Il 45° Presidente degli Stati Uniti ha pronunciato ieri il suo discorso inaugurale, dopo aver prestato giuramento di fedeltà alla Nazione e alla Costituzione. Washington DC è sembrata fredda, grigia, dubbiosa, ma allo stesso tempo gremita di cittadini speranzosi di cambiamento. I sedici minuti inaugurali del neoeletto si sono magnificamente retti su un unico grande pilastro: il Nazionalismo.
Donald Trump vuole restituire il potere al popolo, partendo da un unico grande sforzo comune per ricostruire la società dall’interno. “Oggi non stiamo trasferendo il potere solo da un’amministrazione ad un’altra, né da un partito ad un altro. Oggi restituiamo il potere al popolo” ha affermato il presidente. “Il popolo tornerà a comandare”; insomma, un inizio a dir poco populista, ma nell’accezione positiva del termine, quella che non guarda solo alle grandi metropoli statunitensi ma che si affaccia alle piccole città, all’altissimo tasso di disoccupazione degli stati meridionali, alle zone periferiche dello Utah, del Missisippi e dell’Arkansas, dove troppo spesso la voce dei cittadini sembra eccessivamente lontana da Washington per essere ascoltata. “Il 20 gennaio 2017 sarà ricordato come il giorno in cui il popolo è tornato a governare il paese”.
Trump ha posto l’accento sul patriottismo statunitense, che nella storia non ha avuto rivali, ma che si è spento nei momenti di maggiore sfiducia dei Cittadini, tra il Vietnam e l’Iraq, in un arco di tempo nel quale il Destino Manifesto si è trasformato nell’imposizione della Democrazia Americana all’estero, impegnata di più in questa lotta che nel restituire al popolo la fiducia sul quale si è costruito nei secoli.
La nazione di Trump servirà i Cittadini Americani – America First – ascoltando, come non faceva da tanto tempo, la maggioranza silenziosa di Richard Nixon, nella convinzione quanto mai legittima che “ La Nazione esiste esclusivamente per servire i propri cittadini”. Acquistare prodotti locali, supportare aziende e industrie Made in U.S.A, proteggere i confini statunitensi prima di affacciarsi quelli del resto del mondo, e, infine, restituire alla politica estera il ruolo di rafforzare i rapporti con le altre nazioni, non più di dividerle.
Trump ha dedicato una parte del suo discorso inaugurale anche all’impegno contro il Terrorismo islamico una minaccia per tutto il mondo che merita l’attenzione e gli sforzi congiunti di tutte le nazioni. Il neoeletto ha anche dedicato una parentesi alle differenze etniche e religiose degli americani, le quali svaniscono sotto il peso del patriottismo e della fedeltà ad un’unica bandiera.
Unità, solidarietà, apertura, parole che hanno abbracciato la cittadinanza trasmettendo un calore che nessuno si sarebbe aspettato da un neoeletto così discusso. “Quando l’America è unita diventa inarrestabile”, ha affermato il presidente, assicurando ai cittadini che da questo momento il paese combatterà unito, tornerà a prosperare e a rappresentare un faro di democrazia e progresso per tutto il mondo, e alla fine l’orgoglio nazionale di aver “reso l’America grande di nuovo” riuscirà ad abbattere le differenze etniche, religiose, e politiche.
Proteggere gli interessi americani, le speranze e i sogni dei cittadini attraverso una politica economica protezionista, una politica estera isolazionista, e una politica interna costruita sopra le esigenze della classe media, ormai in declino, questo il progetto presentato al pubblico di Washington.
Donald Trump ha inaugurato la sua presidenza con un discorso coerente e in linea con le dichiarazioni rilasciate nel corso della campagna elettorale; il suo obiettivo è quello di lottare per gli interessi dei propri cittadini anche a costo di calpestare l’internazionalismo che da numerosi anni chiede a questi (soprattutto ai soldati) sforzi oltre le loro possibilità. Non ci resta altro che augurargli buon lavoro, nella speranza che riuscirà a mantenere le promesse al popolo.