E’ uscito recentemente, presso la Salomone Belforte Editore, il nuovo libro di David Elber, Il Mandato per la Palestina, Le radici legali dello Stato di Israele. David Elber, già autore di Due pesi, due misure, Il Diritto Internazionale e Israele, (Salomone Belforte, 2020), storico e studioso, è collaboratore de L’Informale. Su queste pagine ha pubblicato numerosi articoli sulla storia di Israele e su specifici temi legati allo Stato ebraico e al Diritto internazionale, di cui, in Italia, è oggi uno dei maggiori esperti.
Il libro, accompagnato da una sferzante prefazione di Bat Ye’or, offre ai lettori uno strumento prezioso per abbattere uno dei più persistenti capisaldi della propaganda contro Israele, quello secondo il quale la presenza israeliana in Giudea e Samaria (Cisgiordania, West Bank) violerebbe il Diritto internazionale.
L’Informale lo ha intervistato.
Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?
La ragione principale è stato il fatto che ancora oggi è purtroppo radicata la convinzione errata che il moderno Stato di Israele sia nato tramite “una decisione dell’ONU” e precisamente il primo passo sia stato la Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale del 1947. Questo, come ho illustrato nel libro è falso sia dal punto di vista storico che giuridico. Perciò il libro è stato concepito come uno strumento al servizio del lettore per capire questo errore e comprendere, invece, quali sono state le tappe fondamentali del Diritto internazionale che hanno giustificato la creazione dello Stato ebraico, avvenuti nei trent’anni precedenti l’ennesima proposta di spartizione, appunto quella del 1947.
Nell’introduzione del tuo testo scrivi, “Purtroppo ancora oggi è molto diffusa la credenza che lo Stato di Israele sia nato come una sorta di risarcimento, per giunta a danno di un altro popolo, agli orrori della Shoah. Ma nulla di più falso è stato detto e scritto”. Perchè è falso?
Questa credenza è molto diffusa in ambienti culturali molto diversi tra di loro e non è una prerogativa solamente di quelli che si dichiarano apertamente antisionisti. E’ una credenza alimentata proprio da chi sostiene – in buona o cattiva fede – che il punto di partenza legale per la creazione di Israele sia stata la Risoluzione 181 che è stata approvata due anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale e dalla Shoah. La conseguenza “logica”, per tutti quelli che non conoscono i trent’ anni di storia precedenti, sembra essere che la proposta dell’ONU fosse una “sorta di riparazione” per un popolo sterminato nella Shoah e che nulla aveva a che fare con quel piccolo pezzo di terra. Nel libro, invece, è descritto il legame tra il popolo ebraico e la terra dei suoi avi che non è mai venuto meno nel corso dei secoli. E questo legame, che è stato riconosciuto nel Diritto internazionale come “storico legame”, è alla base della creazione stessa dello Stato ebraico. Esso è il suo fondamento e trova piena legittimazione nell’Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni, tramite il quale sono stati creati i Mandati internazionali per aiutare i popoli non in grado di diventare subito indipendenti, come è successo in Europa dopo la fine della Prima guerra mondiale. Con i principi contenuti nell’Articolo 22 sono nati gli Stati di Israele, Giordania, Libano, Siria e Iraq se ci limitiamo al solo Medio Oriente. In totale sono nati 20 Stati in tutto il mondo con il medesimo principio.
Ancora oggi, anche tra cosiddetti “esperti” è invalsa la credenza che la Risoluzione 181 del 1947 sia il documento che legittima le pretese arabe su una parte se non su tutta la Giudea e Samaria (Cisgiordania, West Bank). L’ultimo capitolo del tuo libro è dedicato proprio alla Risoluzione 181. Vuoi brevemente spiegarci di cosa si tratta realmente?
Attorno alla Risoluzione 181 si è creata una autentica leggenda che ha alterato completamente gli aspetti di Diritto internazionale connessi al diritto di sovranità di quell’area. In breve la questione sta in questi termini, la Risoluzione 181 era semplicemente una proposta di divisione territoriale elaborata da una commissione istituita ad hoc, l’UNSCOP, e fatta propria dall’Assemblea Generale per cercare di evitare una guerra civile che si temeva sarebbe scoppiata tra arabi ed ebrei con il ritiro delle truppe britanniche e la fine del Mandato. Essa non ha alcun valore legale in quanto per lo stesso Statuto dell’ONU l’Assemblea Generale non aveva il potere di “decidere” alcun che. Essa poteva fare una proposta che avrebbe dovuto essere implementata dalla Gran Bretagna, in qualità di Potenza mandataria, e dal Consiglio di Sicurezza, i soli due soggetti titolati a prendere una decisione legale e questo solo perché il popolo ebraico aveva accettato la proposta, ed esso – il popolo ebraico – era l’unico soggetto che possedeva la sovranità territoriale nel Mandato per la Palestina propriamente.
La parte transgiordana riservata agli arabi era già diventata indipendente l’anno precedente. Ma davanti al rifiuto arabo di accettare la spartizione del territorio rimasto – cioè del 25% del territorio mandatario originario, il resto era già in mano araba – il Consiglio di sicurezza non implementò la spartizione con una propria risoluzione e così la Gran Bretagna la rigettò. Tanto è vero che proibì l’entrata, nel territorio mandatario, alle autorità provvisorie dell’ONU incaricate di implementare sul terreno la divisione prevista, soprattutto in merito a Gerusalemme, che sarebbe dovuta diventare città internazionale. In pratica già pochi mesi dopo la sua votazione, la 181 è rimasta lettera morta. E’ del tutto disonesto affermare, oggi, che essa abbia il ben che minimo valore legale. Soprattutto da parte di chi allora votò contro, i paesi arabi, o chi si astenne, la Gran Bretagna. Oggi, il vero scopo di questa leggenda è quello di dare una base legale, inesistente, a delle rivendicazioni politiche che essendo esclusivamente politiche devono essere risolte eventualmente politicamente tra le parti. Invece, la comunità internazionale “inventandosi” un diritto internazionale basato sul nulla vuole mettere pressione unicamente su Israele facendolo passare per l’usurpatore dei diritti degli arabo-palestinesi. Ma se la Risoluzione 181 avesse avuto valore legale, perché la comunità internazionale non ha mai detto nulla quando la Giordania ha occupato illegalmente quelle terre per ben 19 anni?
E’ dunque Il Mandato per la Palestina del 1922 a rappresentare il fondamento della legittima rivendicazione di Israele sui territori cosiddetti “occupati”?
Si è esattamente così. Ad oggi è l’unico atto di Diritto internazionale vincolante assieme alla creazione di Israele nel 1948. Nel 1922 poche settimane dopo l’istituzione ufficiale del Mandato per la Palestina dinnanzi al Consiglio della Società delle Nazioni, la Gran Bretagna, in qualità di mandatario, fece approvare dal Consiglio e poi dall’Assemblea della SdN un proprio memorandum in base all’Articolo 25 del Mandato, con il quale si divideva amministrativamente il Mandato stesso in due aree ben precise: ad ovest del fiume Giordano c’era l’area assegnata all’autodeterminazione del popolo ebraico, ad est del fiume l’area quella assegnata al popolo arabo. E’ tramite questo memorandum del 16 settembre del 1922 che si creano i “confini” legalmente vincolanti per il Diritto internazionale. Quando fu approvato il Mandato nel luglio del ’22 questo confine non esisteva. Sulla piena legittimità di questa divisione ci sarebbe molto da osservare. Ma oggi non ha più senso, inoltre, essendo stata approvata dal Consiglio e dall’Assemblea della SdN, per il Diritto internazionale è diventata vincolante. Quindi, ribadisco che per il Diritto internazionale tutte le terre ad ovest del Giordano appartengono al popolo ebraico.
Bat Ye’or nella sua prefazione al testo evidenzia i due principi su cui si incardina il Mandato che sono, 1) il concetto di nazione (lingua, cultura, storia) 2) la connessione storica di un popolo con il suo territorio. Vuoi spiegare il motivo per il quale questi due principi sono così importanti?
Questi due principi sono di fondamentale importanza per il Diritto internazionale per molteplici ragioni. Per prima cosa è di primaria importanza che un popolo sia riconosciuto come tale e questo proprio grazie ad una lingua e ad una cultura che lo identifichi e lo renda diverso da tutti gli altri popoli. Questo è il primo passo per il Diritto internazionale per il successivo – eventuale – riconoscimento di questo popolo come avente diritto a un proprio Stato. Non è automatico per il Diritto internazionale riconoscere il fatto che tutti i popoli abbiano i pieni requisiti per avere un proprio Stato nazionale. Tutto il mondo è pieno di queste situazioni: basti pensare ai catalani, ai baschi, ai bretoni, ai curdi, ai tibetani e a tanti altri popoli che non hanno un loro Stato nazionale. Il diritto del popolo ebraico ad avere un suo Stato nazionale è stato riconosciuto tramite il Mandato per la Palestina nel quale espressamente si citava la “storica connessione” del popolo ebraico con quella terra. Ed è tramite quella connessione che proprio quella terra e non un’altra fu destinata all’autodeterminazione del popolo ebraico. E’ in ragione della “connessione” tra popolo ebraico e terra d’Israele che il popolo ebraico diventa una nazione a tutti gli effetti avente diritto ad uno Stato nazionale, non certo per una “decisione” dell’ONU. Non poteva essere se non questo il fondamento, perché è proprio quella terra che è matrice del popolo ebraico in virtù della cultura e della sua storia.
Il tuo libro offre un affascinante excursus sulla genesi dei Mandati, sugli intrecci e gli interessi geopolitici e strategici che li hanno portati in essere. Una delle cose più interessanti è vedere come dalla Dichiarazione Balfour del 1917 al Mandato del 1922 e successivamente, gli inglesi abbiano modificato in maniera sostanziale il loro atteggiamento nei confronti degli ebrei. Cinismo, pragmatismo e spregiudicatezza hanno connotato il loro modo di agire. Quale è, da storico e studioso, il tuo giudizio complessivo sul loro operato?
L’operato dei vari governi britannici nei confronti del popolo ebraico è stato, nel corso dei decenni, molto ambivalente. Inizialmente, grazie alla convinzione di figure come Lloyd George e Arthur Balfour, la Gran Bretagna fu decisiva nel far riconoscere dalla comunità internazionale, non solo il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico, ma anche la sua stessa esistenza come un popolo con le proprie specificità. E questo anche prima della Dichiarazione Balfour del 1917. Infatti, la prima fondamentale tappa di questo processo fu la “questione dell’Uganda” del 1903. E’ da questo momento in poi che il popolo ebraico viene ufficialmente riconosciuto dal governo britannico come un popolo a tutti gli effetti. Come conseguenza di ciò bisognoso di un proprio Stato nazionale. Poi la Gran Bretagna è stata decisiva nel spingere le istanze contenute nella Dichiarazione Balfour e farle recepire dalla comunità internazionale a partire dalla Conferenza di pace di Versailles. La conclusione di questa politica la si ebbe con l’approvazione del Mandato per la Palestina prima a Sanremo nel 1920 e poi nel 1922 con l’istituzione del Mandato. Da questo momento in avanti, la posizione britannica inizia a cambiare e diventa sempre più ostile nei confronti dei sionisti. Gli interessi britannici già dal 1922 iniziano a divergere da quelli ebraici. L’istituzione di uno Stato nazionale ebraico non è più un interesse britannico anzi, divenne un “peso”, una fonte di contrasto con il mondo musulmano. Così gli inglesi iniziano a sabotare scientemente le disposizioni vincolanti del Mandato per la Palestina che loro stessi avevano contribuito a realizzare per creare la patria del popolo ebraico. Questa politica troverà il suo culmine nel 1939, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, con la pubblicazione del “libro bianco” con il quale di fatto si “neutralizzavano” le disposizione del Mandato stesso relative all’istituzione dello Stato ebraico.
Fu un atto politico palesemente illegale dal punto di vista del Diritto internazionale tanto è vero che la Commissione Permanente dei Mandati lo scrisse nel suo rapporto per il Consiglio della Società delle Nazioni. Poi scoppiò la guerra e la Gran Bretagna non indietreggiò neanche difronte al genocidio del popolo ebraico compiuto dai nazisti. Anzi con la politica illegale di vietare l’immigrazione ebraica nel Mandato per la Palestina, di fatto, gli inglesi in qualche modo divennero corresponsabili della tragedia della Shoah. Avrebbero potuto salvare centinaia di migliaia di persone. Anche dopo la guerra il loro atteggiamento ostile rimase immutato e negli ultimi mesi di presenza nel territorio mandatario commisero violenze a danno della popolazione civile e si schierarono apertamente dalla parte araba. In conclusione la Gran Bretagna fu decisiva nel far partire il processo che porterà alla nascita di Israele ma nel corso dei decenni si è rimangiata gran parte del suo appoggio. Israele è nato grazie alla caparbietà dei suoi leader e del suo popolo.
Alla luce degli Accordi di Oslo del 1993-1995, sotto il profilo del Diritto internazionale il valore del Mandato è stato in qualche modo pregiudicato?
No, in alcun modo. Anche per questi accordi vale quanto detto in merito alla Risoluzione 181. C’è una precisa volontà politica di attribuirgli delle valenze legali che essi non hanno. E’ sufficiente leggerli, così come e sufficiente leggersi la 181 per capire quale sia la loro competenza. In merito agli Accordi di Oslo, essi sono semplicemente degli accordi amministrativi concordati tra le parti. Ma queste parti non sono sullo stesso piano per il Diritto internazionale: da un lato c’è uno Stato, Israele, e dall’altro c’è un’autorità amministrativa, l’Autorità Nazionale Palestinese, che è stata creata per amministrare dei distretti amministrativi, ovvero, l’Area A e B individuate negli accordi, popolate quasi esclusivamente da arabi. E’ fondamentale capire che Israele non ha mai ceduto la sua sovranità su questi territori, c’è stato solamente un passaggio di competenze amministrative verso l’ANP per garantire una maggiore autonomia della popolazione palestinese. Questo, un giorno se le trattative riprenderanno, potrà portare alla realizzazione di uno Stato arabo su quei territori come in tanti si auspicano. Ma è bene mettere in chiaro che in nessun punto degli accordi è scritto che al termine del processo intrapreso vi sarà la soluzione “dei due Stati per due popoli”. Questo è solo un auspicio che è stato deformato da molti governi per colpevolizzare Israele a livello internazionale e far ricadere sullo Stato ebraico tutte le colpe dello stallo nel processo di pace. Ancora una volta il Diritto internazionale è usato a sproposito per far credere all’opinione pubblica che Israele sia il reo di qualche violazione che non ha commesso.
Quale ritieni possa essere, realisticamente, un possibile futuro sbocco in merito ai territori considerati “occupati”, come dovrebbe agire Israele a tuo parere?
Nell’immediato non vedo una soluzione diversa dall’attuale status quo. La realtà sul terreno è ben diversa da quella propagandata dalle cancellerie europee. Nei fatti l’ANP esiste solo sulla carta e non è assolutamente in grado di governare un territorio come uno Stato sovrano. Dopo quasi trent’anni dalla sua istituzione non ha una minima autonomia finanziaria, dipende totalmente dagli aiuti internazionali, non è in grado di provvedere alle infrastrutture minime necessarie ad uno Stato indipendente. La società è ancora divisa in clan in continua lotta tra di loro per appropriarsi degli aiuti e mantenere un proprio potere locale. Hamas prenderebbe il potere il giorno dopo il ritiro dei soldati israeliani e inizierebbe una guerra d’attrito esattamente come è successo a Gaza. Per Israele sarebbe un suicidio. Se volessimo paragonare a quanto fatto dalle istituzioni ebraiche nei 25 anni di Mandato per la Palestina per crearsi un proprio Stato con quello fatto in 30 dall’ANP si capisce chiaramente come l’ANP non voglia un proprio Stato: vuole semplicemente la distruzione di Israele. Ottenuto questo risultato tutto il resto è secondario. Io personalmente non penso che il popolo ebraico d’Israele sia dell’idea di suicidarsi come richiestogli dall’Europa e da alcune amministrazioni americane. Pertanto le cose rimarranno così ancora per molti anni.
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