Da ieri sera non c’è più bisogno di chiedersi quanto sia sicuro camminare in una città italiana indossando una kippah, oppure mostrando una catenina con la stella di David o una t-shirt con la scritta “I love Israel” o a sostegno dell’Idf. La risposta è arrivata: ieri sera, a Milano, un ebreo di 40 anni è stato accoltellato nove volte davanti ad un ristorante kosher.
Nathan Graff, l’aggredito, non è in pericolo di vita ma se l’è vista davvero brutta: ferito più volte alla schiena e sfigurato con un profondo taglio al volto.
Genero di un rabbino di origine afghana, Hetzkia Levi, l’uomo ferito ha passaporto israeliano. Al momento dell’aggressione indossava per l’appunto la kippah, il caratteristico copricapo degli ebrei osservanti. Chiara la matrice dell’antisemitismo, ancor più inquietante la modalità che sembra proprio voler emulare la cosiddetta “Intifada dei coltelli” che sta insanguinando il Medio Oriente da inizio ottobre.
Non siamo però sulle alture del Golan né in un insediamento della Cisgiordania. Non ci troviamo neppure a Gerusalemme o a Gaza. Siamo a Milano, in Italia, a 4.000 chilometri dall’Intifada dei coltelli.
Nulla ancora si sa sull’identità dell’aggressore, dal volto incappucciato. Una testimone racconta che “mentre fuggiva si è tolto il cappuccio” permettendole di vedere “una folta capigliatura bionda”, altri assicurano di aver udito le parole “Ti ammazzo”.
I possibili sospettati potrebbero essere tanti, troppi. Un islamista, un arabo, o forse un italiano filopalestinese? O un antisemita, un neonazista, un estremista di destra o di sinistra, un complottista che odia “gli ebrei padroni del mondo”?
Tanti, troppi, per l’appunto.
Bene ha fatto il co-presidente della comunità ebraica di Milano, Raffaele Besso, a ricordare come questo sia stato “l’episodio di matrice antisemita più grave che si sia mai verificato a Milano”. Riccardo Pacifici è andato oltre: “La più grave aggressione avvenuta in italia dall’attentato del 1982 alla sinagoga di Roma, nel quale perse la vita il piccolo Stefano Gaj Taché, di soli due anni”.
Siamo nel 2015 e l’antisemitismo in Italia è un problema. Anzi, lo è più che negli anni passati.
Non si possono paragonare epoche tanto diverse sia pur vicine, ma oggi, in un’Italia libera da regimi e leggi razziali, i pregiudizi perlopiù di natura complottista contro gli ebrei abbondano e sembrano pure tollerati.
Hannah Arendt, nel suo “La banalità del male” descriveva Italia e italiani con parole lusinghiere: “L’assimilazione era in Italia una realtà”, “il prodotto della generale, spontanea umanità di un popolo di antica civiltà”. Per questo “L’antisemitismo non era un’ideologia, qualcosa in cui si potesse credere, come era in tutti i Paesi di lingua tedesca, o un mito e un pretesto, come era soprattutto in Francia”. In effetti le leggi razziali del 1938 non furono emanate a furor di popolo e neppure particolarmente ben accolte, salvo poi approfittarne per regolare vecchi conti, consumare piccole vendette, sistemare carriere lavorative denunciando il proprio collega ebreo oppure assicurarsi lauti guadagni per nascondere l’amico ebreo, in modo tutt’altro che disinteressato. Gli italiani non sono stati “brava gente”, come dice la leggenda.
Neppure oggi. Dubitiamo che Hannah Arendt sceglierebbe ancora le parole che ha utilizzato ne “La banalità del male” per descrivere gli italiani del 2015. Lo spaccato che emerge dai commenti antisemiti sui social network è imbarazzante oltre che inquietante. Pregiudizi, tifo da stadio nel valutare la questione israelo-palestinese, odio di matrice politica, semplice ignoranza: le mani che hanno accoltellato Nathan Graff sono anche metaforiche e sono tante, troppe. Lo ribadiamo.
“Quando è partita l’intifada dei coltelli avevano promesso di colpire gli ebrei in Israele e in ogni parte del mondo, e lo hanno fatto” ha ricordato ancora Pacifici.
Ed è vero. Hanno avuto vita facile. Lo hanno fatto in un’Italia in cui lo scenario anti-sionista ed antisemita è desolante. In un’Europa in cui vengono etichettati i prodotti provenienti dalle alture del Golan ma non quelli provenienti dal Tibet o da altre colonie.
L’allarmismo non serve, ma possiamo davvero sostenere che gli ebrei, nel 2015, siano al sicuro in Italia?
Crediamo di no, anche per le notizie che giungono proprio in concomitanza con l’episodio di Milano.
Spostandoci di qualche chilometro, apprendiamo che Abdul Rahman Nauroz, il presunto terrorista islamista arrestato a Merano mentre progettava attentati in tutto il mondo, aveva lo status di rifugiato politico e abitava in un monolocale in cui reclutava jihadisti. Un appartamentino «pagato totalmente dai servizi sociali di quella città».
Quanti sono, in Italia, gli accoltellatori di Nathan Graff?
Foto: Corriere.it
Pingback: Gradita la condivisione: diffuso l’identikit dell’aggressore di Nathan Graff – L'Informale