Storia di Israele e dell’Ebraismo

Un sionista nel Gulag

Menachem  Begin, Prigioniero in Russia (1940-42), Giuntina 2024

Libro-memoria molto interessante e avvincente, con pagine bellissime. 

È la storia di un leader ebreo sionista sotto tortura nel carcere, poi nel terrore del gulag del regime sovietico. Una splendida, limpida fede sionista resiste nella libertà e nell’onore al fanatismo sistematico disumano mostruoso del totalitarismo comunista. Una cronaca fedele degli eventi con riflessioni illuminanti sulla natura e la prassi del comunismo russo. 

Menachem Begin, nato a Brest-Litovsk nel 1913, divenne nel 1937 il leader del Betar, il movimento giovanile del sionismo revisionista di destra, diretto da Vladimir Jabotinsky del quale Begin fu collaboratore, amico fraterno, continuatore.  

Il Betar agiva con coraggio e determinazione per far emigrare quanti più ebrei perseguitati possibile dalla Polonia in Eretz Israel. Nel 1939, quando il patto Hitler-Stalin aveva determinato l’invasione congiunta della Polonia, Begin dovette fuggire da Varsavia con la giovane moglie e si rifugiò a Vilna in Lituania. Qui fu imprigionato dalla NKVD, potente e spietata polizia segreta di Stalin, con l’accusa di essere “sionista ed elemento contro-rivoluzionario”. Sottoposto a implacabili, ossessivi interrogatori notturni e sevizie, poi deportato in un gulag, scopre l’orrore-terrore illimitato del sistema. E lo denuncia, con amore per la libertà, per i valori ebraici, per la radicale scelta sionista. 

Nel maggio del 1943, liberato nell’ambito di un accordo polacco-sovietico, realizza l’aliya, entra in Palestina come militare dell’esercito polacco guidato dal generale Anders. Divenne il leader dell’Irgun, organizzazione militare per l’indipendenza di Israele, fino al 1948 quando venne sciolta. 

Begin fu il leader dell’opposizione democratica ai governi laburisti fino al 1977, quando vince le elezioni con il partito da lui fondato nel 1973, il Likud, erede del partito Herut e dell’insegnamento di Jabotinsky. Come Primo Ministro divenne una celebrità mondiale quando sottoscrisse gli accordi di Camp David nel 1978 con il Presidente egiziano Sadat e la visita ufficiale di questi in Israele. Perciò ottennero entrambi il premio Nobel per la pace.  

“Prigioniero in Russia” testimonia con vivida memoria l’assoluta nobiltà liberatrice e rivoluzionaria del sionismo. Da ricordare in questo nostro tempo tanto oscuro, vile e disumano in cui il sionismo deve affrontare l’estremizzazione massima della demonizzazione/de-umanizzazione, ad opera di questo nuovo nazismo islamista jihadista, più feroce, sanguinario e ostentato dello stesso nazismo tedesco. Con l’aggiunta di un servile conformismo mediatico che avvelena e disgrega fragili democrazie. 

La memoria di Begin, inoltre, testimonia con umanissima franchezza la terribile realtà dei due totalitarismi gemelli, nazismo e comunismo, proprio nel tempo in cui erano alleati strategici per i loro scopi comuni di distruzione della democrazia , degli Ebrei, della libertà. 

Per certi toni e aspetti, questo libro appassionato si può accostare a quelli celebri di Raul Hilberg, “La distruzione degli Ebrei d’Europa”; Elie Wiesel, “La Notte”; Primo Levi; Aleksandr Solgenitsin, “Arcipelago Gulag”; Varlam Šalamov, “I racconti della Kolyma”.  

Quello che Pietro Citati ha scritto de “I racconti della Kolyma” si può comparare alla memoria di Begin : 

“L’idea comunista fornisce… il disprezzo per l’uomo, il desiderio di umiliarlo e calpestarlo sono in fondo all’anima, la meticolosa ossessione e precisione della ferocia quotidiana; tutti gli orrori sono premiati e santificati dall’ideologia. Di lui, come dei suoi compagni, si può fare qualsiasi cosa: processarlo, calunniarlo, torturarlo, sfinirlo, ucciderlo. […] La tortura non è niente. Non è niente spezzare le costole dell’ arrestato, picchiarlo, calpestarlo sotto i tacchi ferrati quando è a terra, frantumargli i denti in bocca o spegnergli le sigarette sul corpo; e nemmeno interrogarlo di continuo e non lasciarlo dormire per diciassette notti di seguito. La tortura fondamentale è sopraffare la volontà e l’anima del prigioniero con i farmaci e le iniezioni, fino a quando sottoscrive tutto quello che l’inquirente ha inventato. […] Nei lager, tra i lavori disumani e il gelo, le torture vengono moltiplicate […] Questa parola, fucilazione, viene coniugata ogni istante. Il detenuto viene fucilato se per la fame e l’estenuazione non riesce a realizzare la quota di lavoro imposta, viene fucilato se si permette la più innocente osservazione su Stalin, viene fucilato se tace, mentre tutti gli altri urlano ‘hurrà!’ a Stalin. Come Šalamov, abbiamo l’impressione che l’uomo, nella sua storia, non sia mai stato malvagio come nella Kolyma.” 

Dello stesso tenore sono le vibranti pagine memoriali di Begin, esplosive per l’inaudito orrore che descrivono, ma espresse con misurato distacco morale e anche ironico. Dove il testimone diventa scrittore, dove il lettore trova nella nuda esposizione fattuale il suo senso veritativo. Si narra l’inenarrabile, e il semplice accadere, con i suoi indicibili perché, riesce a dire più di una denuncia con invettiva. Così la penna di Begin tocca i cuori e le menti, che sono restati umani davanti a una realtà tanto disumana, implacabile, sistematica, sistemica, che supera l’immaginario più crudele. La perversione del fare il male più assoluto. 

Begin scrive della sua esperienza nel gulag, e spesso sembra che parli del lager, tante sono le analogie e tanti aspetti sono identici.  L’arte è più vera del vero, il suo dire riesce a esprimere anche un indicibile non detto. Come accade, ad esempio, in un mirabile capolavoro poetico profetico di Eugenio Montale, “Il sogno di un prigioniero”, dove nella mente annebbiata e martoriata di un deportato torturato non si distingue più la sottile differenza tra lager e gulag, dove la parola poetica rende meglio della cronaca e della storia la realtà-limite dell’infinita negazione mortifera della persona umana negli artigli dei due totalitarismi. Dove uccidere è l’atto finale di un annientamento integrale, “scientifico”, la riduzione a scheletro vivente, larva, verme. 

Quando Begin, verso la conclusione, si pone una domanda cruciale sulla comparazione fra i due totalitarismi terroristi, si dà per risposta che quello nazista è “a morte immediata”, fucilazione e camera a gas subito; quello comunista è “a morte lenta”, nel gelo, tortura, fucilazione rinviata, finale, spesso non avvenuta per morte preventiva. In ogni caso, l’odio genocida razzista del nazismo e quello classista del comunismo si somigliano, sono simmetrici e talvolta si fondono.  

Leggere Begin, dopo il 7 ottobre 2023, ci rivela la radice fondamentale dell’antisemitismo-antisionismo che sta dilagando, cioè appunto l’antisemitismo-antisionismo sovietico. Nelle parole stereotipate, ossessive degli inquirenti di Begin troviamo la partenza di tutta la guerra culturale di oggi per un nuovo sterminio degli ebrei, insieme alla straripante eredità dell’antisemitismo nazista della soluzione finale. Insieme, i due antisemitismi totalitari diventano materiale di costruzione di una nuova soluzione finale, con la pianificazione di nuovi 7 ottobre, della distruzione di Israele e della caccia all’Ebreo nel mondo. 

Nel racconto e nella riflessione della sua esperienza nel gulag, Begin comprende bene come e perché funziona la paranoia terrificante della realtà sovietica. Se le prigioni, anche nei paesi più o meno democratici, sono quello che sono, spesso incostituzionali e con aspetti illegali, degradanti e disumani (come ad esempio nell’Italia attuale), nei paesi totalitari raggiungono le vette del puro orrore. Perché nella realtà totalitaria carceri, lager e gulag sono solo la linea estrema di interi paesi-carcere, sistemi di totale schiavitù, di arbitrio assoluto, di negazione attiva del diritto, di odio illimitato per ogni forma anche minima di libertà, di eliminazione sistematica della vita privata, rifiuto dell’unicità irripetibile della persona singola, dove l’ordine è dato da una guerra civile permanente contro la maggioranza della popolazione nel comunismo, o una massificazione coatta di volenterosi carnefici nel nazismo. Con il dominio della guerra e della morte sulla pace e sulla vita, per entrambi.  

Dei suoi inquisitori-aguzzini, Begin scrive: “Si trattava di un mondo contro l’altro, e tra loro stava un abisso”. Nel mondo della NKVD, un criminale politico era “peggiore di un uomo che avesse ucciso dieci persone […] due mondi e l’abisso che li separa non è profondo, è senza fine”. Al colonnello che lo interroga l’autore dichiara che non voleva restare in Unione Sovietica, ma che stava attendendo i visti, perché “volevo andare in Palestina, la mia patria”. Ecco un’occasione per ricordare che il termine “palestinese” ha un senso solo per gli ebrei e per i sionisti. 

Appunto, un ebreo come Begin si definisce con orgoglio palestinese, come tutti gli ebrei in Palestina prima della fondazione dello Stato ebraico, mentre gli arabi periferici della zona, inquadrati nel panarabismo e nella Umma islamica, non solo non usavano questo termine ma lo disprezzavano. L’artificio del “popolo palestinese” sarà inventato dalla guerra psicologica dell’Unione Sovietica nelgli anni Sessanta, quando costruisce una sua organizzazione dipendente, l’OLP, votata alla distruzione degli ebrei palestinesi, finalmente divenuti cittadini liberi di un libero Israele indipendente. La prima democrazia vivente in una terra di predoni e tiranni. 

Begin resta sconcertato davanti alla realtà allucinante di una gran parte della generazione di comunisti idealisti che ha fatto la rivoluzione e la guerra civile e ora viene arrestata, torturata, fucilata in massa, che si auto-accusa dei crimini inventati dai persecutori e che si fa assassinare al grido di ‘Viva Stalin! Viva il Partito comunista bolscevico!’: “Che cosa ha indotto queste persone a questo duplice rinnegamento senza precedenti nella storia delle rivoluzioni?”.

E poi si interroga “quale sia lo scopo politico di questi ingegneri dell’anima, che chiedono a coloro che sono in procinto di morire di cessare di esistere, anche prima che il pietoso proiettile abbia attraversato il retro dei loro teschi.” Cerca una risposta, a partire dalla diversità ebraica:  

“Con la forza di questa religione del martirio, l’ebraismo privo di potere fu in grado di fronteggiare i suoi persecutori. Per lo stesso motivo il cristianesimo, la fede di una setta, divenne una religione diffusa mondialmente. Per lo stesso motivo il concetto di libertà prevalse sulla tirannia in tutti i continenti e in tutte le epoche. Grazie a essa, i ribelli ebrei nella Terra di Israele del nostro tempo hanno trionfato contro la potenza occupante britannica e contro il suo parente esercito. È una legge aurea della storia. Il sangue dei credenti è la vita della fede”.

Il sistema totalitario sovietico conosce bene questa legge, perché i suoi uomini l’hanno praticata. “Quindi impedirà ogni eroismo, martirologio, pubblicità del progresso. La sola possibilità per il condannato è scegliere tra un processo con annichilamento ideologico e l’eliminazione fisica senza processo.” Secondo Begin dipenderebbe da un isolamento assoluto, senza precedenti. “Sopra il muro dell’isolamento fisico viene costruito un altro muro. È impercettibile all’occhio umano, ma è più solido, più impenetrabile dell’altro che è fatto di ferro, cemento e torri di guardia. Questo secondo muro, il muro superiore, non costituisce un regime di isolamento, ma l’isolamento di un regime. Questo isolamento è senza precedenti nella storia”.

Il condannato che confessa, che sottoscrive l’ideologia e l’accusa del carnefice, sa che tutti e tutto lo macchieranno con infamia come nemico del popolo, spia internazionale, traditore malefico. Tutti i giornali, altoparlanti, la radio l’avrebbero insultato e maledetto, la famiglia demonizzata e perseguitata. La privazione prolungata del sonno, la tortura psicofisica, la fame, la sete, il sonno interrotto nel cuore della notte. E i primi a cadere erano proprio i ‘devoti del comunismo’, gli alti dirigenti abituati a decidere la vita e la morte e ora caduti in disgrazia, accusati di essere traditori e agenti del nemico. Un sistema talmente chiuso, paranoico, ottuso, folle, dove impera solo un’unica cecità ideologica dogmatica e fanatica, finisce col diventare l’abominio di condannati a morte che si sanno la morte da soli, firmano la confessione estorta e urlano ‘Evviva!’ ai loro assassini.    

Così come nei gulag glaciali dell’estremo nord delle notti bianche o in Siberia, i deportati soggetti a un lavoro schiavistico insostenibile, stremati da fame, umiliazione, percosse, ricorrono disperati alla pratica dell’auto-amputazione di parti del proprio corpo per sfuggire a una invivibile vita mortifera, disumana oltre ogni limite immaginabile.  

Atroce realtà quotidiana dell’Unione Sovietica è la mancanza di vita privata. È una caratteristica tipica di un totalitarismo così incombente, invasivo, capillare, asfissiante. Non si è mai soli nel mondo del collettivismo forzato, si mangia nella mensa tra centinaia di persone; in fretta, devi mangiare veloce per fare posto ad altri; si dorme nei dormitori, con tanti estranei. “Anche nella vita familiare non esiste intimità. Molti appartamenti sono condivisi tra diverse famiglie. Voi non potete immaginare quanto un sovietico desidera rimanere un po’ con se stesso o con la sua famiglia. Ma come riuscirci?”.

Lo Stato è tutto, onnipotente, onnipresente, l’individuo è nulla. “Vidi lo Stato in ogni città e villaggio, in ogni luogo di lavoro, in ogni aspetto della vita […] Lo Stato sovietico non solo si ‘vede’ ovunque e in ogni cosa, ma si ‘sente’ anche incessantemente”.

Si genera una polarizzazione primitiva tra una classe politica privilegiata nel potere, nell’agio e nel lusso, rifornita da negozi riservati, e una massa di schiavi straccioni e pidocchiosi: risultato  del proclamato egualitarismo assoluto. Domina una paura profonda, strutturale, che avvelena e mortifica ogni forma di vita. Vige “la consapevolezza assoluta dell’inutilità, della futilità di qualsiasi tipo di opposizione. Essa è riuscita a instillare una paura abietta, sino al midollo delle ossa, dei suoi cittadini. Non si tratta della paura ordinaria verso l’autorità e verso la punizione. È l’orrore del disastro. Come un uomo che si aggrappa con le mani all’orlo di un abisso oscuro e profondo pronto a inghiottirlo, così il cittadino sovietico ha paura alla vista del copricapo verde del Servizio di sicurezza dello Stato.” L’URSS è soggetta all’”eguaglianza della paura”.

L’autore descrive bene la follia del sistema delle code. Impossibile comprare ciò che serve. Si fanno file interminabili e prolungate per quel poco che si trova in squallidi negozi statali semivuoti. Spesso la gente delle file torna a casa a mani vuote. 

Invece il capitolo “E dopo la morte di Stalin?” resta non riuscito, impressionistico.  

Le ultime righe del libro esprimono la felicità della nascita da una aspirazione e volontà plurimillenaria dello Stato di Israele. La notte del 15 maggio 1948, dal microfono della stazione radio segreta dell’Irgun Tzvai Leumì, Begin parla al suo popolo: 

“Dopo lunghi anni di guerra clandestina, di persecuzioni e sofferenze fisiche e morali, quelli che si sono sollevati contro l’oppressione stanno ora davanti a voi con parole di ringraziamento sulle labbra, e con una preghiera nei cuori. Nel sangue della battaglia di una guerra di liberazione, lo Stato di Israele è risorto!”.

Una resurrezione che ha trovato nella rivoluzione sionista una ossatura vitale, come ci ha mostrato la vita esemplare di Menachem Begin, la cui opera dimostra che accordi di pace validi e coerenti non li fanno i pacifisti, ma i guerrieri della difesa. Una resurrezione oggi minacciata da un nuovo sterminio di morte da parte di orde ultra-barbare, totalitarie, genocide di mostri cannibali. Ma la fede sionista, il patriottismo israeliano, l’unità di un solo popolo tra israeliani e ebrei della diaspora, la religione, la tradizione, l’innovazione dinamica, la potenza memoriale e la visione futura forniscono alla resurrezione di Israele la forza della difesa e la tenacia della sua indipendenza. A ogni costo, per l’amore di Israele e per la libertà dei popoli.      

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