Daniel Pipes, presidente del Middle East Forum, e uno dei maggiori esperti internazionali del Medio Oriente, è una presenza abituale su L’Informale. Lo abbiamo intervistato a proposito degli ultimi sviluppi.
L’amministrazione Trump sembra seguire la logica dell’Israel Victory Project promosso dal Middle Eastern Forum il 17 gennaio del 2017: ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele, ha chiuso l’ufficio dell’OLP a Washington, ha tagliato i fondi all’UNRWA e ad altre entità palestinesi. Con tutto ciò il suo iniziale scetticismo nei confronti dell’approccio del presidente Trump nei riguardi del conflitto arabo-israeliano si è modificato?
Resto scettico. Considero l’obbiettivo principale di Trump quello di indebolire il regime iraniano. A questo scopo ha ricompensato i sauditi con la vendita di armi e gli israeliani con Gerusalemme. I passi contro l’Autorità Palestinese servono come pressione per farla venire al tavolo dei negoziati e ricevere quello che ritengo sarà la sua ricompensa, il riconoscimento della Palestina con Gerusalemme come sua capitale. Se ho ragione, le cose non finiranno bene.
Intende dire che Trump sarà disponibile a concedere Gerusalemme Est ai palestinesi?
Non esiste alcuna entità legale chiamata “Gerusalemme Est”. L’amministrazione Trump è stata attenta a non specificare ciò che intende geograficamente per la capitale israeliana di Gerusalemme, lasciando aperta la possibilità di riconoscere una sua porzione come la capitale della cosiddetta Palestina.
Ciò non sarebbe in totale contrasto con la dichiarazione di Trump che Gerusalemme è la capitale di Israele e che la questione di Gerusalemme è “archiviata”?
La mia interpretazione del ripetuto uso da parte di Trump di questa espressione è che il lungo dibattito sul trasferimento dell’ambasciata americana sia da considerarsi concluso. Ma ciò lascia aperta la questione della putativa capitale palestinese. Tenga presente che i russi, in una mossa ampiamente ignorata, il 6 aprile del 2017 hanno annunciato “riconosciamo Gerusalemme Est come la capitale del futuro Stato palestinese”, aggiungendo, “consideriamo Gerusalemme Ovest come la capitale di Israele”. Il governo americano potrebbe fare la stessa cosa.
A L’Informale sembra che questi cambiamenti abbiano spazzato via vecchi paradigmi cambiando lo scenario del conflitto arabo-israeliano e offrendo a Israele la sua migliore opportunità fino ad oggi. Lei è d’accordo?
Staremo a vedere. Quando i palestinesi si siederanno al tavolo, le cose potrebbero sembrare molto meno rosee per Israele.
Cosa vorrebbe vedere in un piano della Casa Bianca per una pace israelo-palestinse?
Preferirei che non ci fosse alcun piano, ma che al suo posto il governo degli Stati Uniti incoraggiasse gli israeliani a vincere la loro guerra con i palestinesi. Ciò significa convincere questi ultimi che non possono conseguire il loro obbiettivo di guerra di eliminare lo Stato ebraico, e che al suo posto dovrebbero costruire la loro politica, la loro economia, la loro società e la loro cultura. E’ quello che chiamiamo la Vittoria Israeliana.
E’ d’accordo con il punto di vista di John Bolton espresso nel 2009 che il paradigma dei due stati sia una soluzione “senza sbocco”?
Sì, ed è curioso che lei me lo chieda. Bolton fece questa dichiarazione il 5 gennaio del 2009, la mia dichiarazione molto simile la feci il 7 gennaio dello stesso anno.
Peter Mulrean, il direttore dell’ufficio di rappresentanza dell’UNRWA a New York ha risposto alla decisione dell’amministrazione Trump di terminare i fondi all’UNRWA in questo modo, “Sembra che ci sia un grosso malinteso su come opera l’UNRWA relativamente alla modalità con cui trasferisce lo statuto di rifugiato generazionalmente e quello che fa l’UNCHR (l’Alto Commisariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), perché l’UNCHR opera esattamente nello stesso modo. Ci sono rifugiati afghani, figli e nipoti inclusi che hanno ricevuto lo status di rifugiati ”. Quale è la sua risposta?
Peter Mulrean sta prendendo per i fondelli. In casi eccezionali, è vero, l’UNHCR contempla una seconda e terza generazione, ma è insolito e comunque è una prassi che non va oltre la terza generazione. Con i palestinesi è una prassi fissa e va avanti fino alla nona generazione. L’UNRWA inoltre contempla altre vistose eccezioni sconosciute all’UNHCR: un palestinese può acquisire la nazionalità e restare un rifugiato; un palestinese può vivere in “Palestina” e essere un rifugiato. Lo scopo dell’UNHCR ha il chiaro scopo di ricollocare i rifugiati e di ridurre il loro numero. L’UNRWA ha il bizzarro obbiettivo di mantenere i rifugiati in questa condizione infelice e di aumentare il loro numero.
Il blocco di stati sunniti capeggiato dall’Arabia Saudita condivide con Israele un comune interesse nel contenere e terminare la minaccia iraniana. Questa alleanza è meramente di convenienza o, secondo lei, ha implicazioni più a lungo termine?
Qualcosa a metà tra le due. L’alleanza esiste perché c’è una minaccia comune, ma nel mentre continua e si approfondisce acquisisce un significato più ampio. Detto questo, fintanto che non sarà risolta la questione palestinese, le relazioni del blocco di stati sunniti con Israele resteranno fragili e limitate nello scopo.
Sull’ultimo numero di Commentary, Sohrab Ahmari, a proposito dell’affare Jamal Khashoggi, ha scritto: “Dobbiamo tenere in mente che un ordine crudele è meglio del disordine, che un’amicizia amara è sempre meglio dell’ostilità o dell’inimicizia, e che non ci sono democratici jeffersoniani in attesa tra le file dei sauditi”. Concorda?“
Sì. Vorrei aggiungere due cose. La prima è che l’assassinio di Khashoggi è una procedura standard in Arabia Saudita, solo che era un giornalista che viveva a Washington e quindi la stampa è impazzita su questo caso. La seconda è che se l’11 settembre, con 3,000 americani morti, ha appena scosso il legame tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, trovo difficile immaginare che l’assassinio da parte dei sauditi di uno dei loro soggetti e inoltre un fervente islamista, possa influire molto su questo legame.
Lei sembra sostenere che l’Arabia Saudita sia stata in qualche modo responsbile per l’ 11 settembre.
Sì. L’amministrazione di George W. Bush ha fatto del suo meglio per nascondere questo fatto, ma molti dei fatti sono poi venuti alla luce, specialmengte dopo la parziale pubblicazione delle famose “28 pagine” che mostrano “le prove incontrovertibili che ci sia sostegno per questi terroristi all’interno del governo saudita” O, nelle parole dell’analista Simon Henderson, “soldi ufficiali sauditi sono entrati nelle tasche dei terroristi”.
I rapporti tra Mosca e Gerusalemme sono precipitati dopo che i siriani hanno abbattuto un aereo russo in Siria. Dobbiamo aspettarci una crisi o prevarrà il pragmatismo?
Prevarrà il pragmatismo. I russi sanno che stanno mentendo a proposito della responsabilità israeliana. Hanno bisogno delle forze israeliane per contenere l’Iran in Siria e non vogliono o cercano l’ostilità con Israele.
Prevede la fine del regime iraniano in un futuro vicino vista la rinnovata ostilità americana?
Il regime prima o poi crollerà ma non so quando né che ruolo avranno le sanzioni americane. Nessuno aveva previsto i tumulti in Tunisia nel dicembre del 2010 e nutro dei dubbi che qualcuno possa prevedere quando qualche panetteria vuota o stazione di servizio senza gas possa dare vita a dei tumulti che faranno cadere la Repubblica Islamica dell’Iran.