Dopo le polemiche seguite alla trasmissione RAI “L’eredità” del 21 maggio scorso siamo giunti a un nuovo capitolo che coinvolge un tribunale della Repubblica, precisamente quello di Roma.
Vediamo di ricapitolare gli avvenimenti. La trasmissione Rai “L’Eredità” nella puntata del 21 maggio scatena una accesa controversia, quando il suo conduttore, Flavio Insinna, corregge un concorrente che dichiara Tel Aviv capitale di Israele al posto di Gerusalemme. Insinna, giustamente, ribadisce che la capitale di Israele è Gerusalemme. Che la capitale di Israele sia Gerusalemme è un fatto legittimo al di fuori di ogni dubbio legale, in quanto è prerogativa di ogni Stato designare la propria capitale e non esiste alcuna legge internazionale che affermi il contrario.
Il 5 giugno il conduttore è costretto, dopo forti pressioni politiche, a fare una pubblica parziale retromarcia. Ma non è sufficiente, le zelanti associazione propal di cui la Repubblica italiana abbonda insorgono. Così la querelle finisce in tribunale. E qui la cosa assume i toni, appunto, della farsa come si può leggere dalle pagine di La Repubblica dell’edizione di Bologna.
Entrando in merito alla questione il giornalista di Repubblica, Rosario di Raimondo, scrive: “Il caso finisce sul tavolo del giudice del tribunale di Roma Cecilia Pratesi, della sezione diritti della persona e immigrazione”. Poi “la toga scava nel “nodo centrale della questione”. Che non è “una presa di posizione politica in merito al diritto degli stati di Israele e Palestina di eleggere Gerusalemme a propria capitale”.
Già queste prime affermazioni del giudice sono molto indicative, il giudice infatti afferma che non si tratta di “una presa di posizione politica in merito al diritto degli stati di Israele e Palestina di eleggere Gerusalemme a propria capitale. Il fatto di equiparare uno Stato reale e riconosciuto all’ONU come Israele, che peraltro è stato ammesso in seno all’ONU ben prima della Repubblica italiana, con uno Stato inesistente, la Palestina, è una presa di posizione politica del tutto priva di base giuridica.
Entrando nel merito della sentenza stessa si resta costernati al cospetto delle deformazioni in atto ammantate da uno pseudo contenuto legale. Vediamole.
“E’ lo Stato Italiano a non riconoscere Gerusalemme quale capitale”, poi il giudice prosegue, “E’ fatto notorio che il 21 dicembre 2017 l’Italia abbia votato a favore della risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che rifiutava la decisione degli Usa di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele, così come è noto che le stesse Nazioni Unite si siano ripetutamente espresse sulla questione condannando l’occupazione israeliana dei territori palestinesi e di Gerusalemme est, e negando qualsiasi validità giuridica alle decisioni di Israele di trasformarla nella sua capitale”.
Che lo Stato italiano non voglia riconoscere Gerusalemme come capitale legittima di Israele è solo un atto politico e non ha alcun aggancio con il diritto internazionale. Che sia noto il fatto che 21 dicembre l’Italia abbia votato in seno all’Assemblea Generale dell’ONU contro la decisione dell’Amministrazione USA di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele è un atto politico non di diritto. Esattamente come l’atto stesso dell’Assemblea Generale, e, per il semplice fatto, ignoto al giudice Pratesi, che l’Assemblea Generale non è un organismo titolato a promulgare atti di diritto internazionale. Sarebbe sufficiente leggersi lo Statuto dell’ONU per comprendere quali sono le competenze dell’Assemblea Generale, e, inequivocabilmente, tra di esse non c’è la facoltà di promulgare leggi internazionali. Che un giudice della Repubblica non lo sappia è sconcertante.
A scanso di malintesi riportiamo qui le fonti di diritto internazionale, come previsto anche dall’Art. 38 dello Statuto della Corte di Giustizia Internazionale:
Fonti delle norme di diritto internazionale
Corte Internazionale di Giustizia
Articolo 38
- La Corte, la cui funzione è di decidere in base al diritto internazionale le controversie che le sono sottoposte, applica: a. Le convenzioni internazionali sia generali che particolari, che stabiliscono norme espressamente riconosciute dagli Stati in lite; b) la consuetudine internazionale, come prova di una pratica generale accettata come diritto; c) i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili; d) con riserva delle disposizioni dell’Articolo 59, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più qualificati delle varie nazioni comemezzi sussidiari per la determinazione delle norme giuridiche.
Come si può vedere, senza essere esperti di diritto internazionale, le risoluzioni dell’Assemblea Generale concorrono a formare il diritto internazionale.
Ma la chiusa del giudice è fenomenale, cosi come riporta Repubblica: le risoluzioni Onu “costituiscono diritto convenzionale direttamente applicabile nel nostro ordinamento”, come stabilito dalla nostra Costituzione. Qui siamo al grottesco. Si riporta qui l’articolo della Costituzione italiana:
Art. 10.
L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
Peccato che le risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU non siano norme del diritto internazionale.
L’ultima perla la riferisce a Repubblica uno degli avvocati promotori della sentenza: “Dice a Repubblica l’avvocato Gianelli – Ai sensi del diritto internazionale, Gerusalemme non è la capitale di Israele. Non può passare l’idea che tutto è controvertibile”. E’ vero esattamente il contrario. Ai sensi del diritto internazionale Gerusalemme, sulla base del diritto consuetudinario, è capitale di Israele, e non è certo una sentenza di un giudice, che come si evince dalle sue stesse parole, non ha fornito una sola motivazione plausibile, ad alterare la realtà dei fatti.