I fantasmi del passato, il loro legame con il presente. L’intrecciarsi e sovrapporsi dei topoi.
Prendiamo Amin al Husseini, il Mufti di Gerusalemme negli anni Venti. E’ una figura rilevante per capire l’estremismo islamico e la sua simpatetica correlazione con il nazismo. L’antisemitismo a sfondo religioso di el Husseni è ampiamente documentato come il suo filonazismo, con buona pace di chi tenta di ridimensionarlo arrampicandosi sugli specchi.
Pierre André Taguieff ha ben illustrato come l’antisemitismo sia in grado di superare barriere ideologiche e culturali, (estrema destra, estrema sinistra, tradizionalismo, anarchismo) per unire fortemente laddove altro separa. Amin al Husseini rappresenta un raccordo emblematico tra Oriente e Occidente, una vera e propria testa di ponte islamica per la propaganda nazista. Islamismo e nazismo. Un gemellaggio naturale per el Husseni.
Scrive Matthias Küntzel nel suo studio seminale, Jihad and Jew Hatred, “Come presidente del Concilio Superiore Islamico (al-Husseini) era la più alta autorità religiosa. Cercò strenuamente di usare la propria posizione religiosa per islamizzare l’antisionismo e fornire una motivazione religiosa per l’odio nei confronti degli ebrei”.
L’ebreo responsabile della decadenza dei costumi, soggetto portatore di patologie culturalmente degenerative, nemico della morale, nonché cospirazionista, era il fantoccio agitato dal Mufti davanti alla folla araba, lo stesso che veniva agitato da Hitler nel medesimo periodo.
Nel 1940, al-Husseini scriveva, “La Germania e l’Italia riconoscono il diritto dei paesi arabi di risolvere la questione degli elementi ebraici…nello stesso modo in cui la questione ebraica è stata risolta in Germania e in Italia”. Il terreno era già stato ampiamente preparato. Nel 1938, in occasione della “Conferenza Parlamentare dei paesi arabi e musulmani” promossa dai Fratelli Musulmani, vennero distribuite ai partecipanti versioni in arabo del Mein Kampf e dei Protocolli dei Savi di Sion.
Fu il Mufti che nel periodo che va dal 1936-39 istigò la rivolta contro l’immigrazione ebraica in Palestina, grazie a fondi provenienti dalla Germania. Ma non tutti i palestinesi erano dalla parte di al Husseni. C’era chi, tra gli arabi, riteneva che con gli ebrei un accordo fosse possibile. Costoro venivano considerati traditori dalle bande del Mufti ed eliminati fisicamente (ciò che accade oggi da parte di Hamas nei confronti di quei palestinesi che vengono accusati, senza alcuna prova, di collaborazionismo con Israele e giustiziati sommariamente).
“La rivolta palestinese del 1936-39 fu anche un assalto contro gli oppositori del Mufti. Ci furono più omicidi all’interno della fazione palestinese di quanti ne vennero perpetrati contro gli ebrei e gli inglesi”, come scrive Abraham Ashkenasi nel suo Der Mufti von Jerusalem (Dopo la vittoria di Hamas a Gaza nel 2007, il regolamento di conti con Fatah costò 118 morti e più di 500 feriti).
E’ interessante notare che quando gli inglesi agirono con determinazione per sedare la rivolta, Der Volkische Beobachter, foglio di propaganda nazista, stigmattizò la brutalità inglese nei confronti dei…”combattenti della libertà” palestinesi. I “combattenti della libertà”. Tali e quali anche per la sinistra terzomondista di ieri e di oggi, a riprova di quanto siano accurate le analisi di Taguieff.
Il gemellaggio ideologica tra nazismo, islamismo e sinistrismo è monozigote quando si tratta di rappresentare Israele come l’oppressore e i palestinesi come le vittime. Esso giunge all’oscenità di un’inversione semantica ripugnante, quella di nazificare Israele. Basta leggere la Carta di Hamas per vedere dove si trova il nazismo, il suo legato. Di nuovo lasciamo parlare Amin al-Husseini, “Il diritto dei paesi arabi di risolvere la questione degli elementi ebraici nello stesso modo in cui la questione ebraica è stata risolta in Germania”.
I volonterosi esecutori del lascito hitleriano sono sempre all’opera.