Ebraismo

Israele controcorrente

“Il nuovo rifiuto di Israele. Riflessioni su Ebraismo, Cristianesimo, Islam e l’odio di sé dell’Occidente”Autori Vari, a cura di Massimo De Angelis, Salomone Belforte Editore, 2024

Un libro radicale, che va al cuore di una questione incandescente. Perché Israele non deve esistere, non è previsto, non è ammesso nella sua diversità-alterità? Perché gli Ebrei sono odiati così tanto? 

Si affrontano le discriminanti tra conformismo e anticonformismo; tra uniformazione e diversità; tra schiavitù e libertà; tra omogeneizzazione e pluralità; tra calcolo quantitativo ed etica; tra universalismo astratto e specificità orgogliosa; tra mente servile e nobiltà esistenziale; tra fede e idolatria; tra totalitarismo e libertà democratica. 

Fondamentale per comprendere l’uragano di odio antisemita in atto l’intervento di Ugo Volli, “La lunga durata dell’antisemitismo tra assimilazione ed eliminazione”. La furia antiebraica e il suo accanimento si spiegano col fatto che da venti secoli l’antisemitismo è esistente, persistente e in certi periodi si scatena e dilaga. Sono due le correnti antisemite in corso, una islamista e l’altra occidentale. L’autore qui esamina la seconda. La sua lunga durata, dagli antichi Egitto e Persia, Roma,  

“[…] dall’immensa produzione e pratica cristiana che inizia dalle Lettere di Paolo, dai Vangeli e dagli Atti per proseguire fino a oggi, dalla produzione e pratica musulmana che inizia con il Corano (VII secolo), e poi ancora con l’Illuminismo, il socialismo, il razzismo ‘scientifico’, il nazifascismo, il terzomondismo e la ‘woke culture’ fino ai nostri giorni. Non si contano le vicende in cui, con la propaganda scritta, orale e figurata, con atti legislativi e giudiziari, con sentenze e sommosse, con regole minuziose di oppressione, si è cercato di separare, umiliare, sfruttare, mettere in difficoltà economica e giuridica, processare con calunnie ingiuste, squalificare moralmente, convertire, espellere, sterminare gli ebrei. In sostanza, di liberarsi in un modo o nell’altro della loro anomalia.” 

Una dimensione spazio-temporale a scopo eliminatorio mai raggiunto da nessun altro popolo disarmato e perseguitato, in nessuno dei tanti conflitti cruenti della storia. L’antisemitismo esplode non quando gli ebrei vengono identificati come un nemico normale, cioè esterno allo Stato e al popolo persecutore, ma quando gli Ebrei sono considerati un nemico interno, cioè una parte della popolazione “difficilmente distinguibile” dal resto, spesso ben integrata e abituata a esercitare una funzione economico-sociale utile, che però pratica altri costumi, altra lingua, altra fede, che insomma è altro, o piuttosto ‘l’altro per antonomasia’. Pochi di numero, senza potere, ma con una sua esistenza separata, che resiste e rifiuta l’assimilazione, mantiene la sua identità e cultura, mette in discussione l’egemonia della cultura dominante. Proprio per questo, vogliono eliminarli. 

Gli Stati persecutori degli ebrei avevano tante minoranze religiose, linguistiche, etniche, culturali, come l’Impero romano, la Persia, la Cristianità e l’Islam. Ma mentre le altre minoranze erano tollerate e subivano qualche forma di oppressione, insieme a una lenta assimilazione, gli Ebrei sono stati quasi sempre oggetto di eliminazione. Nell’Impero romano “l’estensione della cittadinanza fu un premio per l’assimilazione, non un tentativo di distruzione, ma la Giudea fu soggetta a un vero e proprio genocidio”. E ancora “la Chiesa non ebbe alcun problema a stabilire che vi potessero essere vari popoli cristiani (romani, armeni, copti, cinesi e africani) e anzi tradusse la Bibbia per favorirne l’evangelizzazione collettiva, ma non ha mai accettato, fino a tempi recenti, l’idea di un popolo ebraico cristiano. Gli ebrei che si convertivano, per amore ero per forza, erano obbligati ad abbandonare lingua, costumi, tradizioni; dovevano uscire completamente dal loro popolo, anche nei dettagli più minuti, pena l’essere processati e spesso orribilmente uccisi perché ‘giudaizzanti’.”  

La particolare natura ebraica di essere insieme popolo e religione sta alla base dell’antisemitismo. Mentre il cristianesimo paolino ha inventato una sfera religiosa indipendente da quella nazionale, la vita ebraica rende inseparabili il popolo e una “forma di vita” a carattere religioso, che comporta obblighi morali, culturali, di vita quotidiana. Proprio per questa ragione forte gli Ebrei mantengono la loro diversità esistenziale, anche in situazioni di estrema minoranza e pesante persecuzione. Un’esistenza permanente proprio grazie al complesso di obblighi etico-religiosi a salvaguardare la propria “forma di vita”, insieme a una incessante creazione culturale ignorata e disprezzata dagli intellettuali della maggioranza, e invece vissuta dagli ebrei come unica e fondamentale. Tale realtà molto particolare ha generato verso il popolo ebraico una posizione più eliminazionista che assimilazionista, al contrario delle altre minoranze. L’antisemitismo ha sempre voluto “un mondo senza ebrei”, o almeno un Paese libero dall’identità ebraica. Attraverso massacri, espulsioni, tassazioni, genocidi culturali. 

Ma “questa eliminazione si è rivelata impossibile, per diverse ragioni. In primo luogo, vi è stata la resistenza ebraica. Gli ebrei non sono stati disposti ad accettare di essere eliminati, né fisicamente e neppure culturalmente (una liquidazione sociale che invece molti altri popoli hanno subito, pure di aver salva la vita individuale). Talvolta hanno combattuto accanitamente, altre volte si sono nascosti, sono emigrati, hanno ingannato i persecutori serbando celata ma viva la loro identità, hanno mantenuto in condizioni difficilissime cultura e culto. La rinascita dello Stato di Israele è l’ultimo esempio di questa volontà di continuare a vivere. La resistenza ebraica è stata altrettanto accanita e diffusa del tentativo di eliminazione, e questa è la principale ragione del fallimento di quest’ultimo. In secondo luogo, la persecuzione stessa – e in particolare la segregazione imposta – ha spesso temprato l’identità, eliminando la via della facile assimilazione, che appare sempre possibile in un contesto tollerante.” 

Terzo motivo, le religioni dominanti dei luoghi principali dell’insediamento ebraico, Cristianesimo e Islam, hanno assorbito molti elementi dell’Ebraismo, e per certi aspetti ne derivano. Dunque, l’eliminazione totale e forzata degli ebrei diventerebbe una ferita gravissima per le due religioni dominanti. “Vittoria vera sarebbe per loro solo la volontaria adesione del popolo ebraico, la sua autocancellazione spesso profetizzata ma mai realizzata”.  Da qui posizioni come quella di Agostino, per cui gli ebrei possono sopravvivere come testimoni della verità cristiana in condizioni di segregazione e inferiorità, perché colpevoli di non convertirsi (analogo l’Islam che sottomette gli ebrei come “popolo del Libro”). 

“Insomma – scrive Volli – l’eliminazione è un progetto che deve essere tenuto a freno in nome dell’interesse stesso di chi si oppone agli ebrei, il che comporta la cronicizzazione dell’antisemitismo.” 

Ad esempio, la demonizzazione dell’esercito israeliano in quanto “assassino di bambini a Gaza” è l’infamante ripetizione della plurisecolare “calunnia del sangue”, secondo cui gli ebrei torturano, uccidono, dissanguano bambini cristiani innocenti, dove solo la totale ignoranza della realtà ebraica ha potuto consentire la sua diffusione tossica. L’antisemitismo è talmente stratificato e propagato che ha generato il luogo comune “se vi hanno fatto male, ci sarà pure una ragione”, e poi si raggiunge il limite per cui uno dei modi più efficaci di eliminare la responsabilità è colpevolizzare la vittima. L’abominevole de-umanizzazione è passata dall’Ebreo allo Stato ebraico. Qui , accanto all’antisemitismo islamico, torna violento l’antisemitismo europeo, che si era ritirato dopo la Shoah e invece oggi si scatena con tutta la sua eredità, nazismo compreso.  

Nel suo intervento, Niram Ferretti ricorda “l’odio più lungo” di Robert S. Wistrich, che sta al cuore del nazismo, stalinismo, islamismo: l’antisemitismo è “la più vecchia e oscura delle ossessioni ideologiche”.  

Settanta anni di discorsi sulla Shoah, con una campagna sistematica pedagogica, con una proliferazione di libri, film, musei, iniziative istituzionali, falliscono. Siamo a un enorme regresso. Poi, la permanente demonizzazione di Israele “ha generato un potente dispositivo di avversione verso lo Stato ebraico che non riguarda solo gli ebrei israeliani ma si riverbera sugli ebrei tout court, salvo quelli che esplicitamente si dichiarano contro Israele.” 

Si ricorda che nel 2017 autorevoli intellettuali europei, tra i quali Robert Spaemann, Roger Scruton, Rémi Brague, Ryszard Legutko, diffondono un documento-requisitoria contro la teleologia del progresso che caratterizza la UE in un’ottica post-identitaria e post-nazione, fondata su paradigmi di inclusione e multiculturalismo e sull’utopia dell’integrazione e non-discriminazione, cioè un orientamento illuministico di una “fratellanza universale”, invece criticata dagli autori. “I padrini dell’Europa falsa sono stregati dalle superstizioni del progresso inevitabile. Credono che la ‘Storia’ sia dalla loro parte, e questa fede li rende altezzosi e sprezzanti, incapaci di riconoscere i difetti del mondo post-nazionale e post-culturale che stanno costruendo. Quando, nel 2018, la Knesset approva la Legge Base che definisce Israele come lo Stato nazionale degli Ebrei (non solo degli Ebrei), con una legalità molto naturale e realistica, si scatena l’opposizione interna e internazionale con la grave accusa di essere una legge discriminatoria avversa alla minoranza araba. In un’opposizione radicale all’identità ebraica ritenuta un arcaismo, un ostacolo sulla strada del progresso, in nome di un futuro fondato sulla diluizione massima se non sull’auspicabile scomparsa della specificità identitaria”.

Per gli Ebrei che cosa è previsto? “Quello che per loro auspicava Marx, e prima di lui Spinoza, Kant, Hegel: quello di ‘dissolversi’, certo non in modo cruento, ma dolcemente, lasciandosi afferrare dallo ‘Zeitgeist’, il cui soffio è inesorabile.” Israele possiede un’identità forte, dove i nostri schemi di contrapposizione tra laico e religioso non esistono, in totale contrasto con l’ordine post-identitario, voluto dal progressismo occidentale favorevole a un’astratta uniformazione. Un ordine che pretende che Israele abiuri o diluisca fortemente la propria identità, mentre al contrario accetta la forte identità islamica e quella di altri popoli non occidentali.  Israele ha la colpa di esistere, ha la colpa di agire. Finisce il compianto ritualizzato per l’ebreo vittima e si scatena l’odio per l’ebreo guerriero, marziale, che risponde all’aggressore invasore, che riesce perfino a realizzare un’offensiva strategica contro gli eliminazionisti.  Hamas certo contava sulla diffusa presenza di un antisemitismo antico, sull’ebreo vendicativo e violento, e i fatti gli hanno dato ragione, il mondo cieco e storto ha creduto ad Hamas.  

“Nessuna delle guerre che hanno coinvolto Israele dal 1948 in poi ha mai determinato un’ondata così violenta di odio rivolto allo Stato ebraico, né ha fatto riemergere altrettanto prepotentemente l’antisemitismo nelle sue diverse declinazioni, in modo particolare facendo riaffiorare due tropi classici: quello del sangue, legato ai ‘libelli del sangue’ medioevali, in base ai quali gli ebrei venivano accusati di essere assassini di bambini cristiani, e quello della vendetta, ancora più antico, di matrice biblica e di ascendenza marcionita, legato inevitabilmente alla ‘accusa del sangue’ “.

Per questo, Riccardo Di Segni ha parlato di “teologia regredita”. Vogliono l’ebreo solo come un testimone passivo di un passato di persecuzione che ha il suo apice nella Shoah, completamente rinchiuso nella categoria della vittima. Ma Israele è parte essenziale, irrinunciabile dell’identità ebraica, e l’ebreo vivente post-Shoah, post-vittima, rifiuta lo schema funereo che gli vogliono imporre, e invece indica la strada da percorrere ad un Occidente autolesionista. 

David Elber in “Popolo ebraico e Terra di Israele: tutte le tappe della nascita di uno Stato” riafferma, con energia e documentazione-argomentazione, tutto il senso della sua ricerca sui fondamenti di assoluta legalità e legittimità nel diritto internazionale della creazione e dell’esistenza dello Stato di Israele.  

“La continuità di sovranità territoriale è passata dall’Impero ottomano alla Gran Bretagna – in modo auto limitato e temporaneo – per arrivare al popolo ebraico, con i confini stabiliti con il Mandato per la Palestina nel 1922, in base al principio legale ‘uti possidetis iuris’ universalmente accettato nel diritto internazionale. Inoltre, essendo il Mandato per la Palestina un trattato internazionale mai abrogato, è da considerarsi un atto legale passato in ‘res iudicata’, quindi non più contestabile o modificabile ex post“. La falsa accusa ad Israele di occupare terre “palestinesi”, che alimenta la guerra psicologica del terrore islamico e l’odio irrazionale, distruttivo e autodistruttivo, delle piazze della violenza antisemita è radicalmente demolita da Elber con la sua competenza scientifica del diritto internazionale. 

In seguito alla guerra dei Sei Giorni del 1967, una guerra difensiva, Israele non ha fatto altro “che riconquistare terre che già gli appartenevano legalmente, anche se non ne aveva l’effettivo possesso. E se, per alcuni giuristi, il non averne possesso a indipendenza avvenuta ne inficiava il possesso successivo, la conquista illegale giordana non forniva – ai giordani – maggiore titolo di possesso, per il principio legale del ‘ex iniuria non oritur ius’. Essendo poi la successiva riconquista israeliana, oltretutto, frutto di una guerra difensiva perfettamente legale secondo il diritto internazionale, come stabilito anche dal Consiglio di sicurezza e dall’Assemblea generale, in nessun caso si può parlare di presenza illegale da parte di Israele in quei territori. Da tutti i punti di vista, Israele è il solo soggetto che può vantare il titolo legale su quelle terre, in quanto per il diritto internazionale il territorio noto come Giudea e Samaria, o Cisgiordania – secondo il principio dell’uti possidetis – apparteneva già a Israele, quale legittimo successore del Mandato per la Palestina, dal 1922. Però per 19 anni, tra il 1948 e il 1967, tali terre furono occupate illegalmente dalla Giordania senza che mai Israele abbia rinunciato alla sua piena sovranità.” 

Da questa falsificazione originaria di un’occupazione, ne sono derivate quelle di “occupazione illegale”, “occupazione di territori palestinesi”, “insediamenti illegali”. La criminalizzazione di Israele ribalta il diritto internazionale per ragioni di odio politico-razziale, configura una “lawfare” (uso di sistemi legali per danneggiare e delegittimare uno Stato, o per ostacolare l’uso dei diritti legali da parte di uno Stato sovrano). Le argomentazioni razionali documentali di Elber forniscono agli Ebrei, agli amici di Israele, all’obiettività democratica, strumenti logici ed etici per smantellare la muraglia di odiose menzogne del totalitarismo antisemita.  

Il curatore del volume Massimo De Angelis presenta questo libro, che è diviso in tre parti: “L’Occidente non capisce più gli ebrei”; “Ebraismo e sionismo”; “Dialogo nel nome di Dio”. Nel suo intervento “Progressismo versus ebraismo” sostiene che di fronte alla volontà programmatica della distruzione di Israele, della negazione del suo diritto di esistere da parte del totalitarismo terrorista, l’Occidente progressista non si oppone. L’oblio diventa un valore, contro la memoria. “Oggi la nostra epoca, votata unilateralmente al culto dell’innovazione, pretende – illusoriamente, ma lo pretende – di archiviare la storia stessa. È la presunta e conclamata fine della storia.” Le guerre culturali raggiungono il livello infimo del wokismo e della “cancel culture”, per costoro l’intera storia occidentale è negativa, da gettare via. “La civiltà occidentale è sempre stata ‘autocritica’. E questo è stato un suo punto di forza e un cardine della sua stessa idea di libertà e di quella di progresso. Pensiamo solo al movimento socialista tra Otto e Novecento. Oggi però tale autocritica per un verso è stata ‘sciolta’ nel pensiero unico e si è tramutata in quello che Joseph Ratzinger definiva ‘l’odio di sé dell’Occidente’.” Il passato diventa un ostacolo inutile, è ammesso solo il nuovismo. “Domina il rifiuto del passato in nome del futuro. Un futuro peraltro prefigurato come illimitato incremento tecnologico ed estensione di un eterno presente.” Un nuovo progressismo mitologico che altera l’idea stessa di progresso. La tradizione progressista esprimeva una visione storica dell’uomo in un percorso ascendente con l’uomo al centro, nella persuasione che la storia avesse un senso e una direzione. “L’odierno progressismo, al contrario, è un’ideologia che vede nella ‘tecnologia’, non nella ‘storia’, fatta dagli uomini, la chiave del destino umano.” Procede un’erosione radicale delle basi stesse della cultura occidentale, fino ad una presa di distanza da ogni cultura. Influencer al posto dei maestri del pensiero, memoria e tradizione di un popolo ridotti a folklore. “Oggi assistiamo al progressivo deculturalizzarsi tecnicistico dell’individuo occidentale. L’individuo, che è il frutto più alto della nostra civiltà, se però isolato da tutto cessa di essere una persona, regredisce, diventa un atomo disperso.” L’ideologia progressista, nemica di ogni genealogia del passato, considera ogni religione un impaccio, un anacronismo, sia l’ebraismo sia il cristianesimo. Già il razionalismo aveva relegato la fede nello spazio privato, perché considerava la sfera metafisica trascendente come superstizione, tradizionalismo, antimodernità. Ecco perché l’ebraismo, e ancor di più il sionismo, sono rifiutati e odiati in Occidente. “L’ebraismo è l’esperienza teologica e storica di un popolo, il popolo ebraico. Del popolo di Abramo. L’ebraismo è legame con il passato, e ‘perciò’ con un futuro carico di senso, è memoria, popolo, teologia. E il sionismo è la tappa più recente di quella storia.” 

De Angelis conclude così: 

“Forse allora l’ebraismo, che è alla radice dell’Occidente e dello stesso cristianesimo, con il suo equilibrio tra particolare e universale, e con il suo intreccio tra storia e teologia, potrebbe, se non compreso, aiutarci a non commettere questo errore davvero fatale. A non dissolvere identità e bene comune nel frullatore della volontà di potenza individuale. Ecco. Al fondo della crescente tensione tra ebrei e Occidente c’è tutto questo. E forse il messaggio più profondo, prezioso, e direi esemplare, che l’ebraismo può trasmetterci oggi con la sua resistenza, contro il fondamentalismo islamista ma anche contro il nichilismo dei valori occidentali, sta proprio in tale resistenza stessa.” 

Notevole l’intervento “Il bacio della morte, abbandonare l’Europa” di Shmuel Trigano (Università di Parigi Nanterre), eminente scrittore ebreo. “Riducendo l’umanità dell’ebreo all’’umanitario’ palestinese – che è il fattore della disumanizzazione dell’ebreo – e impedendo agli israeliani di distruggere il loro nemico, che è il fattore della loro disumanizzazione, l’Occidente, in nome dell’ umanitarismo sta di fatto sottintendendo di voler lasciare inalterata la disumanizzazione degli ebrei, e di condannarli a lungo termine a questa condizione. Piange sugli ebrei sfigurati dalla loro forma umana, mentre li condanna al loro destino. In un certo senso, si tratta di un Occidente che annulla la memoria della Shoah.” Il diritto all’autodifesa viene ostacolato dall’ONU, che applica il criterio di proporzionalità a misura della morale della Shoah. “Insomma, L’EUROPA RICONOSCE GLI EBREI ‘IN PIGIAMA A RIGHE’ MA NON IN UNIFORME DI TSAHAL”.  

Israele non può reagire ai suoi numerosi nemici. “Quando gli Stati Uniti impediscono a Israele di intervenire militarmente a Gaza per motivi umanitari, è proprio questo l’obiettivo perseguito, a scapito di una guerra che viene così condannata alla stagnazione. Dove abbiamo visto un esercito che nutre i suoi nemici, avvertendo le persone che sta combattendo? E per di più venire condannato per crimini di guerra, genocidio, carestia e mancanza d’acqua? In nessuna parte del mondo. Ebbene, Israele è quella nessuna parte del mondo.” Ancora peggio, la decisione della Corte penale internazionale ribalta il diritto internazionale. Così si rende “l’ebreo, l’individuo ebreo, un paria mondiale, un reietto che può essere perseguitato e accusato in qualsiasi modo a causa del suo legame, reale o presunto, con un Paese colpevole di crimini di guerra.” Trigano non gira intorno al problema e va diritto e lucido al nodo: “Il rapporto dell’Europa con gli ebrei è sempre stato parte dello schema identitario paolino della relazione ebraico-cristiana, che oppone ‘l’ebreo secondo la carne’ all’ebreo ‘secondo lo spirito’ in una situazione in cui l’ebreo è sempre altrove. Quando, nell’epoca della tradizione, il cristiano incarna lo ‘spirito’, l’ebreo ai suoi occhi corrisponde alla ‘carne’ (nella forma della particolarità ebraica presumibilmente opposta all’universalità cristiana). Quando, nell’era della modernità e del materialismo, il cristianesimo è tornato al polo della ‘carne’, l’ebreo è stato riportato al polo dello ‘spirito’ (percepito come religione). Oggi l’Unione Europea, che ha molto in comune con un impero che non accetta la sua identità e la sua realtà, torna al polo dello spirito (non più la nazione ma la globalizzazione, la versione postmoderna dell’universale) e attribuisce a Israele lo status di nazione per condannare in esso lo Stato-nazione che ha negato a se stesso.” 

Fiamma Nirenstein è intervistata da Paolo Sorbi (“Dopo il 7 ottobre il popolo si è subito riunificato”). L’autrice espone benissimo con coraggio, viva partecipazione, lungimiranza le ragioni che ci sono note. In particolare contro il falso pacifismo, schiavo della guerra degli aggressori genocidi. Ci ammonisce con chiarezza: 

“La parola ‘guerra’ è proibita nell’ideologia occidentale, anche se si tratta di guerra di difesa e di sopravvivenza, come nel caso della storia di Israele. Nel corso degli anni la guerra è diventata oggetto di criminalizzazione e di delegittimazione in sé e per sé. Così, siccome Israele è circondato da nemici che gli hanno imposto una serie di guerre continue – tutto il fronte cosiddetto ‘pacifista’ si schiera con i nemici di Israele che vogliono la sua distruzione (fronte che peraltro, proprio per questo, non è affatto ‘pacifista’) e può usare la causa della ‘pace’ o del cessate il fuoco come adesso. Neppure per un attimo si pensa che, se non si sconfiggono i mostri del Sette Ottobre, si dà loro la possibilità di colpire, di nuovo e di nuovo, come hanno detto loro stessi.” 

Soprattutto nella parola dell’autrice vibra il suo essere, il suo vissuto ebraico, personale, familiare, di appartenenza a un popolo-nazione. “Il dolore del popolo ebraico è nella mia vita, ma per me è stato sempre un privilegio gigantesco. Sarà forse perché mia nonna mi ha trasmesso la sua essenza dell’ebraismo, che era l’amore. Lei era una creatura intessuta di puro amore, intelligenza, grazia, signorilità.” Ci dice la vitalità essenziale del sionismo. “Il sionismo è lo sviluppo della storia dell’Ebraismo, senza lo sviluppo sionista l’ebraismo sarebbe morto da tempo. La genialità di Herzl e dei suoi è stata comprendere questo. Ben Gurion, che era socialista, insisteva sull’indispensabilitá della Bibbia e non ha mai smesso di proporla come testo fondamentale del sionismo, che era la sua vita.” 

Massimo Giuliani, noto e valente ebraista, in “Occidente moderno e giudaismo: un rapporto complesso” valorizza la sfera religiosa e la condotta etica ebraica con argomenti molto validi. 

Marco Cassuto Morselli, presidente della Federazione delle Amicizie ebraico-cristiane in Italia, autore di libri importanti di interpretazione biblica e sul dialogo interreligioso, nel suo intervento “Passato, presente e futuro interreligioso d’Israele” pone l’accento sulla grande tradizione interpretativa dell’Ebraismo. Si riferisce a coloro che hanno riconosciuto con maggiore lucidità il significato spirituale del sionismo: due cattolici, Jacques Maritain e Carlo Maria Martini, e un ebreo, il rabbino e filosofo Abraham J. Heschel, che ha scritto: 

“Il nostro ritorno a Sion è il più grande evento della storia misteriosa che ha avuto inizio con un solo uomo, Abramo, il cui destino è risultato una grazia per tutte le nazioni. Il nostro impegno irrinunciabile è di difendere quella promessa e quel destino: essere una benedizione per tutte le nazioni.” Morselli sottolinea l’aspettò della dimensione interreligiosa che non va sottovalutata per la soluzione dei conflitti, e ricorda Rav Jonathan Sacks nel suo appello a tutti i figli di Abramo. 

Vincenzo Pinto, storico specializzato in storie di personalità del mondo ebraico e sionista, nel suo contributo “La teologia politica di Vladimir Ze’ev Jabotinsky” ci dice del poco conosciuto e grande sionista, e quale sia stato il suo enorme contributo alla fondazione di Israele.  

Con il suo “nuovo” sionismo (1935-1940) Jabotinsky decide di uscire dal sionismo di Weizmann e Ben Gurion, e di fondare una propria struttura chiamata “Nuova Organizzazione Sionistica”, con lo scopo di organizzare un’immigrazione di massa in Eretz Israel, senza tener conto dei veti ufficiali. Il suo obiettivo era quello di salvare il maggior numero possibile di vite ebraiche. Per lui ogni strumento era lecito, anche quello “armato”. La sua organizzazione sionistica conteneva al suo interno una parte del sionismo religioso; per Jabotinsky, l’obiettivo del suo “nuovo” sionismo era la redenzione del popolo ebraico, la rinascita della sua terra e della lingua, e la trasmissione dei sacri tesori della Torah. 

Pur non essendo contrario all’ipotesi di una confederazione semitica mediorientale (1922), il leader sionista avanza la sua importante tesi del “muro di ferro”. Questo termine chiave, “muro di ferro”, esprime la forte esigenza che gli ebrei si difendano fisicamente dalle aggressioni arabe, finché gli arabi (palestinesi o meno) non rinunceranno in modo definitivo a espellere gli ebrei dalla loro terra. L’etica del “muro di ferro” evidentemente non è un’etica del ghetto perché, al contrario della reclusione storica, ora sono gli ebrei a decidere dove e quando uscirne, chi e come fare entrare a casa loro.  

Perché lo Stato di Israele deve essere più morale degli altri? Perché la presenza delle forze religiose è così forte nella politica israeliana?  Come sappiamo, la rottura storica tra ebraismo e cristianesimo accade sul fondamento dell’estensione del credo ebraico ai pagani, e quindi su una logica quantitativa più che qualitativa. Cioè era meglio tanti “mezzi ebrei” che pochi “ebrei”. Il cristianesimo ha attaccato l’ebraismo proprio per la sua chiusura di fronte all’universalismo di Cristo (l’amore), promettendo a tutti una salvezza individuale dell’anima. Per Jabotinsky l’identità ebraica si fonda sul ritorno alla Terra Promessa, sulla riacquisizione di una casa perduta per “immoralità” duemilacinquecento anni prima. Scrive Pinto: “Che a riportare a casa sia un partito, un principe o re-Messia poco importa. L’identità ebraica si regge sulla redenzione dall’esilio.”  

Jabotinsky, secondo Pinto, ha connotato il proprio sionismo come una forma di teologia politica ebraica. Per essere ebrei all’interno di una grande tradizione millenaria interamente assunta, bisogna anche essere “esteti armati”. Nel senso di “polemici”, non certo guerrafondai. 

Diversi interventi – di ebrei, anche rabbini, di cattolici e protestanti, anche sacerdoti e pastori, di un imam islamico – nei loro scritti esprimono volontà e proposte di dialogo, un’aspirazione di pace, motivi interessanti, ma anche un certo ecumenismo debole e illusorio. 

Ci vorrebbero le parole di fuoco degli antichi profeti di Israele – Ezechiele, Geremia, Isaia – per riuscire a dire l’entità mostruosa dell’antisemitismo in atto, dei laudatori del 7 ottobre. L’oceano tempestoso dell’antisemitismo di odio e morte non riesce a sommergere e a distruggere l’”isola” di Israele. Masada resiste agli assalti spietati degli imperi del male, degli Amalek di oggi, della cultura della morte. Israele è rifiutata da un mondo storto, cieco e vile perché rifiuta l’assimilazione, l’uniformazione, la resa, la schiavitù. Perché indica la via della resistenza, della libertà responsabile, della dignità umana per tutti, della pace nella giustizia. 

 

 

 

 

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