Israele e Medio Oriente

Il mondiale in Qatar e il pregiudizio anti-israeliano

C’è voluto un torneo di calcio – anche se il più importante del mondo – per comprendere bene, a oltre due anni dalla stipula degli Accordi di Abramo, come stanno le relazioni tra Israele e il mondo arabo.

Qui su L’Informale avevamo espresso fin da subito dei seri dubbi (https://www.linformale.eu/un-accordo-imperfetto/ o https://www.linformale.eu/un-accordo-problematico/) in merito ai suddetti accordi, sia sulla modalità in cui venneri raggiunti sia su come la popolazione araba li recepì.  La cronaca recente ha ampiamente confermato queste riserve.

Un primo e importante esempio ci viene fornito dalle numerose cronache fornite da giornalisti israeliani che si sono recati in Qatar per seguire lo svolgimento dei mondiali di calcio. Le loro esperienze non lasciano dubbi: le aggressioni fisiche e verbali nei confronti degli israeliani sono la regola. Non si parla di aggressioni perpetrate da “ultras” invasati o estremisti religiosi ma da “normali” cittadini che non appena identificati i soggetti come “israeliani” li hanno coperti di insulti o lo hanno presi a spinte. I taxisti si sono rifiutati di trasportarli o i ristoratori di servirli. I numerosi episodi riportati non riguardano solamente i cittadini qatarini o di altri Stati arabi che formalmente non riconoscono Israele e non hanno relazioni diplomatiche, ma soprattutto di cittadini degli Emirati, della Giordania, dell’Egitto e del Marocco. Tutti questi paesi hanno firmato accordi di pace e in teoria dovrebbero avere buone relazioni con Israele ma la realtà dei fatti è ben diversa e i mondiali in Qatar forniscono una dimostrazione palese di come stanno realmente le cose tra la popolazione araba in merito alla loro percezione di Israele.

La situazione che si è palesata in Qatar è molto indicativa per diversi motivi. In primo luogo perché si tratta di un avvenimento mondiale di carattere sportivo e lo sport è da sempre considerato come uno strumento per avvicinare i popoli stemperando le tensioni della politica. Infatti, non risulta che altri tifosi o giornalisti siano stati aggrediti: né gli americani a causa delle guerre passate, né gli inglesi o i francesi a causa dei loro trascorsi coloniali, neppure si sono registrati scontri o tensioni tra tifosi arabi e iraniani che da secoli sono in contrasto tra di loro. Le aggressioni e l’ostilità hanno riguardato unicamente gli israeliani, e questo è bene ribadirlo, da parte di taxisti, ristoratori e altri cittadini comuni e, tra l’altro, in un momento di relativa calma politica tra Israele e il mondo arabo. Questi fatti, altre che gli immancabili richiami alla “causa palestinese”, che vorrebbe la “Palestina libera dal Giordano al mare”, sono un chiaro indice di come le società arabe siano percorse trasversalmente da un sentimento fortemente antisemita che va ben oltre il contenzioso con i palestinesi (sempre più palesemente un pretesto): gli ebrei sono visti come usurpatori, nemici a prescindere con i quali le relazioni civili vanno negate a priori, anche se i propri paesi non sono mai stati in guerra con lo Stato ebraico. Si tratta, evidentemente, di una ulteriore prova che non è in gioco la questione politica tra Israele e gli Stati arabi ma si tratta dei rapporti tra gli ebrei e gli arabi tout court.

Anche se i governanti di vari Stati arabi, che è bene ricordare non sono mai stati eletti da nessuno, si sono avvicinati ad Israele è solo per opportunismo politico (Egitto, Giordania, Sudan e Marocco) o perché spaventati dall’aggressività iraniana (Emirati, Bahrein) ma non certo perché i rispettivi popoli abbiano cambiato il loro atteggiamento nei confronti degli ebrei in generale e di quelli israeliani in particolare e il mondiale di calcio lo sta testimoniando.

E’ pur vero che le riforme molte volte vengono veicolate dall’alto cioè dai governi (soprattutto in mancanza di democrazia) e un po’ alla volta assimilate dalla popolazione. Ma sembra proprio che in questo caso, l’opportunismo dei governanti appare un principio assai debole per essere accettato da un’ampia fetta della popolazione e il rifiuto ad Israele è ancora troppo radicato per essere modificato da governanti mai eletti attraverso un voto democratico e che nei fatti non rappresentano il sentire comune.

 

 

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