Nella mattinata di domenica 6 ottobre, la scrittrice e sopravvissuta alla Shoah, Edith Bruck, ha rilasciato al quotidiano La Stampa un commento sulle gravi violenze di ieri a Roma per mano delle frange filopalestinesi e di estrema sinistra.
Tra i vari punti evidenziati dalla scrittrice, ce n’è uno che va sottolineato in quanto legato alla questione sicurezza:
“Un Paese democratico non dovrebbe vietare il dissenso, però il ministro dell’Interno ha fatto bene a vietarla, ma credo sia stata una decisione presa per paura dei disordini, per paura che si potessero unire anche i fascisti, non per una questione morale. Se il governo l’avesse vietata per una questione morale sarebbe meraviglioso“.
Concordo pienamente con Edith Bruck. Anche io sono convinto che il Ministro degli Interni abbia vietato la manifestazione di ieri a Roma per paura dei disordini e non per una questione morale.
Se si fosse trattato di una questione morale, in questi mesi si sarebbero presi provvedimenti nei confronti di costoro che hanno utilizzato i pulpiti dei centri islamici e i social per glorificare Hamas, per diffondere antisemitismo e odio verso Israele, Stati Uniti e contro il governo italiano. Nel contempo si è arrivati alle liste di proscrizione, agli incitamenti all’”azione” nei confronti dei “nemici sionisti”.
Piantedosi è riuscito a farsi fare ben due giustissime interrogazioni parlamentari in tre mesi, da membri della sua stessa maggioranza, per chiedere chiarimenti sull’attività propagandista radicale e le posizioni filo Hamas dell’imam di Bologna e sulle liste di proscrizione del Nuovo Partito Comunista. Siti web e pagine di social inneggianti all’odio avrebbero dovuto essere chiuse e invece sono ancora in rete e attive.
Purtroppo, quella di ieri si è rivelata una mezza misura che ha portato nel contempo a gravi disordini (oltre 30 agenti feriti) e a una manifestazione che di fatto c’è stata, seppure in forma statica. Gli agenti anti sommossa erano pochi e hanno dovuto attendere i rinforzi prima di potere rispondere alle aggressioni dei pro-palestinesi.
Una manifestazione o si autorizza o si vieta, ma nel secondo caso il divieto fa fatto rispettare, altrimenti la situazione rischia di degenerare, come era prevedibile. La tattica del fare radunare all’interno di un perimetro chiuso coloro che infrangono il divieto e riescono a raggiungere il luogo di ritrovo può avere un senso nel momento in cui si procede a disinnescare sul nascere la manifestazione. Altrimenti è come autorizzare un presidio.
La linea di Piantedosi, e definibile come linea del “lasciare sfogare”, si è dimostrata fallimentare. La narrativa dell’odio, della violenza si è diffusa ampiamente su tutto il territorio ed è sfociata in violenza.
Se si fosse agito a tempo debito con la necessaria fermezza, forse non si sarebbe arrivati a questo punto, perché quelle espresse non sono “opinioni”, è odio. Le bandiere di Hezbollah e del regime iraniano sventolate ieri parlano chiaro, così come le dichiarazioni fatte da esponenti delle formazioni presenti in loco. La retorica estremista è ciò che alimenta l’azione violenta; aspettare che si passi alla violenza significa avere fallito su tutta la linea. Questo è quello che succede quando si tengono i piedi in due staffe.