Bisogna ragionare a mente fredda, ma soprattutto bisogna ragionare. Cosa sta accadendo all’Europa? Come combattere il terrorismo? Sono entrambe domande sicuramente valide e giustamente concrete. Molte volte l’errore più grande che possiamo fare è proprio quello di porci le domande sbagliate. Molto si è criticato il comportamento di quelle persone che, sentendosi in dovere di dire “la propria”, danno sfogo alla tastiera concludendo con analisi socio-strategiche postate sui social nei giorni successivi agli attacchi terroristici in Francia prima ed in Belgio poi. E’ normale che ogni persona voglia dire la propria e che ognuno di noi abbia un pensiero ed un’idea su ciò che ci accade, l’errore però sta nel porsi le domande sbagliate (quando va bene) o non porsele affatto (quando va male). Com’è possibile che gli stessi autori di scritti discriminatori e violenti nei confronti delle reazioni al terrore dello stato di Israele si permettano poi di accendere candele e piangere per le vittime di Bruxelles?
Secondo molte teorie psico-sociologiche, alla base dell’aggressività ci sarebbe la frustrazione, ovvero una qualche sorta di impedimento psicologico o materiale che si pone tra noi ed il nostro obiettivo. Varie sono le modalità attraverso le quali le persone tendono a sfogare questa aggressività, solitamente una delle tecniche è quella del “socialmente accettato”. Ovvero si prende di mira un bersaglio la cui aggressione è socialmente accettata in modo da poter sfogare la propria rabbia senza fare i conti con la coscienza sociale, poiché affidiamo al “gruppo” la concezione di bene o di male, di giusto o di sbagliato.
La vera domanda che dobbiamo porci è, quindi, non cosa stia accadendo e come dobbiamo combattere il terrorismo, ma cosa stiamo realmente facendo (come persone e come governi) per comprendere ciò che sta accadendo.
Capiamo la frustrazione derivante dall’essere cittadini di un’Europa morbida e dissoluta, con a capo dei governi nazionali in grado solo di fare comunicati strappalacrime, ma questo non deve impedirci di ragionare in modo soggettivo e realistico, perché, senza la comprensione e lo studio dei fenomeni, sicuramente non possiamo arrivare a nessun risultato concreto. E’ giunto il momento di prendere una posizione intellettuale, di fare i conti con la realtà e riflettere sulla situazione: chi attacca e demonizza lo stato di Israele per le modalità con cui agisce contro il terrorismo non può piangere e dimenarsi nell’agonia quando è attaccata l’Europa, poiché Israele convive col terrore fin da prima della sua nascita e queste persone si sono permesse di denigrare e sminuire ciò che veniva affrontato quotidianamente dagli israeliani, attribuendo ogni loro azione a mera sete si sangue.
L’Europa sta pagando un caro prezzo, ma è il prezzo che si è autoimposta nel momento in cui ha deciso di ignorare deliberatamente ogni segnale di pericolo avvertito negli ultimi 40 anni. Ignorare l’elefante nella stanza sicuramente non lo fa svanire, ne faranno svanire il terrorismo le manifestazioni di cordoglio: l’unica cosa che farà svanire la violenza sarà aprire gli occhi e fare i conti con la realtà.
Non insultate Israele perché ha deciso che i suoi figli non debbano più morire per mano di vili terroristi, non sfogate la vostra frustrazione mascherata da antisionismo sul popolo ebraico, ma chiedetevi “perché è socialmente accettato insultare e minacciare violentemente un intero popolo come quello ebraico?”
Perché le minacce al sionismo diventano minacce agli ebrei, è inutile nascondersi dietro false ideologie: quello che si sta facendo è mettere in atto la violenza nei confronti di un popolo intero con il benestare dell’opinione pubblica e della società (flash back storico). Mentre tutto questo accade noi soffriamo per gli attentati e non ci rendiamo conto che tutto è collegato da un sottile filo che unisce le sorti del Medio-Oriente con il futuro dell’Europa.
Se rompiamo quel filo rischiamo di essere travolti (come sta accadendo) senza nemmeno sapere chi e come ci stia travolgendo.