Nel novembre del 1938, a Parigi, un giovane ebreo polacco di 17 anni, Herschel Grynszpan, sparò al diplomatico tedesco Ernst Eduard vom Rath. Le ferite riportate lo condussero alla morte due giorni dopo. Hitler usò l’attentato come scusa per scatenare la Notte dei cristalli, il grande pogrom contro gli ebrei tedeschi.
Ora, applicando le regole giornalistiche utilizzate per raccontare il conflitto arabo-israeliano, proviamo a immaginare come i mass media occidentali riferirebbero la vicenda.
L’assassinio di vom Rath da parte di un giovane ebreo verrebbe impiegato per sostenere che il conflitto ebraico-tedesco altro non sarebbe che un «ciclo di violenze», un conflitto sanguinoso le cui radici sono così antiche che nessuno le ricorda, dove entrambe le parti hanno le loro ragioni, seppure offuscate dalla violenza.
Certo i tedeschi stanno perseguitando e uccidendo gli ebrei, ma l’assassinio di vom Rath dimostrerebbe l’esistenza di una violenza bidirezionale e simmetrica. Un’indagine approfondita, condotta da qualche giornalista dalla palpabile sensibilità umanitaria, potrebbe persino scovare qualche altro esempio di ebrei che hanno usato violenza contro i tedeschi. Vite innocenti vengono perse da entrambe le parti. Una tragedia davvero insensata. Ma perché entrambe le parti non possono, semplicemente, vivere e lasciar vivere?
Una tale rappresentazione dello sterminio degli ebrei europei non solo sarebbe un’assurdità, ma pure un’oscenità morale. La Shoah non fu un «ciclo di violenze» tra tedeschi ed ebrei, bensì una inequivocabile campagna di annientamento e oppressione degli ebrei messa in atto dai tedeschi. Da una manciata di eventi anomali, come l’assassinio di vom Rath, non è possibile dedurre alcuna simmetria delle forze in campo.
Se qualcuno travisasse la storia, presentando la «Soluzione finale» come l’esito di un secolare conflitto tra ebrei e tedeschi, avremmo subito l’impressione di trovarci di fronte a un antisemita o a un negazionista.
Allo stesso modo, il conflitto arabo-israeliano non è un «ciclo di violenze», come vorrebbero far credere alcuni storici d’accatto, né una lunga scia di vendette speculari, ma una campagna unidirezionale di violenza e atrocità portata avanti dagli arabi contro gli ebrei. Siamo in presenza di arabi che cercano di negare agli ebrei i loro diritti umani e il loro diritto all’autodeterminazione, non il contrario. L’eterno conflitto mediorientale ha come causa il rifiuto arabo-musulmano d’Israele.
Eppure, i mass media occidentali fanno di tutto per presentare il suddetto conflitto come uno scontro tra ragioni equivalenti o, sempre più frequentemente, come un’instabilità originata dalla nascita dello Stato d’Israele.
Il terrorismo arabo, però, non è causato dall’«occupazione» israeliana, ma piuttosto dalla rimozione dell’occupazione israeliana. Tanto più gli ebrei sono arretrati, come dimostra proprio il caso di Gaza, tanto più la violenza araba si è fatta audace. Concedere l’indipendenza ai «palestinesi» avrà esattamente lo stesso effetto che ha avuto la concessione dell’«autodeterminazione» ai germanofoni dei Sudeti. L’unica ragione per cui i paesi arabi chiedono che ai «palestinesi» venga concesso uno Stato è per avere una solida base da cui lanciare una guerra totale di annientamento e terrore contro quello che rimarrebbe dello Stato ebraico.
Israele è l’unico paese del Medio Oriente dove non vige un regime di apartheid. Gli unici arabi in Medio Oriente che vedono tutelati i loro diritti umani e civili sono quelli che vivono in Israele. Il trattamento che lo Stato ebraico riserva agli arabi è di gran lunga migliore di quello di qualunque paese arabo.
Niente di tutto ciò smentisce, però, la possibilità che, se si cerca abbastanza a fondo, si possano trovare casi in cui alcuni ebrei si sono comportati male nei confronti di alcuni arabi, ma tali episodi non sono sufficienti per trasformare il conflitto arabo-israeliano in un «ciclo di violenze» tra loro equivalenti.
Gli arabi-palestinesi, in Cisgiordania, vandalizzano le proprietà ebraiche così spesso che, ormai, tali episodi non vengono più riportati come notizie, nemmeno nei media israeliani, data la loro frequenza. Gli incendi dolosi e gli atti vandalici contro le sinagoghe da parte dei musulmani sono così frequenti che raramente compaiono sulle prime pagine. Però, se un manipolo di adolescenti ebrei vandalizza alcuni veicoli arabi o dipinge graffiti su edifici di proprietà araba, non solo questi spiacevoli eventi vengono evidenziati sulle prime pagine, ma anche presentati come prova dell’esistenza di un terrorismo ebraico simile a quello di Hamas.
Creare, come fanno i media delle democrazia occidentali, simmetrie e parallelismi tra la violenza araba, costante e genocidaria, e degli sporadici episodi di violenza ebraica, significa operare una distorsione dannosa, ripugnante e perfida.