Queste sono le parole di una canzone di Ricky Gianco e Gian Pieretti presentata a Sanremo nel 1967; già, strana combinazione, proprio nell’anno della Guerra dei Sei giorni che avrebbe definitivamente allontanato da Israele le simpatie della maggior parte dei partiti di sinistra.
Diretta conseguenza di questa premessa è l’analisi dell’articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano a firma di Davide Assael, presidente associazione Lech Lechà, di cui ha già dato conto puntualmente qui ieri David Elber.
Non l’avrei letto se, oltre al titolo – che comunque non è dovuto ad Assael –, non avessi visto, già nella prima frase, la seguente affermazione: “A oggi in Israele è stato vaccinato il 100% della popolazione”. Quest’ultima asserzione mi ha messo in allarme perché, oltre a essere falsa, induce l’ignaro lettore a credere che vaccinarsi, in Israele, sia stato imposto dal governo (come accade altrove), mentre nella realtà si sono vaccinate solo le persone che hanno liberamente scelto di farlo. Diverse menzogne si trovano nell’articolo, come, ad esempio, l’affermazione secondo la quale Israele “è arrivato a essere lo Stato con la maggiore percentuale di infezioni in rapporto alla popolazione”.
Superate queste mendacità, pare opportuno mettere in risalto una serie di altre perle, tutte volte ad aumentare la già sufficiente acredine nei confronti di un governo democraticamente eletto ma che ad Assael non piace.
“Pare che il prezzo che Netanyahu è stato disposto a pagare sia doppio o addirittura triplo rispetto a quello pagato da USA ed Europa”. “Pare”, si legge, ma quello che è invece certo è che i contratti stipulati dai vari Enti statali, Europa compresa, sono al momento secretati, e, guarda caso, l’Europa è criticata proprio per aver troppo a lungo voluto tirare sul prezzo del vaccino, restando alla fine indietro nelle consegne. Ma se “un’inebetita UE” è rimasta indietro, non è certamente a causa della “visione a corto raggio” del premier di uno Stato di soltanto 9 milioni di abitanti che avrebbe “soffiato” i vaccini ai suoi 446 milioni di cittadini. Un po’ di logica gioverebbe.
Assael, la soluzione, in effetti, ce l’ha: “una strategia coordinata che estirpasse il virus dal pianeta il prima possibile”; auguriamoci che Draghi, e soprattutto Ursula von der Leyen leggano questo articolo e diano vita presto a una task force idonea, sicuramente più efficace di quella che si è attivata in Israele.
Netanyahu – del quale non sto prendendo le difese e delle quali non necessita –, secondo l’autore, avrebbe dovuto “recuperare il consenso perduto dopo la disastrosa gestione della pandemia”, ma, se ricordiamo bene, in passato Israele era stata elogiata proprio in merito alla efficiente gestione di quest’ultima. Si sa, in politica, oggi, tutto è permesso, e accusare l’avversario, o meglio il nemico, con parole ad effetto ma lontane dalla realtà serve ad aumentare quell’antisemitismo sempre più presente nelle democrazie occidentali (e teniamo ben presente la dichiarazione dell’IHRA).
Tutto sembra permesso a Davide Assael, che scrive “in Israele si evidenziano i limiti di questo sovranismo vaccinale, dimostrando una volta di più la crisi dello Stato nazione”. E qui casca l’asino, e qui vediamo il vero bersaglio. Lo Stato nazione, che non ha più ragione di essere, forma superata da inglobarsi all’interno di organismi sovranazionali che lo porranno sotto tutela. Assael accarezza questo futuro di sradicamento e perdita di identità, lo stesso futuro che Marx vedeva per gli ebrei, forma vecchia da dissolversi nel calderone dell’umanità redenta.