Martedì 30 luglio, il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha invitato Israele a non cadere nella “trappola” della ritorsione, dicendosi “molto, molto preoccupata” per la situazione in Libano e per il rischio di un’escalation regionale.
Come riportato dal JPost, parlando durante una visita ufficiale in Cina, Meloni ha affermato che la comunità internazionale dovrebbe continuare a inviare messaggi di moderazione e che la Cina potrebbe aiutare in questi sforzi, avendo “solidi legami” con l’Iran e l’Arabia Saudita.
Per comprendere le affermazioni di Meloni dobbiamo esaminare una serie di casi accaduti di recente.
Innanzitutto, guardare la tempistica: il 26 luglio l’agenzia di stampa Reuters ha rivelato che l’Italia ha deciso di nominare un ambasciatore in Siria, diventando la prima nazione del G7 a rilanciare la sua missione diplomatica a Damasco. Questa è davvero una questione preoccupante.
Va tenuto presente che la Siria fa parte del cosiddetto “Asse della resistenza” ed è un importante snodo per le attività iraniane e di Hezbollah contro lo Stato ebraico; pertanto, il territorio siriano è spesso preso di mira dall’aeronautica israeliana.
In secondo luogo, lo scorso aprile, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha rilasciato alcune dichiarazioni molto preoccupanti subito dopo l’aggressione dell’Iran contro Israele con oltre 300 missili e droni:
“Gli iraniani ci hanno assicurato che i nostri soldati italiani nella zona saranno rispettati”. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani a Stasera Italia su Rete4.
“Il contingente italiano in Libano è sotto l’egida dell’Onu, è in condizioni di essere protetto, non credo ci siano pericoli né per i soldati italiani né per i cittadini italiani in Israele e Iran” ha spiegato Tajani, che ha riferito che l’unità di crisi della Farnesina non ha ricevuto segnalazioni di italiani a Gerusalemme, Amman e Teheran. Quanto agli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso, il ministro ha spiegato come gli sia stato assicurato che “saranno attaccate solo le navi che portano armi in Israele”.
Considerando che la missione europea anti-Houthi “Aspides” nel Mar Rosso è guidata da Italia e Grecia, tali affermazioni sono chiaramente problematiche. Inoltre, le truppe italiane hanno davvero bisogno delle rassicurazioni dell’Iran per operare in Libano? Questo ovviamente non fornisce un’immagine positiva per le forze armate italiane.
Il governo italiano è preoccupato per i suoi 1200 soldati presenti sul suolo libanese come parte della missione Unifil; tuttavia, questa preoccupazione non può andare a discapito della sicurezza di Israele. Se siamo arrivati al punto in cui l’Italia deve preoccuparsi della sicurezza dei suoi soldati in Libano, allora la missione Unifil non funziona e il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, ha ragione quando dice che l’ONU dovrebbe riflettere sui risultati da essa conseguiti e sulla necessità di ridefinire una strategia.
Un terzo punto che merita di essere esaminato è la dichiarazione rilasciata dal ministro degli Esteri italiano Tajani dopo la strage del 7 ottobre, in merito alla cessazione delle spedizioni di armi a Israele in quanto “preoccupato che possano essere utilizzate per crimini di guerra”, come già riportato dal Times of Israel: “Abbiamo deciso di non inviare più armi a Israele, quindi non c’è bisogno di discutere questo punto”.
Crimini di guerra? O legittima difesa?
La fornitura di armi dell’Italia a Israele è in effetti limitata a una piccola percentuale, il che rende l’intero blocco di consegne irrilevante per la sicurezza di Israele, circa il 5%. Tuttavia, il messaggio trasmesso è piuttosto problematico. Soprattutto perché il governo italiano non sembrava preoccupato di tagliare gli accordi di difesa con la Turchia sotto Erdogan, come esposto da Al Arabiyya nel gennaio 2024.
Secondo l’agenzia di stampa araba, Italia e Turchia mirano ad aumentare il valore degli scambi commerciali tra i loro paesi a 32,7 miliardi di dollari (30 miliardi di euro) entro il 2030 rispetto agli attuali circa 25 miliardi di euro, secondo un funzionario informato sui colloqui. Inoltre, gli accordi di difesa tra i due paesi potrebbero includere la Leonardo SpA italiana, che lavora nel settore aerospaziale e della sicurezza a livello globale.
Non ci sono dubbi: un’escalation, con la conseguente ulteriore destabilizzazione della regione, rappresenterebbe un problema importante per tutti, e in primo luogo per Israele.
Tuttavia, è essenziale tenere a mente che la principale forza destabilizzante nell’area è l’Iran. L’eccidio del 7 ottobre 2023, l’attacco con i droni a Tel Aviv di venerdì 19 luglio 2024 e il massacro del campo di calcio di sabato scorso a Majdal Shams sono stati eseguiti da Hamas, dagli Houthi e da Hezbollah, tutti proxy iraniani.
Quanto alla Turchia, è schierata inequivocabilmente dalla parte del terrorismo islamista ed Erdogan sostiene Hamas sia a livello operativo che finanziario. Ciò rende la Turchia uno Stato che sostiene il terrorismo, proprio come l’Iran.
Non è possibile sostenere una posizione ferma contro il terrorismo islamista e allo stesso tempo relazionarsi con chi lo sostiene; correre con la lepre e cacciare con i segugi. Non è possibile. L’eccidio del 7 ottobre 2023 ha determinato uno spartiacque che ci impone di ridefinire posizioni e alleanze in modo molto netto.
Traduzione di Niram Ferretti
https://blogs.timesofisrael.com/italys-ambiguity-concerning-turkey-syria-and-iran-persist/