Nessuno dei leader mondiali e dei loro delegati seduti in platea alle Nazioni Unite ha potuto apprezzare, più di Benjamin Netanyahu, il primo discorso pronunciato ieri da Donald Trump nella sede del Palazzo di Vetro. La soddisfazione del premier israeliano era palese e i suoi applausi ripetuti. Non poteva essere altrimenti. Il presidente degli Stati Uniti è andato diretto all’attacco dell’Iran, nel corso di un ampio discorso teso a evidenziare il forte senso di sé della propria nazione e a sottolinearne il ruolo di “giroscopio dell’ordine mondiale” (con buona pace dei nazionalisti isolazionisti) secondo la definizione dell’influente consigliere di Woodrow Wilson, Edward House.
Ed è infatti la Repubblica Islamica sciita la preoccupazione principale di Israele da molti anni a questa parte. E’ l’Iran, con il suo dirompente dispositivo combinato di restaurazione imperiale plasticamente evidenziata dalla sua presenza in Siria, Libano, Iraq e Yemen, dalla sua vocazione missionaria rivoluzionaria e millenarista, l’attore politico più minaccioso e pericoloso del Medioriente. Pericolo, naturalmente notevolmente incrementato dall’accordo sul nucleare fortissimamente voluto dall’amministrazione Obama. Accordo bollato già in passato da Trump come il peggiore accordo mai fatto dagli Stati Uniti, concetto ribadito anche ieri nel suo discorso.
Sulla falsariga di Donald Trump, Netanyahu ha quindi ribadito, quando è stato il suo turno di parlare, la necessità di cancellare l’accordo o di riformarlo in modo sostanziale. Ed è la seconda ipotesi quella che allo stato attuale sembra prevalere a Washington: un intervento deciso sulla cosiddetta “clausula di caducità“, ovvero il termine dell’accordo fissato per il 2025 quando l’Iran non sarà più limitato relativamente all’arricchimento dell’uranio.
E’ stato il Segretario di Stato, Rex Tillerson, a specificare il punto prima dei discorsi di Trump e Netanyahu: “Non è un accordo sufficientemente rigido, non rallenta a sufficienza il loro programma, ma, cosa più importante, l’accordo giunge a un termine, e possiamo già cominciare il conto alla rovescia da qui a quando potranno riattivare la capacità delle loro armi nucleari”.
Su questa questione specifica, vi è tra Stati Uniti e Israele una decisa convergenza di intenti, già peraltro evidenziatosi precedentemente. Tuttavia resta aperta la questione relativa alla presenza iraniana sul territorio siriano, presenza che finora gli Stati Uniti non hanno contenuto delegando di fatto la Russia a svolgere questo ruolo. Delega che non può che suscitare forti perplessità da parte israeliana vista la spregiudicatezza del tutto strumentale con cui Putin si muove in Siria.
Resta comunque al momento un risultato politico netto per Netanyahu di cui Israele attende l’incasso effettivo nel momento in cui gli Stati Uniti interverranno direttamente. Starà a questo punto all’Iran la decisione se accettare le modifiche proposte o sfilarsi dall’accordo.