La prima minacciosa dichiarazione da parte di Donald Trump dello scatenamento dell’inferno in Medio Oriente se la situazione non fosse mutata, risale a dicembre. Di seguito, prima di inediarsi alla Casa Bianca con pieni poteri il 20 gennaio, Trump inviò Steve Witkoff a Gerusalemme. Witkoff convinse Netanyahu che era opportuno che si accordasse con Hamas perché questo era quello che desiderava il neo-eletto presidente.
Da allora ad oggi si sono susseguite altre dichiarazioni di scatenamenti di inferni imminenti, specificatamente rivolte a Hamas.
Dopo un mese e mezzo di orrendi teatrini del gruppo jihadista allestiti per la liberazione degli ostaggi, ultimatum, andrivieni tra Doha, Cairo e Gerusalemme, si è giunti alla trattativa americana sottobanco con Hamas per la liberazione di un ostaggio americano e la restituzione dei corpi degli ostaggi americani uccisi.
Sulla scena ha fatto il suo esordio Adam Boehler, imprenditore in ambito medico e scelto come negoziatore, il quale ha creato non poco scompiglio con dichiarazioni surreali, facendo sapere che i trucidatori del 7 ottobre sono “bravi ragazzi”, che i terroristi nelle carceri israeliane sono “ostaggi”, che gli Stati Uniti non sono “un agente di Israele”, per poi, a seguito delle reazioni sconcertate che si sono avute in Israele, fare marcia indiero a 180 gradi scrivendo un comunicato in cui afferma incondizionatamente la malvagità di Hamas.
La parentesi fantozziania di Boehler ha avuto come coda le affermazioni di Witkoff, il quale ha elogiato il ruolo “eccezionale” da negoziatore svolto dal Qatar, principale sponsor di Hamas, e attore dalle molti parti, a cui, sicuramente, deve grande riconoscenza personale per averlo salvato dalla bancarotta. Witkoff ha poi aggiunto che Hamas non ha alternative se non quella di disarmarsi e lasciare Gaza, e che se lo farà allora sul tavolo ci saranno “tante cose per una pace negoziata”, però, prima che questo avvenga, si cercherà di estendere la tregua di due mesi ottenendo in cambio la liberazione di altri dieci ostaggi, quindi assai meno di quelli già rilasciati nel frattempo.
Hamas ringrazia per l’ossigeno e dichiara magnanimo di essere “flessibile”.
Mentre Hamas dovrebbe preparare le valige e trasferirsi non si sa dove, mentre su Gaza incombe il trasferimento della sua popolazione, anche qui non si sa dove, mentre si annunciano futuri inferni, si otterrebbe con il contagocce in virtù della sua flessibilità, il rilascio di soli dieci ostaggi sui ventiquattro ancora detenuti, senza contare le trentacinque salme che detiene.
In contrasto con la prospettiva posta da Witkoff, della partenza di Hamas da Gaza con salvacondotto, c’è la volontà di quest’ultimo di entrare nella seconda fase dei negoziati che prevede la fine della guerra e l’abbandono definitivo dell’IDF della Striscia.
In questo scenario caotico, drammatico e farsesco, l’unica certezza è che la guerra di Israele contro Hamas, dopo quindici mesi, non è stata ancora vinta.
