Editoriali

L’affondo di Israele

Nel 2002 Hassan Nasrallah  dichiarava al Daily Star di Beirut, “Se gli ebrei si radunassero in Israele, ci risparmierebbero la fatica di cercarli in giro per il mondo”Ventidue anni dopo, a essere scovato ed eliminato, è stato lui nel bombardamento effettuato ieri dall’IDF a Beirut al quartiere generale di Hezbollah.

Il via libera all’attacco è arrivato da Benjamin Netanyahu, informato della presenza di Nasrallah e di alcuni maggiorenti dell’Iran all’interno dell’edificio, mentre si trovava all’ONU. E all’ONU, durante il suo discorso, il premier Israeliano dichiarava che nessun nemico dello Stato ebraico può sentirsi al sicuro in Medio Oriente, con coperta allusione a ciò che stava per accadere a Nasrallah.

In questi mesi abbiamo assistito alla progressiva decapitazione dei vertici di Hamas e di Hezbollah. Uno dopo l’altro i leader “imprendibili”, “inafferrabili” sunniti e sciiti, sono stati eliminati in operazioni precise. Come i dieci piccoli indiani del celebre romanzo di Agatha Christie, scompaiono dallo scacchiere regionale del terrore, e sostituirli non sarà facile, soprattutto sostituire un pezzo da novanta come Nasrallah, l’equivalente di Osama Bin Laden e a capo della più agguerrita e ramificata rete terrorista islamica del mondo.

All’ONU, Netanyahu è stato chiaro, insieme a Hamas, Israele ha la necessita esistenziale di occuparsi di Hezbollah, non ci saranno ulteriori attese o deroghe, la surreale tregua di 21 giorni proposta dall’improvvisata alleanza franco-americana è già affondata. Israele proseguirà le sue operazioni sia a Gaza sia in Libano, con un occhio sull’Iran, prossimo teatro, dove risiede la testa della piovra che muove da decennni i suoi tentacoli nella regione.

L’affondo attuale di Israele è dovuto essenzialmente a due fattori, il primo sono le condizioni operative per poterlo realizzare, con un dispiegamento di soldati limitato a Gaza dove il grosso dell’operazione militare iniziata a ottobre si è concluso e si procede al momento a contrastare quello che resta della struttura militare di Hamas sostanzialmente disarticolata, il secondo è l’incertezza su chi vincerà le presidenziali americane il 5 novembre prossimo.

Un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca garantirebbe a Israele un ampio margine di manovra, ma se dovesse vincere Kamala Harris, i tentativi di coartarlo sarebbero uguali se non maggiori rispetto a quelli posti dall’Amministrazione Biden. Da qui la necessità di dare un giro di vite che modifichi in modo sostanziale la situazione sul campo mettendo il principale alleato nella condizione di assistere a fatti irreversibili.

L’uccisione di Nasrallah segna, in questo senso, una accelerazione impensabile solo pochi mesi fa e la sicurezza acquisita da parte di Israele di poterla compiere in attesa che l’Iran faccia qualche mossa che gli possa costare molto, non avendo ancora avuto il coraggio di rispondere all’uccisione di Ismail Haniyeh a Teheran lo scorso luglio. La morte di Nasrallah, rappresenta per il regime di Khamenei l’ennesima cocente umiliazione.

 

 

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