Editoriali

Quello che ci preoccupa nella cattura di Salah

“Qui non c’è posto per voi, andatevene”. Donne velate, ragazzi in tuta nera, un intero quartiere ha creato un cordone contro la polizia. Sembrano scene di ordinaria follia che troppo spesso si vedono in certi quartieri italiani problematici, in mano alla camorra, ogni volta che viene catturano un boss e i residenti solidarizzano con il criminale.
In questo caso, anche l’appartenenza etnica ha avuto il suo ruolo: i contestatori sono arabi e musulmani, le forze dell’ordine rappresentano una sorta di invasione degli “stranieri” in un territorio non loro. Non siamo però a Damasco o a Baghdad o a Tripoli, non si tratta di una “ingerenza dell’occidente”. Siamo in un comune belga di poco più di 80.000 abitanti, Molenbeek-Saint-Jean, nella regione della capitale Bruxelles.
Si tratta di una cittadina caratterizzata dalla forte immigrazione, soprattutto da paesi nordafricani e arabi, che ormai praticamente non si sente più belga. Un qualsiasi intervento dell’autorità statale è quindi considerata un’invasione, ma in questo caso stiamo parlando di qualcosa di più grave del solito: ad essere stato catturato dalle forze dell’ordine era il terrorista più ricercato del momento, quel Salah Abdeslam responsabile della strage del Bataclan a Parigi. In fuga da 4 mesi, cercato dalla giustizia e persino dagli jihadisti che non gli hanno perdonato il mancato martirio.
Salah è quindi un assassino, uno stragista, un terrorista, ma la comunità araba-islamica di Molenbeek-Saint-Jean non ha trovato nulla di meglio che tentare di ostacolare il lavoro delle forze dell’ordine, identificandosi quindi con il catturato.

L’operazione senza dubbio è riuscita: Salah è stato ferito alla gamba e si è arreso, è stato arrestato un altro terrorista e le persone che li hanno ospitati. In tutto quattro arresti. Nessuno spargimento di sangue, niente ostaggi né vittime innocenti.
Eppure rimane il retrogusto di una sensazione spaventosa: non siamo più al sicuro. Salah era ricercato da quattro mesi, ma non stava girando il mondo. Non era in fuga. In quei quattro mesi è sempre rimasto lì, a Molenbeek, protetto dalla comunità musulmana locale evidentemente ben poco integrata e ben poco europea. Nessuno l’ha mai trovato, il nascondiglio ha funzionato per tutto questo tempo.
Non solo: la sua residenza è stata un alloggio di proprietà del comune, da cui ha anche ideato le stragi di Parigi.
Molenbeek, da comune dell’hinterland della capitale Bruxelles, è quindi diventato un covo di jihadisti, da cui partono i terroristi per fare attentati in Europa. Non si può certo parlare né di accoglienza né di multiculturalismo, ma di una cittadina ghetto in cui la comunità ormai dominante si sente persino ostile nei confronti di chi la ospita.
I 194 giorni senza governo, che la propaganda aveva fatto credere particolarmente “felici”, hanno invece reso il Belgio particolarmente vulnerabile ed esposto. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Da Molenbeek e da Bruxelles sono partiti gli autori degli attentati del 13 novembre a Parigi. E a Molenbeek per quattro mesi si è rifugiato, nutrito, scaldato Salah, il maggiore ricercato del momento. Nascosto in un alloggio del Comune e protetto dagli abitanti del quartiere, che infine hanno inveito contro le forze dell’ordine al momento della cattura.
Siamo in Europa, purtroppo. E a questo punto dobbiamo avere paura.

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