte di al Husseni. C’era chi, tra gli arabi, riteneva che con gli ebrei un accordo fosse possibile. Costoro venivano considerati traditori dalle bande del Mufti ed eliminati fisicamente (ciò che accade oggi da parte di Hamas nei confronti di quei palestinesi che vengono accusati, senza alcuna prova, di collaborazionismo con Israele e giustiziati sommariamente).
“La rivolta palestinese del 1936-39 fu anche un assalto contro gli oppositori del Mufti. Ci furono più omicidi all’interno della fazione palestinese di quanti ne vennero perpetrati contro gli ebrei e gli inglesi”, come scrive Abraham Ashkenasi nel suo Der Mufti von Jerusalem (Dopo la vittoria di Hamas a Gaza nel 2007, il regolamento di conti con Fatah costò 118 morti e più di 500 feriti).
E’ interessante notare che quando gli inglesi agirono con determinazione per sedare la rivolta, Der Volkische Beobachter, foglio di propaganda nazista, stigmatizzò la brutalità inglese nei confronti dei…”combattenti della libertà” palestinesi. I “combattenti della libertà”. Tali e quali anche per la sinistra terzomondista di ieri e di oggi, a riprova di quanto siano accurate le analisi di Taguieff.
Il gemellaggio ideologica tra nazismo, islamismo e sinistrismo è monozigote quando si tratta di rappresentare Israele come l’oppressore e i palestinesi come le vittime. Esso giunge all’oscenità di un’inversione semantica ripugnante, quella di nazificare Israele. Basta leggere la Carta di Hamas per vedere dove si trova il nazismo, il suo legato. Di nuovo lasciamo parlare Amin al-Husseini, “Il diritto dei paesi arabi di risolvere la questione degli elementi ebraici nello stesso modo in cui la questione ebraica è stata risolta in Germania”.
I volonterosi esecutori del lascito hitleriano sono sempre all’opera.