Con la nomina di Yeha Sinwar ai vertici di Hamas si potrebbe aprire facilmente un nuovo scontro con Israele. Sinwar, noto per essere uno degli esponenti più estremisti dell’organizzazione terroristica palestinese, venne rilasciato da Israele nel 2011 insieme ad altri mille prigionieri in cambio della riconsegna allo Stato ebraico del caporale Gilad Shalit, catturato da Hamas nel 2006. All’epoca Sinwar protestò per l’accordo raggiunto, considerandolo troppo conciliatorio. E’ molto probabile che il cinquantacinquenne terrorista, a cui sono attribuite almeno una dozzina di esecuzioni sommarie a Gaza di presunti collaboratori di Israele, arrivi a rimpiazzare Khaled Meshaal a capo dell’intero gruppo.
Malgrado Israele reputi improbabile che Hamas voglia lanciare un’altra offensiva dopo l’operazione Margine Protettivo del 2014, la possibilità che ciò accada in un momento delicato come questo, con una nuova amministrazione americana esplicitamente pro-israeliana, e una situazione assai problematica a Gaza, non è da escludere. Hamas ha rimpolpato il proprio arsenale ed è in grado di controllare quindici tunnel con sbocchi all’interno di Israele. Una offensiva contro lo Stato ebraico non avrebbe, ovviamente, altro effetto che puntare nuovamente l’attenzione sul conflitto provocando la inevitabile risposta israeliana in modo da suscitare a livello mondiale l’abituale ondata di antisionismo e antisemitismo.
La realtà sul campo non gioca né a favore di Hamas, né a favore di Fatah. Esse devono confrontarsi con una crescente stasi e la totale incapacità di potere offrire alla propria popolazione un effettivo miglioramento dello stato di vita. Il futuro è bloccato da decenni in una sterile e sanguinosa lotta da cui entrambe non sono state in grado di trarre alcun vantaggio generale, se non quello particolaristico di avere consolidato ulteriormente il loro rispettivo potere. Non a caso, Abu Mazen, ha recentemente nominato come vicepresidente di Fatah un suo uomo di fiducia, Mahmoud al Aloul, il quale gli consente di non venire messo in ombra e, solo apparentemente, di andare incontro al desiderio di molti nel partito e alla sua base, di un avvicendamento ai vertici. E’ infatti la prima volta che l’Autorità Palestinese nomina un vicepresidente. Aloul, viene anche lui, come Sinwar, dall’ala militare, e in passato si è fatto esplicitamente promotore della “resistenza” armata.
Mentre la Casa Bianca non ha ancora definito una strategia chiara relativamente al Medioriente e a Israele, e il governo Netanyahu campa alla giornata, in ambito palestinese non sono certo le colombe a farsi avanti. Dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, di come la prospettiva già assai precaria di negoziati non faccia che allontanarsi in un futuro indeterminato.