Ogni giorno ha la sua pena e occuparsi di Chaima Faithi ne comporta un lieve accrescimento. Il personaggio non merita una particolare attenzione ma è indicativo di una operatività islamica propagandistica che si maschera da moderata e come tale viene accolta.
La giovane (nata nel 1993) Faithi si occupa delle pubbliche relazioni del GMI (Giovani Musulmani Italiani), e, in ottemperanza con il suo ruolo recita il mantra della presa di distanza dal “non Islam” dell’Isis e affiliati, tuttavia provando un amoroso e intenso afflato per quello non meno radicale dei Fratelli Musulmani e dunque di Hamas, che del movimento egiziano rappresenta la costola palestinese. Ora, essere moderati e difensori di Hamas è come essere incinta e allo stesso tempo non in stato interessante, in altre parole è violare il principio di non contraddizione. La Faithi probabilmente non ha frequentato molto la logica aristotelica ma sicuramente ha ben presente gli undici aurei punti del Dott. Joseph Goebbels, in particolare il sesto punto, il “Principio di orchestrazione” forse il più noto, certamente il più applicato, il quale recita. “La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentarle sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sempre sullo stesso concetto. Senza dubbi o incertezze”. Da qui proviene anche la frase: “Una menzogna ripetuta all’infinito diventa la verità”.
La Chaimi nella sua verde età ma nella sua già stagionata e consolidata carriera propone la vulgata secondo la quale i terroristi di Hamas sarebbero “partigiani” e gli israeliani “oppressori”, la Palestina terra rubata e Israele un “cancro” (uno dei topoi più abusati). Dato questo schemino, che peraltro funziona molto bene da decenni, tutto il resto ne consegue. Naturalmente basta mettere insieme una serie di fatti circostanziati e puntuali per demolire il teorema che nel suo postulato reggente afferma che gli ebrei avrebbero espropriato i palestinesi della “loro” terra. Il primo fatto riguarda appunto l’inesistenza di un popolo palestinese a cui di diritto apparteneva la “loro” terra. E’ l’epos che converte i palestinesi in nativi nordamericani espropriati dall’uomo bianco, e che da decenni procede con il vento in poppa. Come in tutte le fiction che si rispettano è necessario sempre cominciare da una idea, da un germe, per dirla con Henry James, sul quale, poi, sostanziare la propria narrativa. Ma non è questo il punto qui, la Faithi ci interessa perché rappresenta una indefessa continuità con la vulgata islamista estremista, di cui la giovane PR è in Italia una esponente che trova ospitalità in trasmissioni televisive dove si presenta come il volto rispettabile di quell’Islam al caramello che piace molto al nostro parrocchialismo politically correct.
In un suo post recente improntato ai dettami della pace, la PR dei Giovani Musulmani si scaglia contro la “colonizzazione” degli “assassini” israeliani che proprio tutto hanno rubato ai palestinesi, persino l’humus che lei considera un piatto tipico della “tradizione palestinese”. E’ sull’humus che intendiamo soffermarci, perché, come sempre, il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. E l’attribuzione dell’humus, la cui origine si perde nell’antichità, alla “tradizione palestinese” è uno di quei lapsus in cui il rimosso che affiora è quello di una volontà di appropriazione e di dominio tipica di chi considera la Palestina e tutto ciò che vi si trova dār-al-Islām, persino l’humus, fatto passare per un piatto autoctono di un popolo di cui nel passato non vi è alcuna traccia. D’altronde è la Carta di Hamas che proclama che il suo obbiettivo è quello di issare “lo stendardo di Allah su ogni centimetro della Palestina”.
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