Interviste

Per sconfiggere il male è necessario combattere: intervista a Fiamma Nirenstein

Di Fiamma Nirenstein tutto si può dire fuorché non abbia le idee chiare e non sappia difenderle con competenza e precisione. Da fiorentina doc, come un’altra illustre compaesana, Oriana Fallaci, sa che non può esserci vittoria senza combattimento, e senza rinunciare un solo momento a contrastare le menzogne con risolutezza. Lo fa con la sua voce, con i suoi articoli e con i libri, di cui recentemente ne sono stati pubblicati due, “7 ottobre 2023. Israele brucia”, e “La guerra antisemita contro l’Occidente” insieme a Nicoletta Tiliacos, entrambi editi da Giubilei-Regnani.

Partirei dal tanto annunciato attacco israeliano su l’Iran, che secondo le aspettative di molti o di pochi avrebbe dovuto assestare un colpo forte prendendo a bersaglio i siti nucleari e i pozzi petroliferi, mentre si è trattato di un attacco alle strutture militari in ottemperanza a quanto richiesto dagli Stati Uniti. Come lo valuti?

Si è trattato di un attacco perfettamente riuscito, a duemila chilometri di distanza, con aerei che sono riusciti a entrare dentro il territorio iraniano senza essere abbattuti dalla contraerea dello Stato che minaccia di distruggerci, per una profondità di settecento chilometri, prendendo di mira obiettivi militari strategici sotto la tutela delle Guardie della Rivoluzione. In merito alla scelta strategica operata da Israele, come te, come tutti coloro che hanno a cuore il futuro delle società libere e democratiche, avrei preferito la distruzione delle strutture atomiche e delle fonti energetiche, le basi della possibilità del regime di sopravvivere in quanto tale, tuttavia non mi permetto di dare un giudizio di natura strategica. Mi sembra che stiamo procedendo molto bene, siamo riusciti a eliminare Nasrallah, siamo riusciti a eliminare Sinwar. Il messaggio che mandiamo con questo attacco in profondità e realizzato  meticolosamente è un fatto di grande rilevanza per la nostra presenza qui e a livello mondiale, in grado di riconfermare la nostra deterrenza in maniera sostanziale. Vorrei aggiungere una cosa.

Prego.

Quando Israele uccide Nasrallah, o Hanyieh o Sinwar, lo fa quando le condizioni lo permettono, non quando si pensa che sarebbe opportuno farlo, come con questo attacco, che è frutto, evidentemente, di una lunga pianificazione alla quale si lavorava da anni, e che, per riprendere la tua domanda, è dipeso anche dal rapporto con gli Stati Uniti. Ci troviamo a pochi giorni dalle elezioni e questo suggerisce tutta una serie di valutazioni e di ragionamenti che hanno a che fare con la politica ma anche con il rifornimento di armi. In questi giorni sta arrivando il terzo pacchetto americano di difesa dai missili in grado di difenderci anche dai missili balistici, strutture che per diventare operative necessitano anche del know how americano. I fattori da prendere in considerazione sono molteplici.

Al di là della retorica solidaristica e della demagogia, questa Amministrazione americana, subito dopo il 7 ottobre, ha di fatto e sempre più pervasivamente cercato di commissariare la guerra a Gaza cercando di imporre le proprie condizioni. Quale è il tuo punto di vista?

Questa aministrazione è pesantemene gravata dall’ombra di Obama, il quale, non va dimenticato, con grande cecità morale e politica, ha promosso un rapporto di appesaement con un regime criminale come quello iraniano, riempendo i suoi forzieri di denaro e permettendogli di finanziare il programma atomico e il terrorismo, quello di Hamas come quello di Hezbollah. Continuare questa linea politica, non ribaltarla, questo è stato un limite enorme degli Stati Uniti, così come non posso dimenticare che negli ultimi giorni della presidenza Obama ci fu la condanna di Israele all’ONU grazie all’astensione americana. Sarebbe davvero terribile se l’Amministrazione Biden facesse una cosa del genere.

La Risoluzione 2334 fu una coltellata data alle spalle di Israele nel periodo del cosiddetto lame duck, cioè dell’anatra zoppa, quando il presidente uscente è alle battute finali del suo mandato prima dell’insediamento del presidente successivo. In cauda venenum è il caso di dire. Non può essere che alla luce di questo, Netanyahu, in merito all’attacco all’Iran non abbia deciso di agire meno da falco? 

Può essere. Chiaramente non si può escludere che Israele pianifichi ulteriori operazioni in Iran dopo l’esito delle elezioni americane, ma al di là di questo, quello che è estremamente difficile da sapere è cosa decidera Khamenei perché alla fine le decisioni fondamentali le prende solo lui dopo avere sentito il parere delle Guardie della Rivoluzione. L’attuale presidente è solo una controfigura.

L’Iran è il principale agente della destabilizzazione mediorientale, una piovra dai molti tentacoli. Fino a quando esisterà il regime di Teheran né Israele né il resto della regione e anche oltre la regione, può dirsi al sicuro. Nell’ambito di questa considerazione generale, e anche in merito all’attacco, tu cosa ti aspetti che accada in un futuro prossimo? 

Mi aspetto che venga chiarita al meglio l’importanza di tutti questi fatti che hai sottolineato. Uno degli elementi della schizofrenia occidentale è che si vede benissimo che l’Iran utilizza tramite Hezbollah i suoi droni e i suoi missili per colpire Israele e poi li usa tramite la Russia per colpire l’Ucraina, e non si stabilisce un nesso tra questi fatti né si stablisce con il fatto che diecimila nordcoreani combatttono con i russi né che molte delle armi che che vengono trovate nei tunnel di Hezbollah e di Hamas, sono di fabbricazione russa e nordcoreana. La Cina resta sullo sfondo ma è più furba, non si espone mai direttamente. Si tratta di forze che costituiscono un unico arco antioccidentale a cui va aggiunto anche il Qatar con i finanziamenti enormi erogati alle università. Si tratta di riprendere in mano le redini della propria razionalità fortemente compromessa e di tagliare i fondi a queste forze che agiscono unite per indebolire l’Occidente.

Ci troviamo difronte a un grande smarrimento, si scambiano forze oscurantiste come quelle rappresentate dall’Iran e dai suoi delegati come avanguardie resistenziali, e Israele che le combatte non solo per se stesso ma per i valori base che oggi costituiscono l’Occidente: libertà, pluralismo, democrazia, per l’incaranazione del male in terra. Alla fine si tratta ancora una volta della demonizzazione degli ebrei. Una volta la colpevolezza era riversata sul popolo ebraico oggi sul loro minuscolo Stato. Cosa hai da dire in proposito?

La storia ci mostra in modo irrefutabile che frequentemente l’odio antiebraico è stato la premessa per catastrofi maggiori. Hitler non decise di conquistare l’Europa e poi dopo utilizzò l’odio contro gli ebrei come un mezzo per farlo, è esattamente vero il contrario. L’ubriacatura dell’odio antiebraico ha già trascinato il mondo nella follia portandolo poi a bagni di sangue giganteschi. Oggi viviamo una deriva più lenta di quella del nazismo e che ha la sua origine nello stalinismo, in quanto la base dell’odierno odio antisemita è stata gettata dall’Unione Sovietica quando si accorse di non potere strumentalizzare Israele e capì che gli conveniva stare dalla parte degli arabi. È in quel preciso momento che Israele diventa imperialista, colonialista, razzista. Solo a causa della morte di Stalin nel ’53 si evitò in Russia una grande purga antiebraica. Già allora l’antisemitismo era il condimento principale di una enorme mole di propaganda. Nel ’67 Kruschev capì che gli Stati non allineati all’ONU potevano essere fatti entrare in orbita sovietica utilizzando come collante l’odio contro Israele per ottenere una presa di possesso dell’opnione pubblica mondiale utilizzando Israele per colpire gli Stati Uniti e la loro sfera di interessi. È in questo contesto che vengono all’esistenza i palestinesi intesi come minoranza oppressa e vittimizzata da una potenza coloniale. Oggi ci troviamo ancora dentro questo scenario.

Abbiamo assistito ed assistiamo al travaso dell’antisemitismo da un vaso all’altro, da quello nazista a quello sovietico, da quello sovietico a quello dell’integralismo islamico. Come contrastare questo condensato esiziale?

L’unico modo è attraverso la guerra. Si tratta cioè di combattere, di volerlo fare. Siamo già stati gli ebrei della Shoah.

Ma è quello che loro, gli integralisti islamici e i loro fiancheggiatori, vogliono che gli ebrei siano.

È così.

È questa cristallizazione che ha portato anche intellettuali ebrei, scrittori come Primo Levi, a introiettare il ruolo della vittima, dell’ebreo soccombente.

Non solo, ma anche quello dell’ebreo che dà la colpa di quanto gli sta accadendo ad altri ebrei. Il caso Netanyahu è emblematico. Mi rincresce molto dirlo, io che ho avuto mezza famiglia sterminata tra Firenze e la Polonia, ma credo che all’epoca della Shoah sia mancata la solidarietà e la determinazione necessaria per fare fronte comune contro i carnefici e vedo accadere la stessa cosa in una certa misura anche qui, anche se poi, per fortuna, ci sono questi ragazzi mervigliosi che vanno sul campo di battaglia, o i riservisti che appena seppero quello che stava accadendo il 7 ottobre corsero sul luogo per prestare aiuto, oguno portando la sua diversità, politica, religiosa, di vita, annullandola nella solidarietà. Qui in Israele abbiamo una garanzia di maggiore unità che ci è data dal fatto che qui siamo, ci sentiamo, più ebrei.

Mi sembra che tu abbia centrato un punto nevralgico, il fatto che in Israele si è più ebrei, cioè si è al cospetto di un coagulo ebraico ad alta intensità, e questo per molti rappresenta un problema, anzi, il problema, non solo per gli antisemiti doc, ma anche per una parte della cosiddetta intellighenzia ebraica progressista diasporica e interna a Israele, che ritiene che uno Stato nazionale sia troppo ebraico.

Che un italiano sia italiano è del tutto logico ma che un israeliano sia israeliano è imperdonabile. Che gli ebrei sulla base del principio dell’autodeterminazione dei popoli abbiano costruito il loro Stato nella loro terra ancestrale, questo risulta insopportabile. Bisogna spiegare agli ebrei della Diaspora che siamo in guerra, che la modalità da assumere è quella del combattimento, non quella delle scuse o dell’accomodamento. Quando Giorgia Meloni dichiara che le forniture di armi ad Israele sono cessate subito dopo il 7 ottobre come se fosse qualcosa di cui vantarsi, bisognerebbe chiederne ragione e non accettare che lo dica come se fosse una cosa normale.

Combattere dunque.

È l’unico modo per non soccombere, per non permettere al male di trionfare.

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