Va riconosciuto che fra i vari tipi di antisionismo in circolazione ce ne sono di più seri e di più comici. Alla prima categoria appartiene quello biecamente filo Hamas di Francesca Albanese, alla seconda quello di un vecchio cabotin da salotto di sinistra e centro sociale occupato.
Moni Ovadia, ebreo errante, itinera da anni sui palcoscenici e nei salotti televisivi, dove, sempre in abito da scena anche quando è fuori scena, catechizza gli ascoltatori e gli spettatori con la favola truce della cattiveria mostruosa di Israele, ragguardevolmente incrementata dalla presenza costante di Netanyahu e ultimamente dei suoi terribili sodali.
Durante un recente evento pubblico ha deliziato la platea partendo da un testo di Chaim Potok, Storia degli ebrei, rappresentazione pittoresca e fortemente idiosincratica del popolo ebraico che nessuno storico serio userebbe mai come testo di riferimento, ma più che perfetta per donare al pubblico l’immagine degli ebrei come erranti reietti appartenenti a genealogie diverse.
Attenti a ciò che è implicito.
Se non si dà un ceppo originario, il popolo ebraico non può rivendicare una identità forte, e senza identità forte è costretto a diluirsi in un universalismo meticcio, non, aberrazione delle aberrazioni, a edificare un paese a sovranità ebraica. Idealmente dovrebbe scomparire a meno di non conservarsi al modo di Ovadia, travestito come un ebreo da opera buffa alla corte del jihad.