“La verità è sempre in esilio” scrisse Baal shem Tov. Una riflessione che sembra fare da filo conduttore alle pagine del libro “Un askenazita tra Romania ed Eritrea – Herscu Saim Cahan” scritto da Dova Cahan. La verità s’immedesima nella famiglia Cahan che porta con sé cultura, intraprendenza, intelligenza, spiritualità, sentimenti. E lo fa forte dell’appartenenza a uno dei pilastri culturali su cui si fonda la civiltà: l’Ebraismo. Una verità che si manifesta in ogni ambito umano: lavorativo, religioso, politico. Una verità che sorregge la famiglia Cahan nel corso del suo trasferimento dalla Romania all’Eritrea. La verità porta con sé molti doni. Il primo è credere nei propri valori. Il tema centrale di questa vicenda umana è la libertà come più alta declinazione della verità. Sacrifici immensi, dolorose partenze, un’attesa interminabile per il rientro nella terra d’Israele.
La ferocia nazista non ha risparmiato nessuna famiglia ebrea. E anche quella dell’autrice ne rimane colpita. Alcuni suoi familiari sono morti nei campi di concentramento. E l’emigrazione della sua famiglia è forzata proprio dalla necessità di fuggire a un destino incerto che avrebbe potuto tingersi di ulteriore violenza e morte. Innanzi a un contesto politico a tratti feroce, la famiglia Cahan risponde con l’operosità, l’ottimismo e la positività. Il calore della ragione si coniuga con la fermezza del cuore. Il coraggio e la pervicace resistenza alla barbarie, le altre risorse di cui si alimenta la vicenda umana descritta con cristallina semplicità. La famiglia Cahan personifica un frammento di quella cultura mitteleuropea che a lungo ha rappresentato la pietra miliare del Vecchio Continente. L’esilio diventa così il luogo naturale che ospita la verità: un punto di arrivo verso nuove mete, ispirate da un amore per la vita che supera i canoni classici e le barriere dell’ordinarietà. Tema centrale di questa lotta per la vita è il sionismo. Herscu Saim Cahan sposa questa posizione con vigore e generosità. Il sionismo, insieme agli affetti familiari è la sua principale ragione di vita. Un’adesione convinta e appassionata, nobile e ricca di contenuti. Israele è il riferimento continuo che illumina il percorso della famiglia Cahan. Israele è allo stesso tempo simbolo, patria, luogo sacro; il fine e la meta verso cui s’indirizzano sforzi e sacrifici di tutto l’umano percorso. Israele come progetto che coniuga realtà e idealità; un luogo che è in fondo all’anima di ogni componente della famiglia e alimenta determinazione e fiducia. Non meno commovente è l’amore dell’autrice per i suoi cari. Affreschi che disegnano traiettorie affettive e un amore senza confini.
L’audace e volitivo padre impersona allo stesso tempo tenerezza e severità. Una dolce femminilità caratterizza il ritratto della madre. A tratti simbiotico e delicato, quello che unisce l’autrice alla sorella. A seguire una ritrattistica familiare che si segnala per l’efficacia della sintesi coniugata perfettamente a un affetto dalle mille sfumature e da un’intensità a tratti struggente a tratti vivificante. Dova Cahan esprime nelle pagine del libro il suo essere: cosmopolita, riflessiva, lungimirante. La sua cultura è continuamente ispirata dal “Sionismo come ritorno all’Ebraismo”, citazione non a caso più volte riportata nel testo. Un’annotazione merita la scrittura del libro pubblicato dalla Gds edizioni: sobria e immediata. E questa soluzione contribuisce a rendere nitidi i movimenti dell’animo, prima ancora che quelli fisici, della famiglia Cahan. Ricca l’esposizione fotografica che fa da appendice al testo e che immortala una storia che va ben al di là della trama di un film. La vicenda raccontata nel libro, infatti, ha tutti i connotati di un’opera d’arte. Neoromantica come una melodia diretta da Leonard Bernstein, poetica come un’opera di Marc Chagall, escatologica come una novella di Joseph Roth, limpida come un racconto di Stefan Zweig. Magistrale la capacità di Dova Cahan di descrivere l’ancoraggio del suo destino e della sua famiglia a quello della sua comunità: il popolo ebraico.
Corrado L’Andolina