Massimiliano Di Pasquale (Pesaro, 1969) è ricercatore associato dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici. Ucrainista, esperto di Paesi post-sovietici, negli ultimi anni si è occupato di disinformazione, guerra ibrida e misure attive anche sulle pagine di Strade Magazine (stradeonline.it).
Membro della Sezione di Studi Baltici dell’Università di Milano, nel 2012 ha pubblicato Ucraina terra di confine. Viaggi nell’Europa sconosciuta, che ha fatto conoscere l’Ucraina al grande pubblico italiano. Nel 2018 è uscito per Gaspari Editore Abbecedario ucraino. Rivoluzione, cultura e indipendenza di un popolo, cui ha fatto seguito nel marzo 2021 Abbecedario ucraino II. Dal Medioevo alla tragedia di Chernobyl.
Ha accettato di rispondere alle domande de L’informale.
Nel 2014, la Russia ha occupato e annesso, illegalmente, la Crimea. A causa di questa violazione del diritto internazionale è stata sanzionata economicamente da Unione Europea e Stati Uniti d’America. In Italia, molti partiti, di destra come di sinistra, hanno contestato le sanzioni e sostenuto che Mosca sarebbe un alleato essenziale. Le ammende inflitte alla Russia danneggiano l’economia italiana? Mosca è davvero un partner fondamentale?
Come lei ha giustamente sottolineato in Italia molti partiti sia di destra che di sinistra e una considerevole parte dell’opinione pubblica esprimono un parere sostanzialmente negativo sulle sanzioni. Molti pensano che siano dannose per la nostra economia perché ritengono Mosca un partner essenziale, altri le avversano sostenendo che, oltretutto, non sono utili alla risoluzione del problema politico. Prima di analizzare la questione da un punto di vista economico volevo fare alcune considerazioni per rispondere a chi afferma che le sanzioni non servono a risolvere il conflitto tra Russia e Ucraina. Le sanzioni sono state introdotte da UE e Stati Uniti in risposta all’occupazione della Crimea. Questo pacchetto di sanzioni contro la Russia è stato ulteriormente inasprito dopo l’abbattimento il 17 luglio 2014 di un volo di linea della Malaysia Airlines sui cieli del Donbas da parte di proxy russi, che provocò la morte di 298 persone tra passeggeri e personale di bordo. Come hanno fatto notare storici quali Timothy Snyder e Serhii Plokhy l’annessione russa della Crimea e la guerra ibrida in Donbas vanno letti come tentativi di destabilizzare non solo l’Ucraina ma l’intera Europa. Di fronte ad azioni gravi come queste, che minacciano le fondamenta dell’ordine internazionale, cosa avrebbero dovuto fare Stati Uniti e UE? È chiaro che l’unica risposta possibile era votare un pacchetto di sanzioni mirate visto che nessuno auspica un conflitto militare con la Russia. Ho usato il termine mirate perché c’è grande ignoranza su questo tema. Forse non molti sanno che le sanzioni non hanno mai imposto l’embargo sull’esportazione in Russia di beni di consumo. Per cui quello dei produttori italiani devastati dalle sanzioni è un mito o se preferite una fake news. A partire dall’annessione della Crimea nel 2014, le sanzioni economiche dell’UE sono mirate al settore economico, a quello energetico e a quello della difesa e colpiscono 150 persone fisiche (alti funzionari moscoviti, numerosi deputati e senatori e diversi oscuri funzionari della Crimea, guerriglieri e “ministri” delle autoproclamate repubbliche di Luhansk e Donetsk) che non possono entrare in Europa e si sono viste congelare i loro beni nella UE (società, immobili, conti correnti). L’embargo riguarda anche a una ventina di entità politiche russe e separatiste e undici grandi imprese russe – cinque banche statali, tre major petrolifere a partecipazione statale e tre grandi aziende belliche di stato – che non possono ricevere prestiti o collocare strumenti finanziari presso partner europei per più di 30 giorni. Ciò a cui si riferisce l’opinione pubblica, spesso senza rendersene conto, sono le “controsanzioni”, ossia l’embargo voluto da Putin alle importazioni di numerosi prodotti alimentari europei. Ma questa contromisura russa ha danneggiato in primo luogo i consumatori della Federazione, visto che la Russia importava nel 2013 circa la metà dei prodotti alimentari che consumava, e il 40% di queste merci proveniva da Paesi europei. Prima di Natale i leader europei hanno deciso all’unanimità di estendere le sanzioni fino al 31 luglio 2021. Le misure, rinnovate due volte l’anno, hanno colpito gravemente la Russia: si stima che la sua economia sia diminuita del 6% alla fine del 2018 a causa delle sanzioni di UE e Stati Uniti. In estrema sintesi, come afferma anche uno studio dell’ISPI, le sanzioni europee non hanno colpito duramente l’export italiano. Il calo sperimentato dalle esportazioni italiane in Russia dal 2013 al 2017 è stato relativamente poco significativo rispetto al totale delle esportazioni italiane all’estero, pesando nel 2017 per circa l’1% del totale. La Russia avrebbe potuto diventare un partner economico importante per l’Italia e per gli altri paesi europei se avesse veramente realizzato quelle riforme economiche, promesse da Putin nei primi anni della sua presidenza, per sviluppare il settore manifatturiero e per modernizzare il settore energetico. Il grave problema demografico – intorno al 2050, secondo le cifre dell’ONU, la popolazione totale della Federazione sarà diminuita di ben 10 milioni assestandosi su una cifra intorno a 135 milioni (su un territorio pari a un ottavo delle terre abitate mondiali) – sembra condannare la Russia a un ruolo marginale negli scenari geopolitici futuri. È illusorio pensare che, a fronte di un calo demografico così consistente che avrà ripercussioni evidenti anche sulla forza lavoro con un settore energetico arretrato e prezzi decrescenti, petrolio e gas possano, come negli Anni Settanta, garantire la sopravvivenza della Russia. I petrol rubli possono aver arricchito le élite e riempito gli scaffali dei negozi con beni di lusso importati, ma queste trappole della ricchezza hanno avuto come costo il prolungato declino del settore manifatturiero e dei settori di esportazione non energetici.
Il presidente Putin, per il suo conservatorismo, la sua fede cristiana e i suoi metodi risoluti, è diventato un leader ammirato, talvolta in modo parossistico. Lo Zar, come viene talora chiamato, è un autentico conservatore oppure uno scaltro autocrate, che usa il nazionalismo e la religione come instrumentum regni?
A partire dalla seconda metà degli anni 2000 Putin, che nei primi anni della sua presidenza aveva rafforzato le strutture statali per cercare di frenare ogni impulso centrifugo e usato la ricchezza derivante dalle esportazioni di risorse naturali (gas e petrolio) per aumentare il tenore di vita dei russi e garantire acquiescenza popolare al suo regime, brucia la sua credibilità a livello internazionale invadendo Georgia (2008) e Ucraina (2014). L’anno di vera e propria svolta della Russia coincide con il biennio 2011-2012. Con le elezioni del 2012, la Federazione Russa, nata nel 1991 come una repubblica costituzionale, legittimata dalla democrazia, dove il presidente e il parlamento sarebbero stati scelti attraverso elezioni libere, abdica al principio di successione. Putin spinge alle estreme conseguenze il concetto di “democrazia gestita”, al punto di non negare neppure di aver alterato le regole del gioco democratico. Le elezioni, non sono più un mezzo per esprimere la volontà dei cittadini, ma diventano solo un rituale. Quando il 5 marzo 2012, circa venticinquemila cittadini russi protestano a Mosca contro i brogli alle elezioni presidenziali, Putin decide in uno primo tempo di associare l’opposizione democratica alla sodomia globale (il tema verrà ripreso ai tempi del Maidan di Kyiv dipingendo l’Accordo di Associazione Economica dell’Ucraina con la UE come un tentativo, da parte della Gayropa, ossia dell’Europa dei gay, di minare i valori cristiani in Ucraina), in una seconda fase afferma che i contestatori sono al servizio di una potenza straniera, ossia degli Stati Uniti. Ovviamente il Cremlino non produce alcuna prova, del resto il punto non è fornire prove ma inventare una storia sull’influenza straniera e usarla per cambiare la politica interna. La UE e gli Stati Uniti vengono dipinti dalla propaganda del Cremlino come minacce semplicemente perché le elezioni russe sono state manipolate.Ed è proprio in questa fase che il regime di Putin enfatizza sempre più il tema delle radici cristiane individuando nel pensiero del filosofo russo di fine Ottocento Ivan Ilyin le fondamenta teoriche del nuovo corso.
Ci può illustrare in cosa conistono queste fondamenta teoriche?
Ilyin, analogamemte a Marx si rifà al corpus filosofico hegeliano offrendone però una lettura di destra, sostiene che la storia sia iniziata con un peccato originale così grave da condannare l’umanità alla sofferenza. Ma il peccato originale, secondo Ilyin, non fu perpetrato dall’uomo sull’uomo attraverso la proprietà privata ma da Dio sull’uomo attraverso la creazione del mondo. Secondo Ilyin la patria di Dio era la Russia. La Russia era da tutelare a tutti i costi perché era l’unico territorio da cui sarebbe potuta iniziare la ricostruzione della totalità divina. Lo storico Timothy Snyder ha osservato come, nonostante Ilyin fosse antibolscevico e ammirasse Hitler, il suo pensiero non si discostasse troppo nelle sue implicazioni pratiche da quello di Stalin. Non è un caso che la Russia attuale, che lo elegge a suo ideologo, è lo stesso paese che riscrive i libri di storia riabilitando il culto di Stalin. Per Ilyin la parentesi comunista vissuta dalla Russia era il frutto della corruzione proveniente dall’Occidente. Nella sua visione il comunismo era stato imposto alla Russia dall’Occidente. La Russia è innocente ma la sua innocenza non è osservabile nel mondo. Ilyin vede la propria nazione come virtuosa, e la purezza di questa visione è più importante di qualunque cosa i russi abbiano effettivamente fatto. Rifacendosi al teorico nazista del diritto Carl Schmitt, Ilyin considera la politica l’arte di identificare e neutralizzare il nemico. E dal momento che la Russia è l’unica fonte di totalità divina e di purezza, l’uomo spuntato dal nulla, che i russi riconosceranno come il redentore, potrà muovere guerra a chi minaccia i successi spirituali della nazione. La fantasia di una Russia innocente in eterno che comprende la fantasia di un redentore innocente in eterno torna utile al regime cleptocratico di Putin che la sfrutta opportunisticamente per coprire una realtà fatta di ingiustizie sociali, soprusi e incapacità di evoluzione in senso democratico. La diffamazione diventa un illecito penale, il Patriarcato Ortodosso di Mosca si allea con il Cremlino divenendo a tutti gli effetti un suo braccio armato, comincia la persecuzione delle organizzazioni non governative, si glorificano carnefici del passato come Felix Dzerzhinsky, fondatore della Cheka, cui viene intitolata una nuova unità dell’FSB, si distruggono gli archivi di Memorial, centro che aveva documentato le sofferenze dei cittadini sovietici ai tempi di Stalin.
La rivoluzione ucraina contro l’esecutivo filorusso di Viktor Yanukovych è stata descritta come un “colpo di stato” eterodiretto dagli Stati Uniti d’America e da George Soros. Si è trattato di una cospirazione o di una protesta spontanea?
Euromaidan, la rivoluzione scoppiata in Ucraina in seguito alle dimostrazioni di piazza del 21 novembre 2013 a Kyiv, è stata una rivolta spontanea contro il regime cleptocratico di Yanukovych. Pur avendo come epicentro Kyiv ha interessato l’intero Paese. La Rivoluzione, giustamente definita, della Dignità, ha testimoniato la volontà del popolo ucraino di lasciarsi alle spalle l’epoca post-sovietica e il desiderio di aprire una nuova fase, quella della rigenerazione morale. Questo ambizioso tentativo ha dovuto però fare i conti con l’ostilità di Mosca che ha cercato di fermare a ogni costo un progetto che, se vittorioso, avrebbe messo in serio pericolo il modello autocratico putiniano e fornito linfa vitale alla debole opposizione democratica russa. E infatti, cinque giorni dopo la fuga di Yanukovych avvenuta il 22 febbraio 2014, Putin ha inviato il primo contingente militare in Crimea, annettendo de facto, in data 16 marzo, la penisola ucraina alla Federazione Russa attraverso un ‘referendum’, imposto con uso della forza, brogli, intimidazioni e in violazione del Memorandum di Budapest del 1994. Ciò che è accaduto in quei 93 giorni meriterebbe di essere analizzato dettagliatamente visto che si tratta di una pagina fondamentale della Storia Europea dell’ultimo secolo.
Può fornirci ulteriori approfondimenti?
Euromaidan (Euro sta per Europa e Maidan è una parola di origine turca, entrata nel vocabolario ucraino grazie ai tatari di Crimea, che significa Piazza), neologismo apparso per la prima volta in un hashtag su Twitter il 21 novembre 2013 quando Mustafa Nayyem, giornalista ucraino di origini afghane chiede alla gente di scendere in piazza, per protestare contro la mancata firma dell’Accordo di Associazione economica tra Unione Europea e Ucraina, promessa, mai poi rigettata, dall’ex Presidente Yanukovych, è all’inizio una protesta principalmente di studenti. Accanto a loro scendono in piazza pure imprenditori e proprietari di piccoli business stremati dall’azione predatoria di Yanukovych. Per comprendere questo passaggio occorre ricordare come la Famiglia, ossia il gruppo di potere che fa capo al Presidente ucraino, attraverso l’ufficio del procuratore generale Viktor Pshonka, monitori da tempo i business più redditizi per poi impadronirsene. Grazie a questo sistema il figlio maggiore di Yanukovych, Oleksandr, un dentista, diventa in un paio di anni uno degli uomini più ricchi del Paese con un patrimonio personale superiore a 500 milioni di dollari. Dopo i primi giorni, alle proteste degli studenti si aggiungono quelle di altri componenti della società civile. Il popolo del Maidan diventa così sempre più composito ed eterogeneo.Una delle date fondamentali nella cronologia della Rivoluzione della Dignità è quella del 30 novembre 2013. La notte del 30 novembre infatti le forze di polizia attaccano violentemente gli studenti che protestano pacificamente sul Maidan. Secondo dati ufficiali sono ben 79 i manifestanti che vengono picchiati e percossi dalla Berkut, la polizia antisommossa. Le autorità, incuranti del rispetto della dignità umana, ritengono che questo sia il mezzo più efficace per disperdere una folla che credono pagata. È il punto di non ritorno. La sera del 1° dicembre la folla si raduna di nuovo in Piazza superando questa volta le 500.000 unità. E la maggior parte è mossa dal desiderio di protestare contro la violenza usata dal regime, più che dal rifiuto di firmare l’Accordo di Associazione con la UE. L’International Renaissance Foundation, ONG ucraina fondata da Soros, ha svolto un ruolo importante a sostegno della società civile durante le proteste di Euromaidan. La fondazione ha assicurato l’assistenza legale durante la crisi per attivisti civili, manifestanti e giornalisti; ha fornito cure mediche alle vittime di violenza; ha supportato canali come Hromadske TV che hanno realizzato reportage indipendenti e in diretta sugli eventi del Maidan; ha documentato casi di tortura, percosse e abusi della polizia e dei tribunali. Tutto ciò è ben diverso dal sostenere, come fanno le teorie cospirazioniste della dezinformatsiya russa, che George Soros mira a destabilizzare i paesi e rovesciare i regimi nell’Europa orientale post-comunista e nell’ex Unione Sovietica.
A seguito dell’invasione russa della Crimea, l’Ucraina è stata dipinta come uno Stato fascista, antisemita e russofobo. Realtà o disinformazione? L’Ucraina è una nazione che nutre sentimenti antiebraici?
Quella dell’Ucraina fascista, antisemita e russofoba è una delle più consolidate narrative della disinformazione russa. Esisteva già all’epoca della Guerra Fredda, oggi viene semplicemente attualizzata e riproposta avvalendosi del potere amplificativo delle testate online e dei social media. Farò alcune considerazioni proprio sul Maidan, definito anche da alcuni organi di informazione italiani un movimento fascista, per confutarla. Se proprio volessimo connotare politicamente Euromaidan sarebbe più corretto definirlo un movimento liberal-socialista, visto che il suo nemico è la cleptocrazia autoritaria e il suo programma centrale la giustizia sociale e lo stato di diritto. L’obiettivo che accomuna i diversi gruppi presenti sul Maidan è cacciare Yanukovych e trasformare l’Ucraina in una nazione realmente democratica. La natura del Maidan, a dispetto dell’eterogeneità dei gruppi che lo compongono, è essenzialmente civica. Spontaneità, autenticità e una certa ingenuità politica, sono le caratteristiche più evidenti di un movimento che raggruppa diverse anime e che sorge per la mancanza di una vera opposizione nel Paese. Le forze cosiddette ‘xenofobe e ultranazionaliste’ – ammesso che sia corretto liquidare cosi, senza alcuna analisi storico-politica, ripetendo ad libitum la propaganda del Cremlino, movimenti nazionalisti radicali come Svoboda e Pravyi Sektor – ammontano solamente all’1.9% dell’elettorato ucraino. Una percentuale risibile se confrontata con i ben più ampi consensi elettorali ottenuti dalle destre xenofobe in Francia, Inghilterra, Italia e in altri Paesi europei. Che il popolo del Maidan non sia assolutamente in sintonia con Svoboda lo dimostra il fatto che alle elezioni presidenziali del Maggio 2014 otterrà un misero 1.2 %. Addirittura peggio farà Yarosh, il leader di Pravyi Sektor, movimento che dopo il Maidan si trasforma in Partito, conseguendo solo lo 0.7 %.
Ci può parlare di Pravyi Sektor? Di cosa si tratta?
Pravyi Sektor, nella fase iniziale è stata una formazione estremamente eterogenea. Nasce infatti come federazione di diversi movimenti accomunati dalla volontà di rendere la protesta più incisiva e di difendersi dagli attacchi violenti della polizia. Accanto a frange nazionaliste, seppure non in senso etnico – lo stesso Yarosh proviene dalla città industriale russofona di Dniprodzerzhynsk e si esprime in russo come la maggior parte dei militanti, a riprova di come la Russofobia sia un’altra invenzione dei media pro-Cremlino –, nelle fila di Settore Destro combattono anche diversi ebrei e ucraini non etnici, come l’armeno Serhiy Nihoyan e il bielorusso Mikhail Zhyznevsky, che passeranno tristemente alla storia come le prime vittime del Maidan. Con il Maidan abbiamo assistito per la prima volta a una vera collaborazione fra ucraini ed ebrei. Ai tempi della Seconda Guerra Mondiale il collaborazionismo in Francia, in Belgio e in Italia era sicuramente superiore al 10% ma nessuno oggi definisce francesi, belgi, italiani dei nazisti. Storicamente l’antisemitismo ucraino è sicuramente secondo a quello russo: i pogrom di fine Ottocento erano fatti dai russi non dagli ucraini. Anche i pogrom descritti da Isaak Babel nella famosa Armata a Cavallo erano russi, non ucraini. Ugualmente l’illusione ucraina che il nazismo li avrebbe liberati dallo stalinismo è durata poche settimane. L’Ucraina ha subito ad opera dei nazisti persecuzioni e deportazioni paragonabili a quelle della Polonia. Nonostante ciò, anche a causa della forza mediatica dei media russi e pro-Cremlino, è molto più probabile che qualsiasi rapporto sull’estrema destra o sull’antisemitismo in Ucraina finisca sui titoli dei giornali rispetto a storie e tendenze simili in Russia o rispetto agli ampi legami di Mosca con i gruppi di estrema destra nei paesi europei. Il presunto fascismo del Maidan è il frutto di letture faziose consolidatesi nel nostro Paese per ignoranza, disonesta intellettuale o un mix di entrambe.Fortunatamente a livello internazionale la rappresentazione del nuovo governo di Kyiv come una “giunta fascista”, sostenuta da orde antisemite e intenta a compiere un genocidio contro i russofoni, ha incontrato grossi ostacoli. Eminenti personalità ebraiche ucraine hanno pubblicato annunci a tutta pagina su diversi giornali internazionali per smentire tali affermazioni e condannare l’aggressione russa. In diverse occasioni, minoranze etniche o ebraiche hanno rilasciato dichiarazioni pubbliche dissociandosi da falsi gruppi etnici che rivendicavano la persecuzione.
I filorussi europei evocano, spesso, la strage di Odessa del 2014. Si è trattato di un massacro deliberato o c’è dell’altro?
La strage di Odessa del 2014 è un altro episodio su cui la propaganda russa ha insistito tantissimo per ingannare l’Occidente. Per spiegare l’accaduto e la copertura mediatica di questo tragico evento, credo sia necessaria una premessa. A parte le Repubbliche Baltiche, che conoscono perfettamente le tattiche di guerra informativa della Russia essendo state soggette al dominio sovietico, la comunità internazionale è stata piuttosto lenta nel riconoscere il pericolo rappresentato dalla disinformazione e dalla propaganda sponsorizzate dal Cremlino. È altresì vero che molte persone non si rendono neppure conto di essere ingannate dalle informazioni che ricevono da media quali RT (ex Russia Today) e non pensano di verificare ciò che questa emittente trasmette. Pensano, sovente in buona fede, che RT rappresenti una sorta di versione russa della BBC o della Deutsche Welle. Venendo allo specifico dell’incendio e degli scontri di Odessa del 2014, nel corso dei quali morirono 48 persone e di cui il maggio scorso ricorreva il settimo anniversario, è interessante sottolineare che la Russia iniziò a presentarlo come un massacro da parte dei nazionalisti ucraini quando le fiamme ancora divampavano. Questa versione dei fatti è stata diffusa in tutto il mondo nonostante diverse indagini indipendenti – Gruppo 2 maggio bipartisan; il Comitato consultivo internazionale del Consiglio d’Europa e l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani – abbiano ricostruito una realtà molto diversa da quella raccontata dagli outlet pro-Cremlino. Da queste indagini si è scoperto che i primi disordini sono iniziati quando un folto gruppo di attivisti filo-russi ha attaccato una marcia pacifica a sostegno dell’unità ucraina. Da quel momento in poi, le armi sono state usate da entrambe le parti e sei persone sono decedute. Verso sera, gli attivisti filo-ucraini si sono diretti in Piazza Kulikove Pole con l’intenzione di distruggere una tendopoli allestita da attivisti filo-russi. Questi ultimi hanno risposto con colpi di arma da fuoco e bottiglie molotov dal tetto e dalle finestre del palazzo del sindacato. Tutti i rapporti indipendenti concordano sul fatto che dal momento che le bombe molotov sono state lanciate sia contro l’edificio sia dall’interno dell’edificio, è impossibile determinare la fonte dell’incendio che ha causato la morte di 42 attivisti filo-russi. I media e i politici russi sono a conoscenza dei risultati di questi rapporti ma hanno preferito offrire una copertura selettiva degli eventi sin dall’inizio. Tutti i filmati russi hanno trattato i “radicali” ucraini come gli autori delle precedenti rivolte. Nessuna menzione è stata fatta delle sparatorie e delle bottiglie molotov dall’interno del palazzo, né degli attivisti filo-ucraini che hanno rischiato la loro incolumità per salvare le persone nell’edificio. I filmati russi hanno invece mostrato un attivista filo-ucraino che sparava con una pistola contro il palazzo, senza notare che l’uomo stava rispondendo al fuoco proveniente dalle finestre dell’edificio. Due anni dopo il rapporto del Consiglio d’Europa, il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che “i nazionalisti ucraini hanno spinto persone indifese nel palazzo del sindacato e le hanno bruciate vive”. Questa storia consapevolmente falsa è stata spacciata in tutto il mondo, con mostre generosamente finanziate e “testimonianze” accuratamente selezionate e portate in tournée nei paesi europei. Inoltre è risaputo che molti giovani si sono offerti volontari per combattere a fianco di proxy russi, separatisti e mercenari sostenuti dal Cremlino in Donbas citando il presunto “massacro di Odessa” come catalizzatore.
Ultima domanda: come pensa che evolverà la situazione ucraina durante la presidenza di Joe Biden?
L’evoluzione della situazione ucraina dipenderà molto dalle relazioni Mosca-Washington che sembrano al minimo storico nonostante l’incontro di metà giugno a Ginevra tra Biden e Putin. La risposta affermativa di Joe Biden alla domanda se ritenesse Putin un assassino è stata paragonata da alcuni analisti di politica internazionale all’affermazione fatta da Ronald Reagan nel marzo 1983 nella quale definiva l’URSS l’Impero del Male. Quello fu l’inizio della fine della Guerra Fredda che portò poi alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Il contesto odierno è molto diverso per cui mi sembra azzardato fare dei parallelismi. Biden ha un approccio diverso da quello di Trump e sembra voler recuperare un rapporto costruttivo con i principali partner europei, in primis Francia, Germania ma anche con l’Italia che, grazie al governo Draghi, ha riacquistato credibilità internazionale dopo i fallimentari, non solo in politica estera, dicasteri Conte. Il dossier ucraino è molto complesso ma sarebbe profondamente sbagliato se l’Occidente sottovalutasse l’ostentazione di muscoli russa che si è manifestata anche lo scorso aprile quando il Cremlino ha ammassato le sue forze armate ai confini orientali e meridionali dell’Ucraina. Il segretario di Stato americano Anthony Blinken sembra perfettamente consapevole di questa situazione. Mi auguro che ci sia la stessa consapevolezza a Parigi e a Berlino.