La Scuola Holden di Torino, il 26 novembre, in stretta collaborazione con il «collettivo» studentesco Progetto Palestina e con la sezione locale del BDS, ha ospitato un intervento dello «storico» Ilan Pappé.
Pappé è un antisionista di estrema sinistra, corteggiato dalle organizzazioni filopalestinesi, ma deriso con disprezzo dagli storici seri e professionali per il suo uso parziale delle fonti e per le sue ricostruzioni tendenziose dei fatti. A ben vedere, per lui, la definizione di «storico» è sprecata, si tratta piuttosto di un ideologo impegnato in un’opera di demonizzazione dello Stato d’Israele.
I libri di Pappé, veri e propri testi sacri per i palestinisti militanti, vagliati da storici seri come Benny Morris, Efraim Karsh, Daniel Gutwein e Yossi Ben-Artzi, sono rivelati per quello che sono, vale a dire opere di propaganda edificate su gravi errori e colpevoli omissioni, dove l’abnorme apparato di note serve a celare l’inconsistenza delle tesi formulate. Una tecnica che lo pseudo-storico ha appreso dall’amico Noam Chomsky, altro grande mistificatore della realtà israeliana.
Ilan Pappé, all’incontro torinese, ha ribadito le sue tesi sconclusionate, ottenendo scroscianti applausi dal pubblico e l’approvazione del prof. Roberto Beneduce, docente di antropologia culturale e animatore di quasi tutte le attività antisioniste del Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino.
Il fanta-storico, aggettivo che non vuole essere offensivo, ma che rispecchia pienamente la metodologia di Pappé, il quale ha esplicitamente dichiarato che «la lotta riguarda l’ideologia non i fatti. Chi sa quali sono i fatti? Cerchiamo di convincere quante più persone possibili che la nostra interpretazione dei fatti è quella giusta, e lo facciamo per ragioni ideologiche, non perché cerchiamo la verità», facendo così proprio il sofisma nietzscheano secondo cui non esistono fatti ma solo «interpretazioni», anzi, «narrazioni» che possono essere costruite o «decostruite» senza tener conto della loro aderenza alla realtà.
Pappé, per sua stessa ammissione, non è diverso da un romanziere o da uno scrittore di sceneggiature. A tutti loro interessa solamente fabbricare storie che facciano breccia nel pubblico. Lo storico-sceneggiatore si è dato come obiettivo quello di servire, con le sue storie, la causa «anticolonialista» e comunista – Pappé è stato attivo in Hadash, la coalizione di estrema sinistra guidata dal Partito Comunista Israeliano.
Ma veniamo ora ai contenuti del suo intervento. Lo storico della post-verità non poteva non cominciare dai massacri del 7 ottobre, da lui considerati il nuovo «pretesto» impiegato del governo israeliano per legittimare il «genocidio» dei palestinesi di Gaza e la «persecuzione» delle minoranze interne. L’iniziale e momentanea solidarietà pervenuta a Israele dopo l’attacco di Hamas sarebbe stata interpretata dalle autorità israeliane, almeno secondo Pappé, come un’autorizzazione a perseguire con le sue politiche «coloniali» e «genocidarie».
Poi, il fanta-storico è passato all’analisi delle narrative «fabbricate» dagli israeliani dopo le stragi: la prima riguarda quella che potremmo definire la «pista iraniana» dietro all’attentato. Pappé ha cercato di scagionare la repubblica islamica, che a suo avviso sarebbe stata persino «indispettita» dalle azioni di Hamas. Per fare simili affermazioni bisogna ignorare i fatti, i grandi nemici degli affabulatori, che indicano l’Iran come elemento chiave dietro l’attacco di Hamas nel sud d’Israele. Gli Ayatollah, tutt’altro che «indispettiti», hanno fornito armamenti, denaro e soprattutto know-how tecnologico.
La seconda narrativa concerne il parallelismo tra quanto avvenuto il 7 ottobre e la Shoah. Quella di Hamas, per Pappé, è stata un mera operazione militare nel corso della quale sono morti dei civili, non una carneficina pianificata a danno di persone inermi. L’uccisione deliberata di donne incinte e bambini, il rapimento di anziani e malati da usare come merce di scambio, non possono certo essere considerati un semplice atto di guerra, semmai rappresentano un crimine di guerra.
La terza narrativa, un corollario della seconda, che colloca la mattanza del 7 ottobre nel contesto di una storia globale dell’antisemitismo, capace di unire, al di là del tempo e della geografia, i nazisti e Hamas, sarebbe anch’essa falsa, sebbene esistano legami ideologici e politici tra i due movimenti totalitari, ampiamente documentati da studiosi del calibro di Matthias Küntzel.
All’origine della violenza, per il «narratore» di storie, vi sarebbe solo il movimento sionista, da lui considerato un «male per tutti», ebrei e arabi, e soprattutto la nascita dello Stato d’Israele, che avrebbe operato la tanto celebre quanto inesistente «pulizia etnica della Palestina» e istituzionalizzato un regime di apartheid. Per Pappé l’edificazione di Israele è un atto di colonialismo che «nega l’umanità dei palestinesi». Come ha scritto David Pryce-Jones sulla Literary Review: «Per lui, i politici e i soldati israeliani, tutti quanti, sono assassini. Le foreste sono state piantate solo per nascondere il passato». Una visione manichea che riflette una grave infezione ideologica.
La Striscia di Gaza, ci fa sapere Pappé, sarebbe «sotto assedio» dal 2006, minacciata dall’esercito israeliano e dai coloni ebrei, un vero e proprio «esercito privato». Peccato che a Gaza non vi sia un solo ebreo, men che meno con intenti «coloniali», dato che nel 2005, con il Piano di disimpegno unilaterale, Israele ha rimosso tutti gli abitanti israeliani della Striscia. Ancora una volta, come sempre quando parla Pappé, la finzione prende abusivamente il posto della realtà.
I sionisti avrebbero voluto imporre alla Palestina il «modello coloniale europeo», che il fanta-storico si guarda bene dal definire, ma per ragioni di mutata sensibilità rispetto a tali progetti di dominio, avrebbero optato per un approccio diverso, meno «tradizionale». Stando alle sue parole: «Israele ha adattato l’idea di eliminazione al XXI secolo». Una tesi che discende dalla sua distorsione del «Piano Dalet», un piano difensivo avente come scopo il consolidamento dei confini d’Israele, trasformato da Pappé in un progetto di pulizia etnica.
Fedele al suo manicheismo, verso la fine del suo intervento, lo pseudo-storico ha diviso il mondo in due: da una parte l’«Israele globale», composto dai sostenitori dello Stato ebraico, appoggiati dalla famigerata «lobby sionista», variante post-moderna della «lobby ebraica», e dal complesso militare-industriale, che sperimenterebbe le sue nuove armi a Gaza; dall’altra la «Palestina globale», che raggrupperebbe tutti coloro che lottano contro le ingiustizie, comprese quelle «climatiche» – non poteva mancare la strizzatina d’occhio agli ambientalisti.
L’incontro si è concluso con una serie di domande tanto compiacenti da risultare imbarazzanti. Pappé si è rivelato, ancora una volta, un bravo creatore di «giochi linguistici», capaci di sedurre individui sensibili ai sociologismi e alle passioni rivoluzionarie. Le astrazione fantasmatiche evocate da Pappé si sono sostituite alla realtà, producendo in chi le udiva la sensazione che fossero autentiche, senza però che vi fosse alcuna corrispondenza tra il suo «discorso» e i «fatti storici».
Le sue tesi sono, stando alla terminologia di Jean Baudrillard, un «simulacro» di terzo stadio, appartenenti a un «ordine della stregoneria», dove parole e immagini fingono di rappresentare qualcosa di reale.
Alla Scuola Holden, trasformata per l’occasione in un Grand Guignol anti-israeliano, è andato in scena il macabro e grottesco spettacolo di Ilan Pappé, una pièce che non sarebbe dispiaciuta agli autori dei «Protocolli dei Savi di Sion».
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