Dal 1880 a oggi, i leader sionisti hanno perseguito una politica molto insolita, se non unica nel suo genere, nei confronti del loro nemico palestinese. Tale politica è finalizzata a impedire che i palestinesi soffrano economicamente, ma piuttosto che conquistino il benessere; che facciano propri i valori della classe media; che si abituino ad essere buoni cittadini borghesi, e forse anche che ringrazino i vicini ebrei. Da dove viene questa strana idea e quanto successo ha avuto?
Ritengo che sia strana perché il conflitto include quasi sempre un elemento di guerra economica: indebolire, demoralizzare e punire il nemico, rivoltare la popolazione contro i propri governanti o istigare una rivolta di palazzo. Per fare un esempio recente, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin nel 2022, l’Occidente ha immediatamente ridotto al minimo il commercio con la Russia per indebolire il suo sforzo bellico. Questa è la norma pressoché universale.
Il movimento sionista e Israele, tuttavia, hanno adottato fin dall’inizio un atteggiamento opposto, cercando di migliorare il benessere economico palestinese. Quella che io chiamo la politica di arricchimento rappresenta l’approccio israeliano più profondo, più forte e più duraturo nei confronti del suo nemico palestinese. Partendo dal presupposto che l’interesse economico palestinese accantonerebbe altre preoccupazioni, la teoria dell’arricchimento auspica che il miglioramento in termini di benessere sociale riconcilierà i palestinesi con l’immigrazione ebraica e la creazione di una patria del popolo ebraico. Da qui il marchio di fabbrica del sionismo: l’esclusiva idea che il progresso del movimento non dipendesse dalla tattica universale di privare il nemico delle sue risorse, ma da quella opposta finalizzata ad aiutare i palestinesi a svilupparsi a livello economico.
Così, il primo manifesto sionista moderno, pubblicato nel 1882 dal gruppo dei biluim, composto da giovani intenzionati a stabilirsi in Palestina, includeva una promessa “di aiutare nostro fratello Ismaele [cioè, i palestinesi] nel momento del bisogno”. A.D. Gordon, il primo sostenitore sionista del lavoro manuale, sosteneva che l’attitudine degli ebrei nei confronti dei palestinesi “deve essere di umanità, di coraggio morale, che deve rimanere sempre al primo posto, anche se la controparte non è proprio come la si vorrebbe. Anzi, la loro ostilità è una ragione in più per la nostra umanità”. Nel romanzo ”Altneuland”, pubblicato da Theodor Herzl nel 1902, un personaggio palestinese musulmano, un ricco mercante, esprime apprezzamento per “il carattere benefico dell’immigrazione ebraica”.
David Ben-Gurion si aspettava che i palestinesi, grati per i numerosi benefici che gli ebrei avevano portato loro, “ci accogliessero a braccia aperte, o almeno accettassero la nostra crescita e indipendenza”. Moshe Dayan usò il suo potere sulle decisioni iniziali di Israele in Cisgiordania e Gaza dopo la guerra dei Sei giorni per imporre un regime benevolo, sperando (nelle parole di Shabtai Teveth, un osservatore contemporaneo) che “stabilire una coesistenza reciproca tra ebrei e arabi” avrebbe creato “un rapporto di buon vicinato” e con questo, una riduzione dell’ostilità. Shimon Peres immaginava “un accordo tipo ‘Benelux’ tra Israele, Palestina e Giordania per gli affari economici (…) che consentisse a ciascuno di vivere in pace e prosperità”, e questa divenne poi la premessa della diplomazia israeliana negli Accordi di Oslo.
Tre decenni dopo, gli ebrei israeliani rigettano ampiamente quegli accordi e il concetto di arricchimento dei palestinesi. Tuttavia, aiutare i cittadini della Cisgiordania e di Gaza a prosperare rimane una politica governativa. In particolare, tale politica è stata adottata dall’establishment della sicurezza e dalla Destra governativa.
L’establishment della sicurezza. Il maggior generale Kamil Abu Rukun, a capo del Coordinamento delle attività governative nei territori del ministero della Difesa israeliano (noto come COGAT), giustifica gli aiuti umanitari a Gaza perché “aiutano la nostra sicurezza”. Un funzionario della sicurezza israeliano anonimo ha osservato all’inizio del 2022 che “Gaza senza un’economia è meno stabile di Gaza dotata di un’economia”. Il capo di Stato maggiore dell’IDF Gadi Eisenkot ha sostenuto che Israele avrebbe aiutato Gaza in cinque aree: elettricità, acqua, fognatura, cibo e assistenza sanitaria di base. Un funzionario dell’IDF aveva piani più ampi: “Vorremmo vedere un’economia di Gaza produttiva; sviluppi nell’agricoltura e nella pesca, e in futuro nell’industria, e l’attuazione di progetti più grandi”.
La Destra governativa. Avigdor Liberman vuole “aiutare Gaza ad avere successo” e “rimpiazzare il jihad con la prosperità”. Nir Barkat mira a triplicare i redditi palestinesi perché “alla fine, se è un bene per loro, lo è anche per noi”. Yisrael Katz sperava di raccogliere 5 miliardi di dollari in finanziamenti cinesi o sauditi per un mega-progetto di sua ideazione, vale a dire un’isola artificiale al largo della costa di Gaza con un porto marittimo, un aeroporto, un generatore di elettricità, un impianto di desalinizzazione e un’infrastruttura residenziale.
Benjamin Netanyahu ha consegnato direttamente e indirettamente ingenti somme di denaro all’Autorità Palestinese e ad Hamas. Il governo qatariota ha elargito le somme più consistenti. Nel 2012, l’emiro del Qatar ha celebrato la sua visita a Gaza con una promessa di 400 milioni di dollari ad Hamas. Nel 2013, ha promesso 250 milioni di dollari in occasione del vertice della Lega Araba, a Doha. Sono trapelate notizie di ulteriori sovvenzioni: 31 milioni di dollari nel 2016, 20 milioni di dollari nel 2019 e 50 milioni di dollari nel 2020. Fonti del Qatar segnalano una promessa di 500 milioni di dollari a Gaza nel 2021 e un aiuto complessivo a Gaza a partire dal 24 settembre 2023 di “oltre 2,1 miliardi di dollari”.
Verosimilmente, il comportamento conciliatorio di Netanyahu è più insidioso di quello dei suoi predecessori: questi ultimi si sono assunti la paternità delle proprie opinioni e dei propri metodi, mentre lui ha detto una cosa e ne ha fatta un’altra, confondendo l’elettorato.
L’assurdità della politica di arricchimento ha palesemente fallito. Mentre le intenzioni dei palestinesi rimangono tossiche e le loro azioni violente. Oltretutto, questo ceppo di sionismo ha radici profonde e sarà enormemente difficile da sradicare. Ma alla fine, se i palestinesi accetteranno mai lo Stato ebraico, gli israeliani dovranno abbandonare la loro strana, vecchia e ingenua mentalità di arricchimento e adottare quella abituale della guerra economica. Dovranno rinunciare a gestire il loro conflitto e cercare piuttosto di vincerlo.
https://www.danielpipes.org/22314/enrich-the-palestinians
Traduzione di Angelita La Spada