Israele e Stati Uniti

Si scrive Biden, si legge Obama

La disastrosa performance televisiva di Joe Biden, ieri sera negli studi della CNN di Atlanta, ha messo sotto la luce dei riflettori mondiali quello che già era noto e che, in tutti i modi, da parte del partito democratico si cercava di minimizzare o di negare. L’attuale presidente degli Stati Uniti è in uno stato di palese decadimento cognitivo che lo rende del tutto inadeguato a ricoprire il ruolo che ricopre per i prossimi quattro anni e ad affrontare le crisi in corso e quelle che potrebbero venire.

Quello che si è rivelato ieri incontrovertibilmente non è in alcun modo una sorpresa, si tratta semmai di una certificazione. Lo stato di salute di Biden, in modo specifico la sua lucidità e capacità di gestire dossier complessi come quelli della guerra in Ucraina e in Israele, pone la domanda su quanto effettivamente di questi dossier sia gestito da lui in prima persona.

Qui su L’Informale, in diversi articoli, abbiamo evidenziato come la politica americana in Medio Oriente e l’atteggiamento della Casa Bianca nei confronti di Israele relativamente alla guerra a Gaza, sia sostanzialmente il proseguimento di quanto fatto da Barack Obama nei suoi otto anni consecutivi di presidenza https://www.linformale.eu/alcune-nomine-di-biden-relative-al-medio-oriente/. Non è un mistero per nessuno che buona parte dei funzionari di alto profilo addetti al Medio Oriente, da Antony Blinken a Jake Sullivan, da Amos Hochstein, da Robert Malley, (sospeso dall’incarico)https://www.linformale.eu/un-burocrate-al-capolinea/a William Burns, attuale capo della CIA, hanno collaborato attivamente con l’Amministrazione Obama. Non c’è nulla di strano, è normale che chi ha già servito alla Casa Bianca in una amministrazione politicamente affine a una amministrazione successiva si ritrovi ad avere un ruolo in questa, la questione è un’altra e di rilevo assai maggiore.

Con un presidente nelle condizioni in cui si trova Joe Biden, la domanda da porsi è quanto della sua agenda politica in merito a Israele è, se non determinata, fortemente condizionata da uomini e donne già operativi sotto Obama, la cui ostilità nei confronti dello Stato ebraico e, in modo particolare nei confronti di Benjamin Netanyahu, si è sempre manifestata apertamente.

Non è necessario ricorrere alla dietrologia per rendersi conto di quanto Biden sia di fatto un leader di facciata il quale recepisce sostanzialmente coordinate ben precise sul dossier israeliano. Un presidente poco lucido è facilmente manovrabile, soprattutto se a farlo è l’ex presidente americano di cui è stato sottoposto.

Tutte le critiche e le riserve esposte contro Israele negli ultimi mesi da parte americana, sempre più serrate e micidiali, per arrivare al blocco del tutto pretestuoso di una fornitura di armi che Netanyahu è stato costretto a rendere pubblico, inducono a pensare che l’anziano presidente sia semplicemente il terminale di una filiera che ha in Barack Obama e nei suoi ex uomini inseriti in posizioni nevralgiche, i principali attori.

Il progetto di fare nascere sulle pendici della Cisgiordania uno Stato palestinese, così come il riavvicinamento all’Iran e il tentativo pre guerra in Ucraina di rientrare nell’accordo sul nucleare affondato da Trump nel 2018, insieme alla volontà di condurre Israele a elezioni anticipate con l’appoggio dell’opposizione interna per togliere Netanyahu dalla scena, sono dirette propaggini dell’Amministrazione Obama dalla quale l’Amministrazione Biden appare sempre più come la controfigura trasparente.

 

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