Cecilia Sala è rientrata a casa, e questa è senza ombra di dubbio una splendida notizia; giusto dunque festeggiarne il rientro dopo venti giorni nell’inferno del carcere di Evin, luogo dove il regime iraniano rinchiude gli oppositori.
Attenzione però a non mescolare i fatti, presentando il rientro della reporter come “un grande successo diplomatico del governo e dell’intelligence”, perché le cose non stanno esattamente così e finite le autocelebrazioni a reti unificate alle quali ben pochi negli apparati mediatici autoctoni si sono sottratti, inizierà ad emergere la reale situazione sul campo, su cui c’è ben poco da vantarsi, come vedremo a breve.
Una situazione che purtroppo fa ancora una volta vacillare la credibilità dell’Italia per quanto riguarda la lotta al terrorismo mediorientale e questo, del resto, lo si sapeva già dai tempi di Sigonella e dal Lodo Moro, la cui ombra incombe ancora. A tale fine è utile citare un paio di recenti casi, come quello di Yaesh Anan, palestinese membro delle Brigate al-Aqsa, arrestato a inizio gennaio 2024 in seguito a una richiesta di estradizione israeliana dopo che per lungo tempo aveva operato indisturbato in Italia pianificando attentati in territorio israeliano e parlando in videochiamata su Whatsapp con il leader delle Brigate, Mounir al-Maqdah, nascosto in Libano, come emerso dalle carte processuali. Anan è in carcere a Terni, ma la Corte d’Appello dell’Aquila ha negato l’estradizione in Israele a causa delle “penose condizioni delle carceri israeliani”.
Che dire poi di Mohammad Hannoun, sanzionato a ottobre 2024 dal Dipartimento di Giustizia statunitense (lo stesso che ha richiesto l’estradizione di Abedini) che lo ha indicato come “uomo di Hamas in Italia e suo collettore”? Il soggetto in questione, assieme alla sua rete, è inoltre finito pochi giorni dopo in un dossier sulle attività di Hamas in Europa della European Leadership Network.
Hannoun è attivo in territorio italiano da decenni, eppure la Procura di Genova in data 8 ottobre ha reso noto che “potrebbe essere aperta una nuova indagine su Mohammad Hannoun qualora dagli Stati Uniti arrivasse documentazione utile per nuovi approfondimenti investigativi”. Una domanda che sorge spontanea: perché l’Italia ha bisogno della documentazione statunitense su un personaggio attivo in territorio italiano?
Tornando alla questione della Sala, è stata un grosso pasticcio fin dall’inizio, con una serie di errori e mancanze non indifferenti che hanno conseguentemente portato a un negoziato inopportuno con un regime terrorista per il rilascio, in cambio della liberazione della reporter, di Mohammad Abedini Najafabadi, ingegnere esperto di droni arrestato il 16 dicembre all’aeroporto di Malpensa/Milano in seguito a un mandato di cattura con richiesta di estradizione da parte di Washington.
Come indicato nel comunicato stampa del 16 dicembre del Department of Justice, Abedini è accusato di avere cospirato per esportare componenti elettronici sofisticati dagli Stati Uniti all’Iran in violazione delle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni. Abedini è anche accusato di aver fornito supporto materiale a un’organizzazione terroristica straniera (le Guardie Rivoluzionarie), che ha causato la morte di personale militare statunitense; in particolare, l’attacco con drone del 28 gennaio 2024 all’avamposto della Torre 22 in Giordania, che ha ucciso tre soldati statunitensi e ne ha feriti più di 40. Secondo l’FBI, il drone utilizzato nell’attacco condotto dai gruppi armati sostenuti da Teheran era dotato di un sistema di navigazione prodotto dalla società di Abedini.
Il 16 dicembre, quattro giorni dopo l’arrivo della Sala a Teheran, Abedini viene arrestato dopo essere atterrato nello scalo milanese su un volo proveniente da Istanbul. L’arresto della Sala è avvenuto il 19 dicembre. Possibile che nessuno si sia reso conto che era necessario intervenire subito per portare in salvo la Sala prima che finisse nelle grinfie del regime khomeinista?
Il pasticcio si è successivamente ampliato, con l’ambasciata iraniana in Italia che il 2 gennaio scorso ha candidamente confermato con un post su X il legame tra i casi Sala e Abedini (e non ci voleva certo la conferma, visto che la “Hostage Diplomacy” del regime è tristemente nota a tutti).
Poi però succede qualcosa e pochi giorni dopo il Ministero degli Esteri di Teheran cambia versione e afferma che l’arresto della Sala non è collegato al caso Abedini. Cosa prontamente ripetuta anche dal Ministro degli Esteri Tajani dopo la liberazione della Sala: “Gli stessi iraniani hanno separato le due cose”.
Insomma, come si fa a non credere agli iraniani, gli stessi che nell’aprile del 2024, avevano rassicurato proprio Tajani sul fatto che i soldati italiani Unifil in Libano non avrebbero corso rischi.
Intanto iniziano a emergere le prevedibili mosse legate al rilascio della Sala, ovvero l’eventuale liberazione di Abedini, attualmente detenuto presso il carcere di Opera. Un articolo del Wall Street Journal dell’8 gennaio fa infatti riferimento alla visita della Meloni in Florida dove avrebbe fatto presente a Trump la necessità di liberare Abedini per ottenere il rilascio della Sala in quanto “interesse nazionale italiano” e dunque che l’Italia avrebbe dovuto respingere la richiesta di estradizione negli USA di Abedini. Sempre secondo il WSJ, i dirigenti italiani “sono tornati dalla Florida fiduciosi che Meloni si fosse assicurata la comprensione di Trump”.
Anche qui però, qualcosa non torna; Trump non è infatti ancora in carica ed entrerà alla Casa Bianca soltanto il prossimo 20 gennaio. Allo stato attuale, seppur con un piede fuori dall’uscio, è ancora l’amministrazione Biden il cui approccio molto soft nei confronti dell’Iran è ben noto (leggi articolo di L’Informale: “L’infiltrazione iraniana nell’amministrazione Biden”).
Come illustrato da Irina Tsukerman, avvocato e analista geopolitico per l’Arabian Peninsula Institute, del Jerusalem Center for Security Affairs e a capo del Washington Outsider Center for Information Warfare:
“Gli Stati Uniti hanno un solo presidente alla volta. Fino al 20 gennaio, Trump non ha alcuna autorità ufficiale con il governo degli Stati Uniti e solo l’amministrazione Biden ha un’autorità formale sulla politica estera, sui trattati, sugli accordi o sugli accordi palesi o segreti o sulle mosse di qualsiasi tipo. Ecco perché tutto ciò che Trump dice ora o che altri affermano di avere detto o dichiarato a suo nome è valido solo quanto il suo impegno a rispettare queste condizioni dopo l’insediamento. In altre parole, se il 20 gennaio, dopo aver prestato giuramento, il nuovo presidente decidesse di annullare tutte le promesse fatte ai leader stranieri o alle controparti nazionali, sarà pienamente nel suo diritto di farlo”.
La questione non si esaurisce qui, perché c’è anche un articolo forse passato sottotraccia e pubblicato dal Corriere della Sera in data 29 dicembre nel quale viene intervistato in forma anonima un funzionario del Dipartimento di Stato dell’attuale Amministrazione Biden, il quale indica, tra le varie cose, alcuni punti di estremo interesse:
“Noi (USA) non la ritireremo (la richiesta di estradizione, ndr)… La strada migliore per l’Italia è che trovi un modo per fare un accordo prima che l’estradizione venga onorata”.
“L’Italia può argomentare di agire in nome di ciò che è giusto per il Paese e per il suo interesse nazionale”.
“Quando qualcuno viene arrestato, c’è un momento in cui puoi intervenire, quando la persona non è ancora completamente avvolta dal sistema giudiziario”.
“Se lasciate andare quest’uomo (Abedini, ndr) o trovate un meccanismo, oppure negate l’estradizione negli Usa… bisogna iniziare a organizzarlo in modo più rapido possibile e fuori dall’occhio pubblico. In passato gli iraniani sono stati bravi a tenere queste cose sotto silenzio”.
Insomma, forse è più realistico che il governo italiano abbia trattato facendo sponda con l’Amministrazione Biden e che il viaggio della Meloni in Florida sia stato più che altro un gesto di cortesia nei confronti di Trump, per cercare di non irritarlo eccessivamente, cercando un suo consenso, visto che tra una decina di giorni sarà lui a prendere in mano la Casa Bianca.
La linea non certo amichevole di Trump nei confronti del regime iraniano rende veramente difficile pensare che il neo-presidente eletto possa vedere di buon occhio uno scambio Sala-Abedini, ma non poteva fare altro che prenderne atto.
Poi probabilmente Trump non risponderà in maniera ostile nei confronti della Meloni, ma in questi contesti nulla può essere dato per scontato.
La Meloni è certamente stata abile a infilarsi in quella gap temporanea tra la scadenza del mandato di Biden e l’arrivo di Trump per portare a termine la trattativa col regime khomeinista. Di questo bisogna dargliene atto.
La mossa del governo italiano è però rischiosa e problematica. Rischiosa in quanto potrebbe scontentare un’amministrazione USA in procinto di insediarsi e dalle posizioni dure nei confronti di Teheran, facendo il gioco di un regime iraniano che potrebbe ben presto fare la fine di quello siriano, se non peggio. Sono soltanto valutazioni ipotetiche e di medio-lungo termine, ma vanno fatte.
In secondo luogo, trattando con il regime, si mette a rischio l’incolumità di altri cittadini italiani che potrebbero diventare bersagli degli iraniani e dei loro proxy, in piena consapevolezza che l’Italia tratta.
In terzo luogo, così facendo, si incentiva la “hostage diplomacy”, ovvero il sequestro di persone da usare come merce di scambio per miliardi di dollari o per far uscire un agente del regime dall’arresto, dall’estradizione e dalla detenzione.
Il punto problematico sta poi nel fatto che l’Italia rischia di perdere ulteriore credibilità dopo il caso di Artem Uss, cittadino russo sul quale pendeva la richiesta di estradizione statunitense, e fuggito a inizio 2023 dagli arresti domiciliari nel milanese.
Nel caso di Abedini, è prima stato arrestato in territorio italiano con operazione coordinata tra FBI e Polizia di Stato; poi, una volta arrestata la Sala, l’Italia si è subito mossa con dei negoziati che plausibilmente porteranno al rilascio di Abedini.
Il Giornale scrive oggi: “Il ministro degli Esteri Antonio Tajani e quello della Difesa Guido Crosetto elogiano l’azione della premier e, come è giusto che sia, ci tengono a dire che quella di Abedini è «un’altra vicenda». Ovviamente non è così. E nei prossimi giorni – entro il 20 gennaio – l’ingegnere dei droni vicino ai Pasdaran dovrebbe essere rilasciato”.
Insomma, si prospetta un possibile rilascio di Abedini. Vedremo se le cose andranno così o meno. Una cosa è certa, al di là della linea “a reti unificate” che presenta la faccenda come “un grande risultato diplomatico e dell’intelligence”, i connotati sono quelli di un grosso pasticcio sia in fase pre– arresto della Sala che nella fase successiva. Ovviamente, sul piano della “war on terror” è una disfatta totale e ne è intaccata per l’ennesima volta anche la credibilità dell’Italia al riguardo, che piaccia o meno.
Poi c’è la questione umana, certamente. Bene che Cecilia Sala sia tornata a casa, ma forse doveva essere preventivamente messa in condizione di non diventare vittima di un regime sanguinario che non guarda in faccia a nessuno.