Due fatti recenti – in aggiunta ai colpi di coda della mediocre amministrazione americana uscente e alle condanne in automatico di organizzazioni notoriamente poco imparziali come ONU e UE – hanno riportato l’attenzione dei mezzi di informazione sui cosiddetti “insediamenti” israeliani nel “West Bank”: lo sgombero della comunità ebraica di Amona e l’approvazione da parte della Knesset del Regulation Bill. I due eventi sono legati a doppio filo.
Per la terza volta nella storia dello Stato di Israele un insediamento ebraico è stato sgomberato. In tutti e tre i casi il capo del governo era (ed è) di centrodestra. Capitò nel 1982 alla comunità di Yamit, nel nord del Sinai (Menachem Begin); nel 2005 alla comunità di Gush Katif, nella striscia di Gaza (Ariel Sharon); oggi – la demolizione delle abitazioni è in corso in questi giorni – a quella di Amona (Benjamin Netanyahu). Quest’ultimo sgombero è avvenuto in seguito ad una sentenza della Corte Suprema di Gerusalemme risalente al 2006. La denuncia di “illegalità” fu presentata da due ONG (Peace Now e Yesh Din). Negli anni a seguire vi sono state battaglie legali ed indagini che hanno infine portato alla decisione di pochi giorni fa. Il presupposto giuridico alla base dello sgombero è il fatto che gli abitanti di Amona abbiano costruito, a partire dal 1995, la propria comunità in parte anche su terreni di “proprietà privata palestinese”. Di qui l’ordine di evacuare la popolazione e demolire ogni costruzione. Il caso Amona ha fatto molto discutere l’opinione pubblica israeliana. Da un lato chi rivendicava giustamente il fatto che in Israele prevale sempre lo stato di diritto, quali che siano le parti in causa, dall’altro chi contestava la decisione della Corte. Le critiche riguardano sia aspetti prettamente legali, non mancando precedenti in contesti simili che vanno in direzione contraria a quella decisa dalla Corte Suprema, sia questioni amministrative relativi a conflitti di interessi e di obiettivi tra Governo e autorità legale israeliana in Giudea e Samaria, rappresentata da COGAT e Minhal Ezrachi (il COGAT è un’unità dell’IDF e Minhal Ezrachi, “Amministrazione Civile”, nasce come costola del COGAT per questioni pratiche e burocratiche).
Il Regulation Bill – approvato dalla Knesset con 60 voti favorevoli e 52 contrari il 6 febbraio 2017 – prevede, molto sinteticamente, il diritto di sospendere per un anno la demolizione di insediamenti “sub iudice” (ma non quelli per i quali è già stata emessa una sentenza definitiva, come nel caso Amona), in attesa di ulteriori indagini, se – e soltanto se – le costruzioni sono state erette in buona fede ed in conformità a precedenti accordi con lo Stato di Israele. Se i nuovi abitanti non erano a conoscenza del fatto che la terra sulla quale stavano costruendo apparteneva a palestinesi, sarà loro concesso di rimanere in quel luogo. Se gli eventuali ex proprietari palestinesi sono o saranno noti potranno beneficiare di varie forme di “risarcimento”.
Nell’ambito di questo doppio caso/dibattito, che riguarda da vicino la vita di circa 400.000 israeliani (e 50.000 arabi) che attualmente vivono al di là della cosiddetta “linea verde” (la linea armistiziale stabilita dai rappresentanti di Israele e Giordania nel 1949), nell’area C sottoposta al totale controllo israeliano (in base alle firme di Arafat e Rabin poste sugli Accordi di Oslo), è necessario chiarire alcuni aspetti.
Contesto storico
All’indomani della Guerra dei Sei Giorni (5-10 giugno 1967), Israele sottopose le aree appena liberate dall’occupazione giordana, Giudea e Samaria (la cosiddetta “West Bank” secondo la dizione cara alla propaganda araba), alla legge militare, in attesa di siglare accordi di pace definitivi con gli stati belligeranti (la Giordania nel caso in questione). Allo scopo di garantire una vita normale per tutte le persone presenti nel distretto di Giudea e Samaria, il Governo israeliano istituì in seguito COGAT (Coordinator of Government Activities in the Territories, Coordinatore delle attività di governo nei Territori) e Minhal Ezrachi (Amministrazione Civile), entrambi subordinati al Ministero della Difesa. In seguito agli Accordi di Oslo il controllo israeliano è limitato alla sola zona C di Giudea e Samaria (dove sorgono gli “insediamenti”).
Amministrazione Civile
All’epoca fu stabilito che l’Amministrazione Civile dovesse attenersi alle precedenti leggi e procedure giordane, eccettuati i casi in cui queste erano in contrasto con le regole dell’IDF. Tale decisione fu puramente amministrativa, non legale e, nel tempo, ha previsto alcune eccezioni, come nel caso della legislazione israeliana riguardante le questioni fiscali. Per ciò che riguarda questioni inerenti la proprietà fondiaria ancora oggi l’Amministrazione Civile si basa sulla legge giordana. Questa scelta si è dimostrata problematica negli anni recenti, soprattutto per colpa dell’abilità della propaganda dell’ANP e di ONG come Peace Now impegnate in una continua campagna di delegittimazione dello Stato di Israele.
Un primo paradosso di questa situazione è dunque già intuibile nel fatto che Israele scelse, in buona fede e probabilmente senza intuirne le conseguenze, di adottare la procedura giordana circa il diritto fondiario e non, come avrebbe probabilmente dovuto, la legge in vigore durante il periodo, legalmente riconosciuto a livello internazionale, del Mandato (o meglio ancora una legge israeliana). Durante la gestione inglese infatti la legge in questione si rifaceva a quella ottomana (promulgata nel 1858), ben diversa da quella applicata dall’occupante giordano. Ancora oggi il COGAT, quindi il Governo israeliano, per dirimere le controversie legate ai titoli di proprietà nella zona C di Giudea e Samaria utilizza il registro delle terre con le modifiche apportate durante il periodo dell’occupazione illegale giordana.
Periodo ottomano (e Mandato britannico)
Durante il periodo ottomano le autorità erano solite assegnare le terre dello Stato ai contadini, ma tali distribuzioni erano vincolate ad una condizione: utilizzare il terreno (usufrutto) per un periodo specifico (da 3 a 10 anni, a seconda della categoria del terreno) pagando le tasse su di esso. Nei casi in cui non venivano utilizzati o le tasse non pagate, i terreni tornavano allo Stato. Il diritto di ereditare il terreno non è mai stato automatico e poteva essere conferito solo dall’autorità statale.
Periodo giordano
I giordani continuarono la pratica di distribuzione delle terre demaniali ai contadini, ma cambiando la legge. Le terre vennero donate in via definitiva, includendo il diritto a tramandarle in eredità ed annullando il pagamento di tasse. Tali “cessioni” furono compiute in maniera totalmente arbitraria e senza alcun titolo legale, essendo considerata l’occupazione giordana illegale dall’intera comunità internazionale (ad eccezione di Inghilterra e Pakistan). Ancora oggi molti dei terreni in questione non risultano, come detto, né abitati né coltivati. Pare chiaro, col senno di poi, lo scopo a lungo termine di tale “generosità”, avvenuto a partire dai primi anni Sessanta.
Oggi i dati catastali (Tabu), che riportano quelle distribuzioni arbitrarie decise in base all’antiebraica legge giordana, sono nelle mani del COGAT/Minhal Ezrachi e considerati “confidenziali”. Disponibili per la parte palestinese, di difficile accesso per quella ebraica.
Inoltre, durante l’occupazione giordana vendere un terreno ad un Ebreo era considerato un reato. Numerosi venditori e intermediari arabi furono uccisi o imprigionati per anni con questa accusa, rendendo il rapporto (anche strettamente commerciale) con i vicini assai rischioso. Questa pratica – condannare chi vende un terreno ad un Ebreo – è in vigore ancora oggi nei territori amministrati dall’Autorità Nazionale Palestinese (ANP): la condanna è ai lavori forzati a vita. Nessuna protesta al riguardo da parte di ONU e UE.
Considerazioni
Premesso che non è possibile affrontare un argomento così complesso e tecnico, che richiede competenze specifiche, in poche righe, proviamo comunque a trarre alcune conclusioni.
Il Regulation Bill non riguarderà edifici abitati o terreni coltivati da palestinesi, ma eventuali terreni un tempo appartenenti al demanio e poi arbitrariamente distribuiti dall’occupante giordano, a titolo definitivo, ad arabi che, nella maggior parte dei casi, non presero mai possesso effettivo della terra in questione. Questa legge non ha lo scopo di limitare o eliminare alcun diritto degli arabi palestinesi (circa 50.000) residenti nella zona C di Giudea e Samaria. Scopo della nuova legge è regolamentare, tentando probabilmente di rimediare ad un errore di 50 anni fa, le questioni relative agli “insediamenti” (che equivalgono a circa il 6% dell’intera superficie di Giudea e Samaria) e meglio tutelare la parte, fino ad oggi, maggiormente danneggiata dal punto di vista pratico-legale, gli Ebrei israeliani. Modernizzare l’amministrazione civile adeguandola alla situazione attuale, eliminando “l’effetto sorpresa” a fatti avvenuti derivante dalla scoperta che un palestinese sarebbe (nei termini ampiamente discutibili descritti nel presente articolo) “proprietario” di un terreno in base ad una legge giordana di oltre cinquant’anni fa, non conforme alla prassi legale precedente, attuata arbitrariamente ed in virtù di un’occupazione illegale.
Certamente possono anche aver pesato, nella scelta di votare oggi questa legge (in vista dell’incontro Trump-Netanyahu di metà febbraio), anche questioni politiche connesse con l’attuale equilibrio della maggioranza di Governo. Ma forse lo scopo primario di questa legge – che verrà probabilmente ridimensionata se non affossata dalla Corte Suprema – rappresenta un primo tentativo di ripristinare l’autorità della Knesset su tutti i cittadini israeliani, ovunque essi vivano, evitando in futuro nuovi “casi Amona” e nuove traumatiche fratture all’interno della società israeliana. E’ un piccolo passo, ma nella direzione giusta.
Come ricordato, anche questa nuova legge ha scatenato nella società israeliana un dibattito infuocato. Alcune critiche sono legittime, almeno in parte. Bisognerebbe però abbandonare il catastrofismo di alcune argomentazioni dell’opposizione – che svolge egregiamente il suo compito istituzionale (criticare ogni scelta politica dell’attuale Governo nell’intento di mandarlo a casa). Questa legge non può e non deve – non è il suo scopo – risolvere il conflitto arabo-israeliano, che non è mai stato di natura territoriale (sebbene ogni singolo lotto di terra venga utilizzato strumentalmente per alimentare sospetti e accuse). E nemmeno lo complica, se si giudica la questione in maniera razionale, semmai il contrario. Tenta di porre rimedio ad una situazione divenuta ormai insostenibile e che nasce da un abuso arabo (giordano) del passato. Non è in gioco il futuro democratico dello Stato di Israele, ma è certamente al futuro di Israele che questa legge guarda.