C’è forse da porsi qualche domanda non troppo peregrina relativamente all’entusiasmo con cui al Cremlino è stata accolta la vittoria di Donald Trump alle ultime presidenziali americane. Non è un mistero per nessuno la simpatia espressa da Trump per Putin, simpatia a sua volta ricambiata. Certo, la vittoria di Trump ridona ossigeno all’autocrate russo il quale ha da tempo l’ambizione di rimettere la Russia al centro della scena dopo i disastrosi anni ’90, quando Boris Yeltsin, tra una sbornia e l’altra, concedeva a Bill Clinton di allargare l’influenza americana agli ex stati satelliti russi dell’Europa dell’Est attraverso la loro inclusione nella NATO. Le ultime elezioni americane si sono concluse sotto l’ombra della Russia e della sua interferenze informatiche a danno di Hillary Clinton e a vantaggio di Donald Trump.
Il presidente uscente Barack Obama ha sottolineato in modo incisivo i rischi che corrono i sistemi democratici e lo ha fatto facendo riferimento specificamente agli Stati Uniti, “Siamo la nazione più ricca e tecnologicamente avanzata, abbiamo una società più digitale; e siamo una società aperta, senza la censura e il controllo governativo di altri”. Della Russia, sempre Obama, fa un ritratto realistico e impietoso, “È una nazione debole, producono solo petrolio e armi, zero innovazioni. Possono influenzarci, come fanno con l’Europa, solo se siamo noi ad abbandonare i nostri valori, se perdiamo di vista quello che siamo”.
Putin è oggi il più spregiudicato e pericoloso giocatore politico che si trova sulla scena mondiale. Per lui la politica è solo un power game in cui ogni uomo ha un prezzo e gli amici da comprare sono tanti. Soprattutto gli amici occidentali, di cui ha molto bisogno per accreditarsi. Costoro vedono in lui l’uomo d’ordine intriso di robusti valori tradizionali riaffermanti la santa triade, patria, famiglia, nazione, da contrapporre al “declino” libertino-liberista delle società fondate sulla democrazia. All’ibridismo transgendersita, al meticciato multiculturale, Putin opporrebbe l’orgoglio patriottico della santa nazione bianca vigorosamente eterosessuale. Un piatto apparentemente appetitoso per neo tradizionalisti, conservatori restaurativi e populisti di destra, ma in realtà si tratta di una pietanza guasta per chiunque abbia a cuore gli assetti liberali e democratici.
Le mire di Putin sull’Europa sono sufficientemente chiare. Si tratta di fare appello ai movimenti nazionalisti e populisti fortemente euroscettici le cui piattaforme ideologiche improntate alla salvaguardia degli interessi nazionali in opposizione al globalismo, sono associate anche a robusti paletti anti-immigrazione spesso nutriti di xenofobia esplicita o sottotraccia. Il fatto che questi movimenti contengano anche al loro interno pulsioni illiberali, è il veleno nella coda per il quale la Russia non solo non offre alcun antidoto, ma ha tutta l’intenzione di diffondere.
Bisognerebbe a questo punto porsi la prima domanda. E’ davvero vantaggioso aprire le braccia al tutore di uno Stato di polizia repressivo e criminale con una visione neoimperialista fondata sulla violenza e la piena delegittimazione dell’avversario, come ha dimostrato l’aggressione dell’Ucraina colpevole di volersi avvicinare troppo al “degenerato” occidente, liberandosi dalla mortale morsa russa da cui è sempre stata succube? La Clinton, pur con tutte le sue vistose carenze, sapeva esattamente con chi aveva a che fare, come lo sapeva Bill Clinton. Per Putin, per le sue mosse strategiche, che prevedono l’estensione progressiva dell’influenza russa là dove le sarà concesso di esercitarla, una vittoria di Hillary Clinton sarebbe stata un ostacolo concreto. Con Trump alla Casa Bianca le incognite sono assai alte.
Il Medioriente è un altro scenario su cui Putin è riuscito a ritagliarsi un ruolo preminente. In soccorso di un vecchio cliente sovietico come la Siria, la Russia, per colpa dell’inconsistente politica regionale di Obama, è riuscita a ritagliarsi un ruolo preminente che non aveva più dai tempi della Guerra Fredda. La violenza esercitata in Siria, con bombardamenti a tappeto, in nome della battaglia al “terrorismo islamico” quanto può essere credibile quando si è alleati con un criminale come Assad appoggiato dall’Iran, uno dei principali sponsor del terrorismo islamico mondiale, a sua volta nazione con mire espansioniste e attivo in senso destabilizzante in Iraq, Yemen, Arabia Saudita mentre in Libano è tutore di Hezbollah?
Certo, alla corte di Putin sono in molti a recarsi, soprattutto molti “utili idioti” i quali pensano che sia lui la sorgente a cui dissetare l’arsura che hanno di ordine, fermezza e lotta all’integralismo islamico. Tra costoro abbondano gli antiamericani. L’antiamericanismo occidentale oltre a trovare un naturale alleato nell’Islam, lo trova anche, paradossalmente, in colui che si propone di combatterne l’escrescenza militante. Una cosa deve essere tuttavia chiara, se un ordine mondiale ha da essere, o lo è nel promuovere la democrazia e il liberalismo, o ha da esserlo in senso opposto. Da che parte stia Putin non è certo difficile vederlo.