Venerdì scorso, all’interno dei locali di Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche dell’Università di Torino, momentaneamente occupato dagli studenti «per la Palestina», un predicatore, rispondente al nome di Brahim Baya, ha recitato un sermone, un po’ in arabo e un po’ in italiano, con cui ha invitato gli «occupanti» al jihad per la «pace» in Palestina. Il predicatore ha anche demonizzato Israele, a suo dire popolato da «invasori arroganti e colonizzatori».
Questo episodio non deve sorprendere eccessivamente. L’adesione ideologica all’islamismo è, infatti, la logica conseguenza dell’antisionismo e dell’odio per la civiltà occidentale imperanti nelle università.
Gli studenti universitari indottrinati nei tanti «Palazzo Nuovo» d’Europa, prendendo parte a sermoni e preghiere musulmane, stanno collaborando con il secolare colonialismo islamico a danno degli «infedeli», ossia i non musulmani, non solo cristiani ed ebrei, ma anche buddhisti, yazidi, zoroastriani, aleviti… come hanno dimostrato i massacri dell’ISIS in Iraq e Siria alcuni anni fa, le cui vittime erano spesso anche curde, appartenenti cioè a un popolo esaltato dall’estrema sinistra occidentale, la stessa che oggi inneggia alla «resistenza palestinese», ossia alle stragi compiute da Hamas.
Tali studenti, la cui capacità di giudizio è specchio e prodotto di un’università in profonda deliquescenza morale e intellettuale, sono convinti che abbracciare i rituali islamici sia un modo per opporsi al «neocolonialismo» americano e sionista. Hanno dimenticato la loro storia e sono convinti che i loro ex quanto futuri conquistatori siano delle «vittime» poiché sono stati colonizzati per un breve periodo.
L’imperialismo islamico, a ben vedere, ha preceduto di molto quello europeo. I musulmani hanno soggiogato e sottomesso vasti territori in tutto il mondo, dall’Europa all’Asia fino all’Africa, eppure, nelle università intossicate da un facile esotismo, questa religione guerriera e schiavista viene considerata una «preda» dell’Occidente, una fede di oppressi, i cui imam o ayatollah vanno ascoltati con attenzione e devozione.
Da almeno un trentennio, l’Islam è ricomparso, con la consueta violenza, sulla scena internazionale, tornando a paralizzare lo sviluppo democratico d’intere nazioni e a soggiogare donne, minoranze culturali e razziali, oltreché tutti i non musulmani, senza che questo rinnovato colonialismo «verde» abbia suscitato lo sdegno e la riprovazione morale degli studenti occidentali e dei loro «cattivi maestri».
Gli islamisti come Brahim Baya non desiderano «liberare» la Palestina, ma distruggere Israele e sterminare gli ebrei; non sono qui per «decolonizzare», bensì per attuare una contro-colonizzazione dell’Europa, riprendendo quel progetto espansionista fallito alle porte di Vienna nel 1683. La loro missione non è solo quella di armare eserciti od organizzazioni terroristiche, ma dividere e indebolire le democrazie pluraliste, sfruttandone le libertà, le contraddizioni e le mancanze. Lo dichiarò espressamente lo sceicco Yusuf al-Qaradawi, dirigente dei Fratelli Musulmani, nel lontano 2002: «Con le vostre leggi democratiche, noi vi colonizzeremo. Con le nostre leggi coraniche noi vi domineremo».
Gli islamisti, come ha notato lo storico del diritto Jean-Louis Harouel, «cercano per l’Islam in Europa una dimensione statale, ossia che alcuni Paesi esistenti divengano musulmani o che i musulmani si ritaglino – in questo o altro Paese – uno o più territori. Il modello dello Stato del Kosovo, de facto musulmano, uscito da uno smembramento della Serbia, è illuminante».
I movimenti antisionisti sono il cavallo di Troia delle forze islamiste in Occidente, dato che legittimano le violenze di Hamas, come della teocrazia iraniana, e ne propagandano le tesi politiche, mascherate dietro al linguaggio dei «diritti umani» e della «decolonizzazione».
Gli ideologi di Hamas hanno ben compreso la sensibilità occidentale alla retorica «anticoloniale», come dimostra il documento di propaganda diffuso da Hamas alla fine del gennaio 2024 con lo scopo di giustificare l’attacco criminale del 7 ottobre, l’organizzazione islamista ha impiega il linguaggio della sinistra occidentale per meglio sedurla e mobilitarla. La «wokizzazione» dell’islamismo e la parallela «islamizzazione» dei progressisti rappresentano l’ultimo atto della grande convergenza tra Islam e sinistra radicale.
La lotta contro Israele e il «sionismo globale» è l’anello di congiunzione di tutti gli estremismi antioccidentali: islamismo, neosinistra «woke» e neonazismo filo-sciita. Avendo ben presente che gli ultimi due, in caso di vittoria sulla civiltà occidentale, saranno destinati a essere assorbiti dall’Islam, che non ammette, se non strumentalmente, l’esistenza di fedi o sistemi d’idee concorrenti.
L’Islam, come già detto, è imperialismo puro. L’unico vero atto di resistenza «anti-imperialista» è quello che si oppone al neo-espansionismo islamico, non a Israele, che mai ha occupato terre non sue. I fatti sono chiari, il problema è farli comprendere agli studenti. Un compito che spetterebbe alle università, oramai incapacitate nell’assolvere il loro ruolo, prostrate e sottomesse come sono alle mode intellettuali e al denaro dei Paesi arabi.