Dal nostro inviato in Israele, Niram Ferretti
Malgrado la rimozione dei metal detector dall’ingresso al Monte del Tempio-Spianata delle Moschee, conseguente al cedimento del governo Netanyahu alle pressioni internazionali e soprattutto, cosa più grave, per le sue implicazioni simboliche e politiche, alla piazza araba, i leader religiosi islamici di Gerusalemme hanno esortato i fedeli musulmani che venerdì si recheranno in massa nella città santa per pregare a continuare a farlo all’esterno del comprensorio. Abu Mazen, dal feudo di Ramallah, ha dato la sua approvazione alle dimostrazioni di massa che si terranno, denominate propagandisticamente “Giorno della Rabbia”, associandosi così al rivale Hamas di fronte al quale non intende sfigurare. La situazione permane dunque tesa e potenzialmente incendiaria.
Ieri, Isreal Hayom il quotidiano più lealista all’attuale governo israeliano, ha pubblicato un duro editoriale nel quale viene stigmatizzata la decisione di rimuovere i metal detector, vista per quello che è, un evidente segno di debolezza:
“Il problema non comincia con la debole decisione di rimuovere i metal detectors dall’ingresso al comprensorio del Monte del Tempio. Il problema è cominciato giorni prima con la mal consigliata decisione di installarli in primo luogo. La risposta israeliana all’attacco del 14 luglio al Monte del Tempio, in cui due poliziotti israeliani sono stati uccisi, è stata così frettolosa e confusa che non sussisteva alcun dubbio che anche il minimo rigetto da parte degli arabi e del Waqf avrebbe portato alla fine a una capitolazione israeliana. Dopo tutto, sin dal 1967, la condotta di Israele relativa al Monte del Tempio è stata come quella di una foglia al vento”.
La risposta arabo-musulmana di queste ultime ore, incardinata sul completo rifiuto di ogni minima modifica da parte israeliana delle condizioni di sicurezza intorno al comprensorio è la dimostrazione incontrovertibile di chi si sente in una posizione di forza per potere ottenere ciò che chiede. E ciò che viene chiesto è stato prontamente fatto recapitare ieri dal Waqf islamico al capo della polizia Yoram Halevy. Tra le richieste alle quali Israele dovrebbe ottemperare c’è quella di rimuovere cinque nuove telecamere appena installate, di riaprire cinque accessi e di rimuovere le ringhiere dalle entrate. L’indisponibilità ad accettare la collocazione da parte di Israele di nuove sofisticate telecamere è stata già manifestata.
La protervia arabo-musulmana è perfettamente logica e giustificata da parte di chi si sente il proprietario del luogo dove gli ebrei non possono pregare e sono considerati solo degli intrusi. Posizione questa che riflette chiaramente quella generale del rigetto arabo nei confronti di Israele in quanto tale.
In una intervista di prossima pubblicazione concessa a L’Informale, l’ex ambasciatore Yoram Ettinger, uno dei maggiori analisti del conflitto arabo-israeliano, relativamente alla questione degli insediamenti in Cisgiordania ci ha detto:
“Per Israele soccombere alla pressione araba di astenersi dal costruire nell’area significherebbe la pacificazione con un regime brutale, la pacificazione con un soggetto che esercita pressioni. Nel Medioriente un simile gesto da parte di Israele è interpretato in un solo modo, come una prova di debolezza, e una volta che si manifesta debolezza non si invita solo ulteriore pressione ma ulteriore violenza”.
E’ questo un principio che, al di là delle situazioni specifiche e contingenti, purtroppo vale sempre.