Editoriali

gregoriana

Ospite di Massimo Gramellini su La 7, Monsignor Gianfranco Ravasi, con il fare salottiero che gli è consono e in modo quasi scanzonato ha fatto delle affermazioni micidiali, che di un solo colpo, colpiscono al cuore decenni di dialogo ebraico cristiano.

Cosa ha detto il porporato, che, come tutti i membri del collegio cardinalizio, è un possibile candidato alla Cattedra petrina?

A una domanda del cantautore Roberto Vecchioni, il quale gli ha chiesto perché, tra mille religioni, il cristianesimo è l’unica che dice di amare il proprio nemico, Ravasi riferendosi alla guerra in corso ha citato da biblista, la legge del Taglione, spiegando che essa è, seppure criticata da Cristo, una legge con una sua logica di equità, in quanto, rispetta il “principio di proporzionalità”.

Dopo questa affermazione, l’ascoltatore attento non può che essere avvertito dove si sta parando. Non del tutto, perché Ravasi è in grado di spiazzarlo.

Con ovvio riferimento alla guerra in corso in Medio Oriente, ascoltiamo queste parole, “Cosa viene praticato adesso? La legge di Lamech”. Ovvero, citando il personaggio biblico discendente da Caino, Ravasi illustra come per Lamech la punizione per chi gli ha inflitto una pena sarà esorbitante, ovvero del tutto sproporzionata. Se Caino è stato vendicato sette volte, “Lamech verrà vendicato settantasette volte. É  la logica della vendetta totale”.

In questi giorni di antisemitismo montante, mancava ancora il tassello dell’antigiudaismo di matrice cattolica, prerogativa che la Chiesa ha esercitato fieramente fino al Concilio Vaticano II, mancava il ritorno sulla scena, degli ebrei vendicativi e violenti perché vendicativo e violento è il loro Dio.

Stupisce che a riproporlo sia non un esponente tradizionalista della Chiesa, non un seguace di Monsignor Lefebvre, ma uno degli esponenti più in vista di quella Chiesa rinnovata che in pratica avrebbe dovuto lasciarsi per sempre alle spalle quella che Benedetto XVI, riferendosi a Marcione, definiva una sua “costante tentazione”.

La gravità delle parole di Ravasi non può essere sottostimata, soprattutto oggi, nel momento in cui Israele, mai amato dalla Chiesa e riconosciuto con grande fatica come realtà statuale solo nel 1994, sta combattendo contro una delle più efferate organizzazioni terroristiche in circolazione.

Il breve discorso di Ravasi si è poi concluso con un richiamo alla dimensione utopica delle religioni, e a come si dovrebbe essere in grado in questo orizzonte ideale, di potere giungere a non reagire alla violenza.

Non sappiamo cosa Ravasi, fine biblista, si sentirebbe di consigliare a Israele a seguito dell’eccidio subito il 7 ottobre, se l’applicazione della legge del Taglione o il raggiungimento della dimensione utopica della non reazione.

Quello che sappiamo con sicurezza è come egli abbia fatto calare sugli ebrei israeliani che stanno combattendo una guerra esistenziale uno  stereotipo dell’antigiudaismo più retrivo.

 

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