Sabato 30 novembre a Roma si è tenuta l’ennesima manifestazione nazionale dei “pro-Pal” assieme ai gruppi di estrema sinistra che dall’eccidio del 7 ottobre in poi hanno costantemente riempito le piazze. Ancora una volta si sono verificati scontri, atti vandalici e danneggiamenti alle attività commerciali.
Tra le bandiere presenti, oltre a quelle oramai immancabili di Hezbollah, dell’Iran, dello Yemen, c’erano i vessilli del PCI, Potere al Popolo, USP, il Fronte Comunista, Cambiare Rotta, CARC e diverse sigle palestinesi tra cui l’Unione Democratica Arabo-Palestinese (UDAP), i Giovani Palestinesi (GPI), l’Associazione Palestinesi in Italia (API) il cui leader, Mohammad Hannoun, è stato sanzionato lo scorso ottobre dal Dipartimento del Tesoro statunitense in quanto indicato come “uomo di Hamas e suo collettore finanziario in Italia”. Ed è proprio Hannoun ad aver preso la parola per accusare ancora una volta il governo italiano di “complicità” con Israele.
Due settimane fa, il soggetto in questione era stato denunciato dalla Digos di Milano per istigazione a delinquere dopo aver pubblicamente elogiato gli aggressori dei tifosi israeliani ad Amsterdam e aveva anche ricevuto il foglio di via da Milano, dunque si è spostato a Roma.
I precedenti
Una manifestazione analoga si era già verificata sabato 5 ottobre in Piazza Ostiense, sempre a Roma. In quell’occasione l’iniziativa, che prevedeva anche un corteo, non era stata autorizzata dalla Questura e dal Ministero degli Interni per timore di disordini e perché celebrante un eccidio, ma i manifestanti avevano sfidato il divieto, seppur confinati all’interno di un perimetro presidiato dalle forze dell’ordine. A fine giornata si erano anche verificati violenti scontri tra manifestanti e polizia, con diversi feriti tra gli agenti. Tra gli organizzatori della manifestazione ancora una volta spiccavano i Giovani Palestinesi d’Italia (area giovanile API), l’Unione Democratica Arabo-Palestinese, assieme ai soliti e già citati CARC, OSA, Rete Comunista, Cobas, Potere al Popolo, USB e ovviamente i centri sociali. Anche in quel caso si erano viste bandiere iraniane, yemenite, di Hezbollah e della Siria di Assad.
Lo scorso 27 novembre, il sito web del CARC pubblicava un post denominato “Volantino in diffusione alla manifestazione del 30 novembre in solidarietà alla resistenza e al popolo palestinese” nel quale veniva inserita la frase “Non aspettatevi giustizia, siate giustizia” a firma Yahya Sinwar, l’ex leader di Hamas a Gaza, ucciso lo scorso ottobre dall’esercito israeliano. Inoltre, si invitava ancora una volta, tra le varie cose, alla “mobilitazione delle masse popolari” con l’obiettivo di “rovesciare il governo che collabora con l’entità sionista e sostituirlo con un governo di emergenza popolare”.
Sia il CARC e sia il cosiddetto “Nuovo Partito Comunista”, due formazioni talmente simili da sembrare la medesima, in parallelo al supporto per la causa palestinese, hanno in più occasioni espresso i propri intenti di sovversione dell’ordine democratico.
Del resto, anche la fascinazione per Sinwar era altrettanto nota visto che il 25 ottobre 2024, in seguito alla sua eliminazione, il sito del CARC pubblicava il “testamento di Sinwar”, definito “martire della lotta di resistenza del popolo palestinese contro l’occupazione sionista” e arrivando a citarlo addirittura come “partigiano”.
Il CARC indicava le parole di Sinwar come “messaggio di riscossa e lotta per le masse popolari di tutto il mondo”. Immancabile poi il solito riferimento a marciare per rendere il Paese ingovernabile, cacciare il governo Meloni e imporre un governo comunista. Insomma, un copione già visto. Dal 7 ottobre 2023 in poi, il CARC è inoltre risultato contiguo all’Unione Democratica Arabo-Palestinese, con comuni eventi e presenze in diverse occasioni, tra Lazio, Toscana, Emilia-Romagna e Lombardia.
Una collaborazione di comodo con molte frizioni
Risulta evidente come all’interno della galassia palestinese attiva in Italia, le fazioni islamiste e quelle di stampo socialcomunista (UDAP, FPLP) sfilino fianco a fianco nonostante le differenti posizioni ideologiche e certi dissidi interni. Non tutte le sigle hanno infatti aderito alle manifestazioni precedentemente citate mentre nei giorni precedenti al 30 novembre si erano nuovamente palesate divergenze e spaccature, evidenziando una costante divisione all’interno dell’area “pro-Pal”. Un aspetto emerso del resto anche tra le formazioni dell’estrema sinistra italiana.
L’alleanza tra palestinesi e “far left” ha certamente come comun denominatore il medesimo nemico, ovvero “l’imperialismo occidentale” e il “colonialismo” di cui il sionismo ne sarebbe espressione. Una situazione già vista negli anni ’70 con la collaborazione tra terrorismo palestinese e gruppi come Rote Armee Fraktion (Baader Meinhof) e BR. L’aspetto più evidente riguarda però il pragmatico opportunismo da ambedue le parti che tiene viva l’alleanza.
Da una parte, i palestinesi possono usufruire della vasta e radicata rete dell’estrema sinistra, storicamente diffusa e attiva su tutto il territorio e in particolare nelle fabbriche, nelle università e nelle scuole superiori. Senza di ciò, i numeri dei presenti alle manifestazioni pro-Pal sarebbero ben più risicati.
Dal canto suo, l’area che ingloba i vari gruppi di estrema sinistra può contare sulla causa palestinese che, in seguito agli eventi del 7 ottobre, è stata rilanciata a livello globale. La sinistra radicale cerca quindi di sfruttarla per rilanciare la propria lotta politica nei confronti dell’attuale destra al governo con l’obiettivo dichiarato di seminare il caos, rendere il Paese ingovernabile e rovesciare l’esecutivo.
La realtà che emerge a livello italiano è quindi un ombrello di gruppi differenti tra loro, ma in qualche modo interconnessi, che seppur differenziandosi su aspetti ideologici e pragmatici, condividono la comune causa anti Stati Uniti, NATO e Israele.
Un ulteriore aspetto da considerare è la concomitanza temporale tra l’annuncio di Hamas per il 29 e il 30 novembre come giornate mondiali per la solidarietà contro il cosiddetto “genocidio a Gaza” e lo sciopero generale proclamato da sindacati ed estrema sinistra.
L’internazionalizzazione e la trasformazione a “causa globale”
L’estrema sinistra italiana ha trasformato Hamas e la Jihad Islamica palestinese in “nuovi partigiani”, mentre i palestinesi hanno reinventato la propria causa come “lotta all’imperialismo”.
A livello internazionale, queste spinte alla rivolta sociale “antimperialistica” fanno il gioco di attori come Iran, Russia e Cina e non è detto che da quelle parti non ne sappiano qualcosa.
Secondo Eran Lahav, ricercatore dell’Israel Defense and Security Forum, esperto di jihad globale e che da tempo segue l’attività dei proxy iraniani, si tratta di una situazione che fa il gioco del regime di Teheran, il cui obiettivo è alimentare il caos nei Paesi occidentali. “Avvalendosi di gruppi radicali e di estrema sinistra, l’Iran sta cercando di alimentare le controversie esistenti su questioni delicate, come la guerra a Gaza. Queste manifestazioni fanno parte della strategia dell’Iran e dei gruppi islamici radicali per diffondere la loro influenza, i messaggi e le prospettive radicali al fine di indebolire le società occidentali”.
Lahav aggiunge poi: “Gli iraniani dicono da decenni che la democrazia è un concetto occidentale imperfetto. Sostenendo le manifestazioni l’Iran ha un duplice vantaggio, generare caos in Occidente sfruttando la causa palestinese e cercare di isolare Israele sul piano internazionale”.
Allo stato attuale non è dato sapere se vi siano influenze esterne nelle manifestazioni in territorio italiano, ma quanto riportato da Lahav trova riscontro negli Stati Uniti dove lo scorso agosto l’analista Sam Westrop, ricercatore del Middle East Forum, ha parlato di versamenti di denaro e supporto logistico iraniano nei confronti di raduni, sit-in e manifestazioni sia in Europa che negli Stati Uniti ed ha esposto, tra i vari, il caso rilevato a Houston, Texas:
“Abbiamo scoperto prove di ciò a Houston, dove il regime iraniano sembra gestire moschee, gruppi di attivisti e studenti che sono profondamente coinvolti in manifestazioni pro-terrorismo, insieme a gruppi allineati ad Hamas”.
Poco dopo il 7 ottobre 2023, il direttore del think tank britannico Islamic Theology of Counter–Terrorism, Noor Dahri, aveva indicato l’evoluzione di Hamas da semplice organizzazione terrorista a ideologia globale.
Si tratta di un passo importante in quanto Hamas, così facendo, rende molto più complicata la lotta nei propri confronti in quanto si può combattere un’organizzazione terrorista, ma la sua ideologia rischia di diventare un “virus” in espansione. In aggiunta, tramite le alleanze di comodo, Hamas riesce a “diluirsi” all’interno delle masse popolari in rivolta, usufruendone delle reti e condizionandone la narrativa. Stessa cosa vale ovviamente per altri gruppi terroristi palestinesi come il Fronte Popolare, le Brigate al-Aqsa e la Jihad Islamica (PIJ).
Con la fase post-7 ottobre si è entrati in una nuova fase di metamorfosi dell’estremismo e del terrorismo di matrice islamista e mediorientale, forse ancor più complessa di quella in chiave ISIS e che necessita di nuove tipologie di contromisure. Del resto, si tratta di un fenomeno notoriamente mutevole, estremamente adattabile e dinamico.