Diritto e geopolitica

La sovranità di Israele garantita dal diritto

David Elber,  “Il Diritto di Sovranità in Terra di Israele”. Salomone Belforte Edizioni, Livorno 2024.

Un libro che doveva essere scritto, ed è stato scritto. Esemplare per la conoscenza dei fondamenti legali dell’esistenza, e della libertà dell’indipendenza politica ebraica nello Stato di Israele. 

Ecco: David Elber, “Il Diritto di Sovranità in Terra di Israele”. Prefazione di Niram Ferretti, Postfazione di Bat Ye’or. Salomone Belforte Edizioni, Livorno 2024. 

Elber lo ha scritto con spirito scientifico, ampia e rigorosa documentazione, anche con un’emozione controllata nello smascheramento della leggenda nera dei falsi che alimentano un oceano di odio e morte, che vuole l’annientamento fisico degli ebrei. Un totalitarismo dominante, fanatico, genocida. 

Dunque, il diritto di esistere di Israele contro il crimine di esistere si fonda sulla roccia del diritto internazionale, in modo inconfutabile e incontrovertibile. 

Elber lo mostra su un piano di rigore giuridico, con la confutazione scientifica delle fragili, contorte, ideologiche s-ragioni al servizio degli imperialismi e negazionismi antisemiti. Una realtà giuridica solida e articolata, che demolisce la leggenda nera dell’”usurpazione”, delle “terre occupate”, e del “corpo estraneo”.  

In questo tempo barbaro in cui gli ebrei sono condannati a morte dalle nuove leggi razziali di odio e sterminio, la razionalità del diritto internazionale si leva e si eleva con il suo monito di giustizia. Nell’ora buia in cui una costellazione di terrore genocida, negazionismo, fanatismo antisemita, democrazie che tradiscono se stesse, vuole imporre a Israele una capitolazione davanti a chi vuole distruggerlo, vuole legittimare un totalitarismo sadico apocalittico, possiamo leggere queste pagine.  

Il fondamento granitico consiste nel riconoscimento, nella scoperta del legame storico indistruttibile tra il popolo ebraico di sempre e la Terra di Israele. Il diritto internazionale ha dato una veste legale a tale realtà pre-esistente, storica, sacra, laica-popolare, spirituale e materiale, radicale e radicata, consuetudinaria. 

Nessuna invenzione artificiale, ma solo legalizzazione di una realtà auto-evidente. Lo scopo del libro è mostrare “tutte le principali tappe giuridiche presenti nel diritto internazionale, che rappresentano le chiavi per dimostrare come il diritto internazionale abbia fornito al popolo ebraico la piena legittimità sulla sovranità territoriale su tutto il territorio del Mandato per la Palestina ‘propriamente detta’ – cioè la porzione mandataria a ovest del fiume Giordano, come deciso dalla Società delle Nazioni il 16 settembre 1922 e, conseguentemente, la piena sovranità sul medesimo territorio allo Stato di Israele, che ne è il suo successore.” (p.17) 

La tesi avversa di Israele “potenza occupante” delle terre di Giudea e Samaria, Gaza è un’aperta violazione del diritto internazionale. 

Il Mandato per la Palestina del 1922, approvato dalla Società delle Nazioni, si fonda sull’rticolo 22 del Patto della Società delle Nazioni e sui principi stabiliti della Dichiarazione Balfour sulla costruzione di una patria ebraica, riconosciuti dalla comunità internazionale in continuità con la Risoluzione della Conferenza di Sanremo. 

Il Mandato riconosce l’intero popolo ebraico, quello già abitante in Palestina e quello residente altrove, come titolari del diritto a un proprio stato. E confermava che gli ebrei già in Palestina ci stavano “per diritto e non per tolleranza”. 

L’Articolo 5 del Mandato conferma che la titolarità della sovranità territoriale apparteneva al popolo ebraico e alla Gran Bretagna che, come mandatario- tutore si limitava ad amministrarlo a beneficio degli stessi ebrei.

Elber confuta il mito di una ONU dotata di potere legislativo. 

Nell’Articolo 38 della Corte Internazionale di Giustizia “le uniche fonti di diritto internazionale riconosciute sono le convenzioni/ trattati e il diritto consuetudinario. In pratica, sono solamente gli Stati a emanare le norme di diritto internazionale e non le organizzazioni internazionali come l’ONU, che non è un organo legislativo, ma un’organizzazione politica composta da Stati.” (p.76)  

Altre sono le competenze dell’ONU: “L’ONU è stata creata nel 1945 per dirimere pacificamente eventuali controversie che si possono creare tra gli Stati, mediante proposte e pareri al fine di evitare conflitti armati.” (p.77) 

Ne consegue che l’ONU non crea gli Stati e neppure ne stabilisce i confini, perché l’ONU non possiede la sovranità territoriale ma si limita ad accettare quegli Stati già indipendenti che fanno una richiesta di adesione. 

Anche l’Assemblea Generale possiede il potere limitato di dare pareri e proporre soluzioni agli Stati membri e al Consiglio di Sicurezza.  

“In relazione al popolo ebraico, l’ONU non ha creato alcun diritto, semplicemente ne ha fatto proprio uno già riconosciuto dalla comunità internazionale a partire dal 1920 con la Conferenza di pace a Sanremo.” (p.84). 

La Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU, in un errato luogo comune, viene ritenuta il fondamento dello Stato di Israele: 

“Ma questa convinzione è una falsità, che però si riverbera in molti ambienti accademici, negli organi di informazione e persino all’ONU stessa, e nella Unione Europea. Invece, tale Risoluzione è stata solo un tentativo della comunità internazionale di cercare una soluzione al conflitto sanguinoso durante l’ultimo periodo del Mandato per la Palestina. L’iter per la sua formulazione è iniziato con la decisione inglese di rinunciare al ruolo mandatario. Tale decisione fu comunicata il 2 aprile 1947 e fu presa per un duplice motivo: l’impossibilità economica a mantenere la presenza militare sul territorio e, soprattutto, la sempre maggiore ostilità della locale popolazione ebraica e araba, ormai in procinto di combattere una vera e propria guerra civile. 

Così, il 2 aprile 1947 il governo britannico fece formale richiesta all’ONU in base all’articolo 10 dello Statuto, per avere un parere in merito al futuro dell’amministrazione del Mandato per la Palestina ‘propriamente detta’, cioè quello che ne rimaneva dopo l’indipendenza della Transgiordania, avvenuta l’anno precedente.” (p.91) 

L’Assemblea Generale si limitò a dare un consiglio al Regno Unito, Stato mandatario, su come procedere a una possibile spartizione territoriale del Mandato. Ma era indispensabile che ebrei e arabi “dovessero dare il proprio assenso per rendere vincolante il principio legale del ‘pacta sunt servanda’ (i patti devono essere osservati). Gli ebrei accettarono, mentre gli arabi opposero un secco rifiuto e decisero per la guerra.” (p.94) 

La Risoluzione restò lettera morta. Ma in seguito gli arabi le hanno attribuito poteri che non aveva, e l’hanno trasformata in uno strumento di delegittimazione della presenza ebraica in terre dove aveva diritti legali, cioè Giudea, Samaria e Gaza. Questo snaturamento è servito anche per disconoscere Gerusalemme come capitale legittima di Israele.  

Inoltre, si manifestava la decisa ostilità di George Marshall, segretario di Stato USA con la presidenza Truman, proprio contro l’indipendenza dello Stato di Israele.  

“Per tutti questi motivi, la dirigenza ebraica si trovò costretta ad accettare la proposta ONU di spartizione del territorio, già assegnato al popolo ebraico dalla Società delle Nazioni, pur di avere un minimo appoggio politico internazionale (che sperava potesse essere anche militare in caso di attacco arabo) e soprattutto per potere liberamente accogliere le centinaia di migliaia di sopravvissuti della Shoa che erano detenuti nei campi concentramento inglesi a Cipro, in Germania, in Austria, nelle colonie britanniche africane e asiatiche. Questa era la più grande priorità per il nascente Stato di Israele.” p.106) 

Mentre arabi e britannici non accettarono la proposta ONU, la leadership ebraica la accettò “nonostante fosse molto penalizzante per il popolo ebreo”. 

Negli ultimi decenni si è diffusa la tesi che Israele occupi i territori di Giudea e Samaria. 

“Tale convinzione è così radicata anche negli ambienti ebraici della Diaspora e in Israele stesso – soprattutto in quelli di sinistra – che la si considera una certezza fattuale.” (p.122) 

Questa leggenda nera è diventata uno strumento distruttivo per attaccare Israele, da parte di diverse amministrazioni Usa e, peggio ancora, da parte dell’ONU e dell’Unione Europea. Con particolare intensità dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, con la quale Israele, dopo essere stata aggredita da diversi eserciti arabi, riuscì a vincere con la riconquista dei territori di Giudea e Samaria, occupati dalla Giordania nel 1948, e della Striscia di Gaza occupata dall’Egitto. Ma alle fonti della delegittimazione ci sono errori israeliani:

“Il regista della fiction fu Meir Shamgar, l’allora avvocato generale dell’esercito di Israele, poi divenuto procuratore di Stato e successivamente presidente della Corte Suprema. Fu lui a decidere che tutti i territori conquistati da Israele al termine della guerra fossero amministrati nello stesso modo: ovvero secondo quanto disposto dalle Convenzioni dell’Aia e di Ginevra che regolano i territori occupati dopo un conflitto. Ciò a prescindere dal fatto che i vari territori conquistati da Israele (Giudea, Samaria, Striscia di Gaza), secondo il diritto internazionale, già appartenessero al popolo ebraico e quindi dovessero essere amministrati in modo differente (in base alla legge civile israeliana) rispetto agli altri territori conquistati (Golan e Sinai) che dovevano essere amministrati secondo i dettami dell’occupazione militare.” (p.123)

Il mito dei territori occupati è stato costruito con il contributo di clamorosi errori dei governi di Levi Eshkol e Menachem Begin, e di accademici quali Yoram Dinstein dell’Università di Tel Aviv.   

Inoltre: “Un’altra importante puntata di questa fiction pseudolegale l’ha fornita la Corte Suprema di Israele grazie al suo presidente di allora, Aharon Barak. In almeno due sentenze, egli ha dichiarato Giudea, Samaria e Gaza come ‘territori occupati’ senza fornire alcuna informazione in merito a chi detenesse la sovranità prima della presunta occupazione israeliana.”(p.131) 

Lo stesso procedimento è stato usato dalla Corte di Giustizia Internazionale. 

“La conseguenza di tutto ciò è stata quella di collocare a livello internazionale la tesi della presunta occupazione, ingigantendola in modo sempre più accusatorio e falso: dai ‘territori occupati’ si è passati nel corso degli anni al concetto di ‘occupazione illegale’, poi di ‘occupazione illegale dei territori palestinesi’ e via via al concetto di ‘insediamenti illegali’ o ‘insediamenti ostacolo alla pace’, anche se il concetto di insediamento nemmeno esiste nel diritto internazionale. Ciò è avvenuto con il solo fine di criminalizzare lo Stato di Israele”.

In tutti questi modi, il saldo fondamento legale della legittimità di Israele è stato sostituito da una narrazione falsa e pseudolegale, con l’effetto nefasto di passare da un saldo fondamento di diritto internazionale alla demonizzazione di Israele.

È accaduto e continua ad accadere, anche dopo il 7 ottobre: come sopraffatto dall’ampiezza e intensità dell’ondata antisemita universale, dal tradimento del diritto internazionale da parte dei governi occidentali, Israele, nel tentativo di aggrapparsi a un appiglio internazionale, finisce con il rovinare la sua causa e i suoi interessi vitali con l’assimilazione di tesi false autodistruttive. 

Per tornare alle fonti della certezza del diritto internazionale, alla ricerca della verità giuridica e politica, al coraggio fisico e morale della Resistenza Ebraica, contro l’inferno dei mostri antisemiti, un libro come questo è più che utile, è indispensabile.

Vi invito alla sua illuminante lettura.    

 

 

 

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