Le scelte di aziende e partner sociali dovrebbero basarsi – oggettivamente – su una comprovata esperienza e non – soggettivamente – su speranze infondate e congetture.
Allo stesso modo, la valutazione del potenziale impatto del prospettato stato palestinese sulla sicurezza nazionale statunitense dovrebbe basarsi – oggettivamente – sui precedenti palestinesi documentati, sistematici e coerenti, a partire dagli anni Trenta, e non – soggettivamente – sui discorsi palestinesi e le ipotesi speculative.
Analogamente, una valutazione dell’atteggiamento arabo riguardo a un prospettato stato palestinese dovrebbe basarsi – oggettivamente – sui precedenti arabi documentati, sistematici e coerenti, dalla metà degli anni Cinquanta, e non – soggettivamente – sui discorsi arabi.
Dagli accordi di Oslo del 1993, i precedenti documentati dell’establishment palestinese politico, religioso e mediatico hanno evidenziato l’educazione all’odio degli alunni palestinesi e l’istigazione al conflitto religioso. Questo costituisce il riflesso più autorevole della visione del mondo, della forma mentis e degli obiettivi strategici del prospettato stato palestinese.
Peraltro, dagli anni Trenta, i precedenti palestinesi evidenziano stretti legami con i nemici e gli avversari degli Stati Uniti e del mondo libero.
Ad esempio, il Gran Mufti di Gerusalemme, Haj Amin al-Husseini, la cui memoria e il cui retaggio sono riveriti dall’Autorità Palestinese (AP), guardò con grande simpatia alla Germania nazista, esortando i musulmani a unirsi all’esercito nazista durante la Seconda guerra mondiale. Per di più, nel 2017, Hitler è ancora glorificato dai funzionari e dai media palestinesi, e il suo Mein Kampf è un best-seller nell’AP.
Durante e dopo la fine del secondo conflitto mondiale, la leadership palestinese collaborò con i Fratelli Musulmani – la più grande organizzazione terroristica intra-musulmana – che si erano allineati con la Germania nazista. Di fatto, Arafat e Mahmoud Abbas furono i principali leader della cellula palestinese dei Fratelli Musulmani al Cairo.
Durante la guerra fredda, i dirigenti palestinesi si allinearono con l’Urss e i regimi canaglia dell’Europa orientale. In tal modo, Mahmoud Abbas imparò a parlare fluentemente il russo e acquisì il suo dottorato di ricerca alla Patrice Lumumba University di Mosca, pubblicando una tesi sul “mito dell’Olocausto ebraico”. L’Olp di Mahmoud Abbas e altre organizzazioni palestinesi, sono state addestrate dai massimi esperti del blocco sovietico in terrorismo, sovversione, intelligence, personale e comando. Ciò comportò – tra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta – una serie di campi dell’Olp in Libano, l’addestramento di terroristi e dirottatori antiamericani asiatici, africani, europei, sudamericani e musulmani.
L’Olp – che è giuridicamente superiore all’Autorità Palestinese – fu uno dei primi sostenitori degli ayatollah, in seguito alla destituzione dello Scià dell’Iran. Allo stesso tempo, tre battaglioni dell’Olp parteciparono all’invasione e al saccheggio del Kuwait da parte di Saddam Hussein, che scatenarono la prima guerra del Golfo. Fin dal 1966, la leadership palestinese ha stretti legami con la Corea del Nord, beneficiando dell’appoggio militare, economico e diplomatico, e mantenendo a Pyongyang una delle 25 ambasciate. L’AP ha inoltre stretti legami con Cuba, il Venezuela, la Cina, la Russia e l’Iran.
Mentre la questione palestinese è centrale nel discorso arabo-occidentale, è invece marginale nel discorso intra-arabo. I leader arabi pro-americani sono preoccupati per i fondamentali problemi di sopravvivenza – il letale tsunami arabo e la lama del machete degli ayatollah puntata alla loro gola – che non sono collegati direttamente o indirettamente alla questione palestinese.
Mentre i leader occidentali sono impressionati dai generosi discorsi pro-palestinesi da parte degli arabi, ignorano i duri precedenti arabi e i magri aiuti finanziari forniti ai palestinesi (il 10 per cento degli aiuti sauditi ai mujaheddin anti-sovietici in Afghanistan). I leader arabi pro-americani non dimenticano né perdonano la persistente sovversione e il terrorismo palestinese in Egitto (negli anni Cinquanta), in Siria (anni Sessanta), Giordania (1970), Libano (1970-1983) e in Kuwait (1990). Un fragoroso precedente arabo è rappresentato dalla ritorsione del Kuwait contro il ripugnante tradimento dell’Olp (la collaborazione con l’invasione di Saddam): l’espulsione di quasi 300 mila palestinesi (parenti, sostenitori e associati di Arafat e Mahmoud Abbas) in seguito alla liberazione del Kuwait da parte dell’esercito americano, nel gennaio 1991.
I suddetti precedenti palestinesi sistematici e canaglia – sullo sfondo delle difficili relazioni tra gli hashemiti e i palestinesi – indicano che uno stato palestinese potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso hashemita. Uno stato palestinese a ovest del fiume Giordano e del regime hashemita costituisce una classico ossimoro. Potrebbe trasformare la Giordania in un’altra piattaforma di una guerra terroristica intra-islamica, istituendo un altro regime arabo antiamericano, che potrebbe essere sottomesso ai Fratelli Musulmani, agli ayatollah (nel vicino Iraq) o all’Isis, con effetti letali a catena nella vicina Arabia Saudita, in tutte le altre entità arabe pro-americane, nell’Oceano Indiano, nel Golfo Persico e nel Mar Rosso, un’enorme minaccia finanziaria, alla sicurezza nazionale per gli Stati Uniti e il mondo intero.
Uno stato palestinese potrebbe garantire diritti di decollo e atterraggio, e possibilmente una base operativa per la Russia e forse la Cina e/o l’Iran, che destabilizzerebbero la regione, sfidando la presenza militare americana nel Mediterraneo e in Medio Oriente.
I suddetti precedenti si tradurrebbero in un ulteriore voto antiamericano in seno alle Nazioni Unite e nella fuga dell’esigua comunità cristiana – che a Betlemme era una maggioranza prima degli accordi di Oslo del 1993, ora ridotta ad essere una minoranza del 15 per cento e ancora in calo nel 2017.
Mentre l’opinione diffusa occidentale ritiene che la questione palestinese sia una delle cause principali delle turbolenze del Medio Oriente, una punta di diamante dei facitori politici arabi e la croce del conflitto arabo-israeliano, la realtà mediorientale sempre più instabile smonta tali congetture, documentando la questione palestinese come un depistaggio, che distoglie l’attenzione dalle minacce chiare, presenti e letali per tutti i regimi arabi pro-americani.
A comprovare l’enorme divario esistente tra il dire e il fare degli arabi c’è la collaborazione senza precedenti in materia di sicurezza tra Israele e tutti i paesi arabi pro-statunitensi, indipendentemente dalla questione palestinese (come la grande maggioranza della moltitudine delle dispute intra-arabe) e la crescente popolazione ebraica a Gerusalemme, in Giudea e Samaria. Gli arabi pro-americani ritengono che Israele sia il più efficace “agente di assicurazione sulla vita” nella regione, a causa della sua ferma posizione di deterrenza che verrebbe meno se Israele dovesse ritirarsi dalle creste montuose della Giudea e della Samaria di 9-15 miglia, limitandosi a controllare una striscia senza difesa lungo il Mediterraneo. Israele smetterebbe di essere la più efficace roccaforte geostrategica americana, una estensione del braccio strategico statunitense, per diventare un onere geostrategico che richiede l’aiuto del braccio strategico americano.
Se gli Stati Uniti promuovessero la creazione di uno Stato palestinese – a dispetto dei suoi ben documentati precedenti – sarebbe come se i vigili del fuoco reclutassero un famigerato piromane per spegnere gli incendi.
Traduzione in italiano di Angelita La Spada
Qui l’articolo originale in lingua inglese