Sul podio dell’Onu, il presidente a vita dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas mette in scena come da copione il rodato canovaccio che da decenni furoreggia e il cui nucleo narrativo è l’oppressione dei palestinesi da parte di Israele.
Non si stanca mai Abu Mazen di ripetere la storia perchè sa che oramai è diventata luogo comune, koinè diffusa a livello planetario. Nell’ascoltare il prevedibile cahiers de doléances del capobastone di Ramallah ci si rende però immediatamente conto che qualcosa non funziona, e la prima cosa che non funziona è il rifiuto di Abu Mazen, che è poi quello originario del mondo musulmano, di riconoscere la legittimità di Israele, disconoscendo la Dichiarazione Balfour e qualificando lo Stato ebraico come una “potenza coloniale” che perdura da 75 anni. Il resto, per dirla col Poeta, discende per li rami. E cosa discende esattamente è presto detto, è Abu Mazen stesso a dirlo chiamando “martiri” i terroristi che attentano alla vita degli israeliani o chi avendo già procurato la loro morte, come il detenuto martire Nasser Abu Hamid che ne ha uccisi sette e progettava di ucciderne altri dodici, sarebbe una vittima dell’incuria carceraria israeliana.
I terroristi, ha detto Abbas, “sono la viva coscienza del nostro popolo”, “martiri viventi”, un martirio che viene mantenuto vivo pagando a loro e alle loro famiglie salari attinti dai fondi che l’Occidente invia all’Autorità Palestinese e che Israele permette arrivino ai destinatari finali.
Nulla di nuovo dunque sotto il sole. Non è, dopotutto, lo stesso Abu Mazen che nel 2015 esoratava i palestinesi a difendere la Moschea di Aqsa purificandola con il loro sangue e in questo modo rilanciando l’accusa inventata negli anni ’20 da Amin Al Husseini che gli ebrei volevano distruggerla? Non è lo stesso Abu Mazen che nel 2016 al Parlamento europeo sosteneva che Israele stava avvelenando l’acqua nell’area sotto controllo palestinese in Cisgiordania, per poi poco dopo ritrattarla? Non è lo stesso Abu Mazen che facendo da sponda al negazionismo ha affermato più volte che Israele sarebbe nato da un complotto e, nel 2018, che la Shoah non sarebbe stata causata dall’antisemitismo ma “dalle attività bancarie ebraiche”? No, non si tratta di omonimia, l’uomo è lo stesso. Questo è l’interlocutore moderato con cui Israele deve trattare, d’altronde, come opzione alternativa ci sarebbero Hamas e il Jihad islamico.
Quando, sempre all’Onu, Yair Lapid apre ad Abu Mazen partendo dall’usurato presupposto dei due Stati a patto che prima vengano deposte le armi, sa benissimo che la sua richiesta cadrà nel vuoto.
Unicamente quando Israele avrà la determinazione di imporre ai palestinesi la realtà, come da anni consiglia Daniel Pipes, ovvero che la loro lotta per fiaccarlo e sconfiggerlo va archiviata definitivamente, ci si potrà sedere a un tavolo e ragionare con, da una parte i vincitori, dall’altra gli sconfitti, perchè la pace si può avere tra due contendenti soltanto se chi ha sempre fatto in modo di sabotarla venga messo con le spalle al muro.