Gamal Abdel Nasser, il carismatico presidente egiziano è morto cinquant’anni fa. Durante i suoi diciotto anni al potere, dal 1952 al 1970, ha dominato il Medio Oriente e, anche adesso, continua ad essere un acceso argomento di interesse.
Secondo Google Ngram Viewer (uno strumento che analizza la frequenza delle parole all’interno di un database di libri che arriva fino al 1500, N.d.T.), il termine “nasserista” è apparso sempre più spesso nei libri in lingua inglese dal 1970. Un articolo pubblicato di recente in un quotidiano libanese annunciava che “Nasser è il futuro”, definendo l’ex presidente egiziano il “leader immortale” e affermando che continua ad essere “una necessità per affrontare le sfide attuali anche se le sue idee e le sue scelte costituiscono un ponte solido per gettare le basi per il futuro”.
I titoli degli articoli sulla morte di Nasser apparsi sul New York Times hanno illustrato sinteticamente tanto il trattamento benevolo e positivo di cui ha beneficiato da parte degli occidentali e la convinzione di questi ultimi che Nasser godesse di popolarità universale tra gli arabi: “Un colpo assestato agli sforzi per la pace”, “I funzionari americani assistono a un periodo di instabilità in Medio Oriente”, “Il mondo arabo è affranto dal dolore”. La vera storia, tuttavia, era ben diversa, con il governo Nasser che portò l’Egitto alla catastrofe sotto forma di un declino politico, economico e culturale.
Nasser era un colonnello di 34 anni, nel momento in cui prese il potere nel 1952 con un colpo di Stato, e fu il primo egiziano autoctono a governare il Paese dopo i faraoni. Le sue ambizioni erano smisurate quanto le sue idee erano deliranti. Rovesciò un sovrano e instaurò un governo militare oppressivo che ancora perdura 68 anni dopo. Spodestò allo stesso modo grandi proprietari terrieri e piccoli commercianti, poi cacciò gli imprenditori levantini – soprattutto italiani, greci e libanesi – che alimentavano l’economia. Perseguitò la piccola ma fiorente comunità ebraica di 75 mila anime al punto che ora è costituita da una decina di donne anziane (secondo le ultime stime).
Si alleò con l’Unione Sovietica, industrializzò l’Egitto secondo i criteri sovietici e governò con una brutalità post-stalinista. Stregato dal miraggio di portare tutti i Paesi arabi sotto il suo controllo, Nasser si unì ad alcuni di loro e fece guerra agli altri. Più di chiunque altro, instaurò l’antisionismo come pilastro della vita politica mediorientale e trasformò la questione dei profughi palestinesi in irredentismo palestinese. Strada facendo, dette inizio alla guerra dei Sei Giorni del 1967 e inviò le sue forze armate a subire la disfatta militare più sbilanciata della storia documentata.
Nasser dimostrò di essere un maestro nell’arte dell’inganno. Fingendo di essere diventato un civile, estese il monopolio del potere militare sulle questioni economiche, di sicurezza, legislative e giudiziarie. Impose un socialismo che gestiva i bus urbani con due classi di servizio, arricchendo i suoi compari. La sua pseudo unità con la Siria nascondeva una brutale determinazione a dominare. La sua apparente inimicizia con gli islamisti celava una lotta sordida per il bottino.
Arrivai in Egitto pochi mesi dopo la morte di Nasser, nel giugno del 1971. Fu un momento emozionante, dal momento che il suo successore, Anwar al-Sadat, aprì il Paese, ridimensionando il socialismo, i legami con l’Unione Sovietica e le avventure all’estero. Ogni giorno sembrava più luminoso di quello precedente.
Eppure, l’Egitto non si è mai sottratto all’eredità di Nasser. Il regime continua a usare una brutalità disinvolta nei confronti dei dissidenti e persiste in una tenace ostilità verso Israele che sopravvive al trattato di pace firmato quarantuno anni fa. Il Paese è in declino economico: gli ufficiali militari in pensione sono più importanti che mai e l’Egitto è incapace di nutrirsi o di produrre i beni di cui ha bisogno. Una popolazione di 100 milioni di abitanti si ritrova quasi interamente concentrata nel 4 per cento dell’Egitto che comprende la valle e il delta del Nilo. La costante espansione sui terreni agricoli e la prospettiva di una diminuzione delle acque del fiume Nilo lasciano presagire crisi future. Anche il famoso cotone egiziano non esiste più.
È così che l’Egitto è scivolato dal suo vecchio status di leader dei venti Paesi arabofoni ad uno secondario.
Quei titoli del New York Times simboleggiavano l’ingenuità dell’Occidente in merito alla natura profondamente perniciosa del governo di Nasser. Un colpo assestato agli sforzi per la pace? Niente affatto: fu solo dopo l’era Nasser che Sadat poté tirare fuori l’Egitto dal suo estenuante confronto con Israele. Un periodo di instabilità? No, la morte di Nasser rimosse l’elemento di maggior disturbo della regione. Arabi affranti dal dolore? Alcuni sì, ma molti altri si sentirono sollevati.
La storia egiziana moderna riconferma che quando un Paese cade nelle mani di un despota, il ritorno alla normalità può richiedere molto tempo. Russia, Cina e Iraq offrono altri esempi del passato; Venezuela, Corea del Nord e Iran ne forniscono di più attuali.
Tenuto conto del fatto che il cupo immobilismo dell’Egitto che dura da cinquant’anni all’ombra di Gamal Abdel Nasser, prevedo in modo pessimistico che tra altri cinquant’anni, l’Egitto del 2070 continuerà a subire la sua influenza. I governanti si succederanno uno dopo l’altro, incapaci di superare i limiti da lui stabiliti tanto tempo fa.
Addenda del 28 settembre 2020: (1) Includo Nasser nella mia lista dei politici del XX secolo più importanti del Medio Oriente e che hanno fondato nuovi Stati: Atatürk (Turchia), Ibn Saud (Arabia Saudita), David Ben Gurion (Israele), Gamal Abdel Nasser (Egitto indipendente) e Khomeini (Iran islamista).
(2) Per fortuna, la sconfitta del 1967 screditò Nasser tra i giovani egiziani, che oggi tendono a vedere il suo governo come una “epoca di disfatte”. Al contrario, la monarchia viene ricordata (come indicato dallo storico Tarek Osman) come “liberale, prestigiosa, cosmopolita”.
(3) L’attuale presidente egiziano, Abdel-Fattah al-Sisi, ha confermato come il regime rimanga limitato dall’eredità di Nasser quando celebrò Nasser nel 2018 come un combattente per la giustizia sociale, la libera istruzione e l’assistenza sanitaria e come “leader dell’indipendenza nazionale che ha posto l’Egitto al centro dell’attenzione internazionale”.
(4) I miei altri scritti su Nasser includono diverse recensioni editoriali:
- Recensione di Nasser’s Blessed Movement: Egypt’s Free Officers and the July Revolution” (“Il riverito movimento di Nasser. I Liberi ufficiali e la rivoluzione di luglio in Egitto”), di Joel Gordon. Orbis, Spring 1993.
- Recensione di “Nasser: The Final Years” (“Nasser: gli ultimi anni”), di Abdel Magid Farid. Middle East Quarterly, June 1995.
- Recensione di “Ike’s Gamble: America’s Rise to Dominance in the Middle East” (“L’azzardo di Ike”), di Michael Doran. Middle East Quarterly, Spring 2017.
-
(5) Tecnicamente parlando, Nasser non divenne presidente dell’Egitto fino al 1956, ma fu la figura chiave fin dal colpo di Stato del 23 luglio 1952, quindi sopra mi riferisco ai suoi “diciott’anni al potere, dal 1952 al 1970”.
Traduzione di Angelita La Spada
http://www.danielpipes.org/19815/nasser-died-fifty-years-ago