Tra due settimane, il 13 settembre, ricorreranno i 30 anni dalla firma, sul prato della Casa Bianca, degli accordi di Oslo. Amit Segal ha notato, su News12, (https://www.mako.co.il/news-politics/2023_q3/Article-c1f5ea2110e3a81026.htm), che solo un anno prima, l’allora primo ministro Yitzhak Rabin aveva approvato l’ultimo assassinio di un alto funzionario dell’OLP. In effetti, l’OLP era considerata defunta dopo la sua espulsione da Beirut al termine della guerra del Libano.
Durante la prima guerra in Iraq (1990-91), il leader dell’OLP Yasser Arafat si schierò con Saddam Hussein e subì l’isolamento internazionale quando Hussein fu umiliato dagli eserciti della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Poi, il 7 aprile 1992, Arafat sfuggì per poco alla morte quando un aereo su cui si trovava precipitò nel deserto libico, uccidendo entrambi i piloti e un ingegnere.
Arafat e l’OLP erano spacciati.
Ma poi, alla fine del 1992 e nel corso del 1993, il viceministro degli Esteri Yossi Beilin, che in seguito avrebbe lasciato il Partito Laburista per guidare Meretz – un’improbabile coalizione di liberali borghesi ed ex comunisti – avviò colloqui segreti diretti, prima a Londra e poi a Oslo, con la leadership dell’OLP.
Si trattava non solo di un allontanamento dalla politica ufficiale israeliana, che accettava contatti con politici “palestinesi” locali, ma escludeva completamente i contatti con i rappresentanti dell’OLP – ma di un atto contrario alla legge.
Man mano che i colloqui procedevano, Beilin ne riferiva al Ministro degli Esteri Shimon Peres e infine a Rabin, che ordinò a Peres di interromperli immediatamente. Poco tempo dopo, però, Rabin cambiò idea e accettò i colloqui con i rappresentanti dell’OLP, per ragioni che sono sfuggite agli storici per tre decenni. Tutto ciò che abbiamo sono speculazioni sul rapporto, particolarmente sgradevole, tra Rabin e Peres e sulla perpetua paura del primo di perdere contro l’uomo che tanto detestava.
LA RIUNIONE
Il 30 agosto 1993, 30 anni fa, si tenne una riunione segreta di gabinetto. Potete leggere il protocollo qui (https://img.mako.co.il//2023/08/29/OSLO.pdf?Partner=interlink) Vi parteciparono Rabin, Peres, diversi ministri laburisti, Shulamit Aloni e Yossi Sarid di Meretz, che aveva raggiunto l’apice nelle elezioni del 1992, con 12 deputati. Inoltre, vi era un nuovo arrivato di talento, proveniente da un partito religioso sefardita: Aryeh Deri.
Deri, in seguito, ha ricordato: “Alle 18 ricevetti un messaggio che diceva che c’era una riunione del governo alle 20 e che dovevo venire se volevo vedere gli Accordi di Oslo, che allora nessuno conosceva”.
Secondo Haim Ramon, che deteneva il portafoglio dei Servizi sanitari nel governo di Rabin, non solo i cittadini israeliani ne furono scioccati, ma anche l’esercito. “Questo accordo è stato fatto alle spalle dell’esercito”, disse Ramon. “Il personale militare non è stato coinvolto in questo accordo, a differenza di quanto avvenuto fino ad allora e da allora. Hanno letto l’accordo quasi contemporaneamente ai ministri”.
Deri ha inoltre ricordato: “Ehud Barak, che all’epoca era il Capo di Stato Maggiore, si sedette accanto a me e per tutta la durata dell’incontro mi disse a bassa voce che l’accordo era pericoloso, che c’erano buchi più grandi di quelli del formaggio svizzero e che avrebbe danneggiato la sicurezza dello Stato”.
Alcune delle veementi obiezioni di Barak sono state omesse dal protocollo in quanto “top secret” – esso sarà reso pubblico tra 90 anni, 60 da oggi. Anche i commenti di Binyamin “Fuad” Ben-Eliezer, che era ministro degli Alloggi nel governo di Rabin, ma aveva ricoperto il ruolo di coordinatore delle attività governative nei territori, sono stati censurati per 90 anni.
I commenti di Barak che non sono stati rimossi includevano un’astuta osservazione su quanto sarebbe stato difficile per l’IDF prevenire l’aumento dell’infrastruttura terroristica in Giudea, Samaria e nella Striscia di Gaza se la cooperazione con l’OLP non fosse stata così buona come Rabin si aspettava.
“Quando abbiamo informazioni su persone ricercate a Jabaliya o sulla preparazione di un attentato che si svolge all’interno di uno dei campi profughi, non sarà facile intraprendere un’azione efficace contro di essi”, disse il Capo di Stato Maggiore Barak alla riunione. “C’è sempre il rischio che qualcosa trapeli dai ranghi della polizia palestinese o che ci siano infiltrati provenienti dagli autori dell’attacco”.
È ironico che le persone che lo non lo hanno preso in considerazione durante l’incontro, cioè i membri di Meretz, sarebbero poi diventati i suoi più grandi partner nel tentativo di fare cadere il governo Netanyahu attraverso il sabotaggio e la violenza di strada.
Rabin aprì l‘incontro dicendo che non si trattava di un semplice accordo, ma di una delle due alternative che il suo governo aveva di fronte: il ritiro dai territori “siriani” del Golan o dalla “Cisgiordania”. Tra le due, l’opzione “palestinese” era più probabile, soprattutto da quando la Casa Bianca di Clinton l’aveva ripresa con vigore, al punto che gli americani erano diventati il tramite per entrambe le parti.
Rabin dichiarò di sostenere l’opzione “palestinese” perché i siriani chiedevano un ritiro completo, mentre l’OLP si sarebbe accontentata di una restituzione parziale delle terre “occupate”. Rabin chiarì che non vedeva alcun valore di sicurezza negli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria. Per lui si trattava di realtà politiche e quindi la loro utilità doveva essere misurata in base al valore politico che aveva all’epoca, che comprendeva la loro rimozione totale o parziale.
Per Rabin, tutto dipendeva dalla capacità del presidente dell’OLP Arafat di garantire la sicurezza all’interno dell’Autorità Palestinese, in particolare dalla sua capacità di controllare Hamas nella Striscia di Gaza.
Il Ministro degli Esteri Peres condivise la sua sorpresa che l’OLP non avesse insistito per lo sradicamento degli insediamenti. Tentare di farlo avrebbe rappresentato una soluzione impossibile, sia moralmente che fisicamente. Sostenne che, in quel contesto, fosse stato un bene che i colloqui di pace con la Siria non si fossero conclusi, perché i siriani avrebbero chiesto la restituzione di tutto, e quindi i “palestinesi” avrebbero insistito sulla medesima richiesta.
NON SI POTEVA FARE SENZA MERETZ
Il partito con una dozzina di mandati che spinse Rabin agli accordi di Oslo celebrò quella che all’epoca venne vista come una vittoria storica sulla destra. “Se non difendiamo questo accordo, non sono sicuro che ci saranno molti altri che si offriranno volontari per difenderlo”, dichiarò il ministro dell’Ambiente Yossi Sarid. “Certo, i problemi posti qui sono legittimi e forse anche necessari, ma sappiamo per esperienza che anche se non emergono cose precise, l’atmosfera sarà comunque chiara, e se questo accordo crolla, non vedo più prospettive di pace”.
Nella stessa riunione di gabinetto, Sarid si è rivolse al capo di gabinetto Barak e lo rimproverò: “Non si può tenere il bastone da entrambe le parti. Da un lato, è un risultato che nessuno degli insediamenti sia stato sradicato, mentre avrebbero potuto essere sradicati, forse a Gaza, e dall’altro, non puoi dire in seguito che gli insediamenti stanno complicando la situazione”.
Sembra che tutti i partecipanti a quella riunione avessero un qualche potere profetico.
Non tutti. Il ministro dell’Istruzione Shulamit Aloni dichiarò, non vi prendo in giro: “Le preoccupazioni per la sicurezza hanno avuto la massima risposta nell’accordo così come è stato presentato qui, e penso che siano state garantite da tutte le parti e che non dovrebbero suscitare la sensazione che stiamo rischiando qui più di quella che sarebbe l’alternativa”.
Gli israeliani avrebbero presto affrontato un nuovo concetto: “Le Vittime della Pace” (alias Sacrifici per la Pace). Il termine descriveva le migliaia di persone che hanno perso la vita nei fiumi di sangue che hanno attraversato il Paese a seguito degli Accordi di Oslo. Il termine era già stato coniato in precedenza, ma fu Shimon Peres ad avere il privilegio di assegnarlo agli israeliani morti a causa di tali accordi. L’11 ottobre 1993, all’apertura della seconda sessione della Knesset, dopo l’assassinio degli escursionisti israeliani a Wadi Kelt, Shimon Peres disse delle vittime che “erano cadute nella campagna per la pace”.
Traduzione di Davide Cavaliere