Dal nostro inviato in Israele, Niram Ferretti
La decisione di Israele di rimuovere i metal detector collocati all’ingresso della Porta dei Leoni al Monte del Tempio-Spianata delle Moschee a Gerusalemme arriva dopo giorni convulsi e tesi. I metal detector, rimasti dieci giorni davanti all’ingresso, erano stati dichiarati fin dal principio da parte del governo in carica una misura temporanea in attesa di implementare misure di sicurezza più efficaci e definitive dopo l’attentato del 14 luglio in cui tre terroristi arabi hanno ucciso due poliziotti israeliani di guardia al comprensorio. Ciò non toglie nulla al fatto che, alla luce di ciò che è avvenuto in questi giorni, questa decisione assomigli a una ritirata.
La collocazione dei dispositivi elettronici è diventata immediatamente occasione da parte araba e musulmana per esercitare una serrata propaganda allo scopo di accusare Israele di volere prendere il controllo del sito considerato sacro all’ebraismo e all’Islam. Venerdì scorso il governo israeliano aveva improntato eccezionali misure di sicurezza nel giorno considerato più potenzialmente pericoloso della settimana, quello in cui migliaia di fedeli musulmani si recano a Gerusalemme per la preghiera rituale. Disordini scoppiati poi in Cisgiordania hanno infatti provocato la morte di due palestinesi. Il clima surriscaldato di eccitamento e incitamento intorno alla questione dei metal detector è stato poi il presupposto per la strage di Halamish, quando, la sera di Shabbat, un terrorista arabo ha assassinato a colpi di coltello tre membri della famiglia Solomon nella loro casa.
Al quadro si è quindi aggiunto il tentativo di omicidio di un addetto alla sicurezza dell’ambasciata israeliana ad Amman, in Giordania, da parte di un giovane che lo aveva assalito con un cacciavite. L’uccisione dell’assalitore insieme a quella di un altro giordano presente, da parte della guardia, aveva portato il governo giordano alla decisione di trattenerlo provocando un forte attrito con Israele e il rischio di una crisi diplomatica tra i due paesi. La questione si è poi risolta con il rientro nella notte in Israele della guardia, successivo a un incrocio serrato di telefonate tra Amman, Gerusalemme e Washington.
La decisione del gabinetto di sicurezza di rimuovere i metal detector, per implementare sul comprensorio del Monte del Tempio-Spianata delle Moschee tecnologie avanzate nell’arco di tempo di sei mesi, giunge come l’esito scontato di pressioni non solo a livello internazionale, Stati Uniti in testa, ma anche come conseguenza di una mancata unanimità interna sulla reale efficacia dei dispositivi elettronici.
Purtroppo tale esito rappresenta agli occhi del mondo arabo-musulmano una vittoria di immagine. Si potrà dire che Israele ha capitolato di fronte alla forza della risposta musulmana, la quale lo ha costretto alla rimozione dei metal detector aspramente contestati.
Per la mentalità araba-musulmana una vittoria simbolica di questo tipo, oltretutto relativa a quello che considera un sito interamente proprio nonché il terzo per importanza religiosa dell’Islam, vale quasi quanto una vittoria ottenuta sul campo. Tutto ciò null’altro è se non, fin dall’inizio, la conseguenza di una gestione frettolosa e abborracciata da parte di Israele del post-attentato del 14 luglio. Mancata coordinazione tra i vari servizi di sicurezza, mancata unanimità sulla decisione da prendere (collocare o meno i metal detector), sottovalutazione delle conseguenze di una loro collocazione.
Averli messi per poi levarli dopo solo dieci giorni, a seguito della escalation intimidatoria araba e delle pressioni americane intervenute per pacificare la situazione, non rende un grande servizio a Israele. Lo mostra solamente, agli occhi dei suoi perenni nemici, irresoluto e confuso. Sicuramente non una buona cambiale da spendere per il futuro.