Editoriali

Stare con Hamas

Nel recente tripudio di elogi iperbolici con i quali è stata salutata Michela Murgia, scrittrice e attivista morta precocemente a 51 anni a causa di una grave malattia, pochi se non nessuno hanno voluto ricordare quando nel luglio di due anni fa, la scrittrice pubblicò su Instagram una storia con questa specifica: “pulire le cartelle delle immagini e trovare vecchi screenshot di cui andare ancora fieri”.

Lo screenshot di cui cui andare particolarmente fiera riguardava lo scambio tra lei e un interlocutore il quale le chiedeva il suo parere sul conflitto israelo-palestinese. “Sto con Hamas” rispose la Murgia e altrettanto perentoriamente l’allora presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, prese una netta posizione contro quanto aveva scritto che la Murgia preferì ignorare.

Nell’estate del 2014, durante l’operazione Margine di Protezione, l’ultimo conflitto di grande portata tra Israele e Hamas, Gianni Vattimo, nel corso di una trasmissione, perorò una sottoscrizione per mandare armi al gruppo jihadista salafita che dal 2007 domina la Striscia di Gaza.

Nulla di cui stupirsi ovviamente. L’avversione per Israele è da più di cinquant’anni un fiore all’occhiello della sinistra salonniere come di quella radicale, dell’accademia e dei media in maggioranza.

L’Italia, sotto questo aspetto non si è mai fatta mancare nulla. Abbiamo persino avuto un presidente del Consiglio, Bettino Craxi, che arrivò a paragonare Yasser Arafat a Giuseppe Mazzini.

La Murgia, autoproclamata paladina degli oppressi, e antagonista del “potere”, aveva fatto propria, senza nessun approfondimento, nessuna conoscenza storica, senza ovviamente avere mai messo piede in Israele, la narrativa egemone a sinistra in base alla quale i palestinesi sarebbero vittime mentre gli israeliani sarebbero oppressori. Che invece vittima fosse lei stessa, come Vattimo, come molti altri, di una indefessa propaganda, di una radicale e mostruosa deformazione dei fatti, della storia e della realtà, non le sfiorava neanche la mente.

Così si giunge all’abiezione di tifare per terroristi che hanno fatto della misoginia, dell’omofobia, del culto della forza, alcuni dei pilastri della loro visione del mondo, informata dal rigorismo islamico.

Per una che alla famiglia comunemente intesa aveva anteposto il modello queer, non è male. D’altronde, anche Vattimo, omosessuale dichiarato, stava con Hamas, e con Hamas stava anche Vittorio Arrigoni, attivista filopalestinese che a Gaza, nel 2011, trovò la morte per mano di una cellula jihadista salafita operativa all’interno dell’enclave costiera, a causa dei suoi comportamenti contrari alla morale islamica, ovvero per atteggiamenti omosessuali.

Stare con Hamas restandosene a casa se si è omosessuali e se si perorano le famiglie queer sarà sempre meno rischioso che recarvisi dichiarando le proprie idee o mettendole in pratica.

 

 

 

 

 

 

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