Israele e Stati Uniti

Perché per Israele una vittoria di Trump è necessaria

I risultati dell’Amministrazione Trump

I fatti non hanno colore né ideologia, si impongono nella loro oggettiva perentorietà. Nessuna amministrazione americana, dal 1948 ad oggi, nel corso di un solo quadriennio ha assommato una serie di decisioni così dirompenti a favore di Israele, come l’Amministrazione Trump.

L’elenco è eloquente: dalla decisione di dichiarare Gerusalemme capitale di Israele con conseguente spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, decisione che secondo numerosi accreditati “esperti” avrebbe incendiato il Medio Oriente, al riconoscimento della sovranità israeliana sulle alture del Golan. Dalla specificazione, esatta e inequivocabile, che gli insediamenti ebraici in Cisgiordania non violano alcuna norma legale, alla decisione presciente di togliere all’UNRWA, mano longa di Hamas all’ONU i fondi necessari alla sua sopravvivenza. Dalla doverosa decisione di dare seguito alla legge conosciuta come Taylor Force Act, dal nome del giovane ex cadetto di Westpoint assassinato nel 2016 da un terrorista palestinese sul lungomare di Giaffa, che sottrae all’Autorità Palestinese i fondi per remunerare i terroristi, alla chiusura dell’ufficio della medesima a Washington. Dalla decisione di uscire dall’UNESCO dopo le vergognose delibere filoislamiche che hanno privato gli ebrei di ogni legame storico con il Monte del Tempio, il Muro occidentale e la tomba dei Patriarchi a Hebron, all’uscita dal Consiglio per i diritti umani di Ginevra, oggi presieduto dall’Iran, dove sussiste sotto forma della cosiddetta Agenda 7, un dispositivo esclusivamente dedicato alla criminalizzazione di Israele.

A tutto ciò si aggiunge la decisione presa nel 2018 di uscire dall’JCPOA, l’accordo sul nucleare iraniano siglato da Barack Obama nel 2015 all’insegna della politica filoislamica della sua amministrazione, e di seguito la stipula degli Accordi di Abramo, iniziati dal riconoscimento diplomatico nei confronti di Israele da parte degli Emirati, del Sudan e del Marocco e che sarebbe dovuto culminare con quello da parte dell’Arabia Saudita.

I passi indietro dell’Amministrazione Biden

Con la vittoria di Joe Biden nel 2021, ognuna delle decisioni prese dall’Amministrazione Trump, salvo quella relativa allo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme e agli Accordi di Abramo, è stata rovesciata. Il rientro nell’accordo sul nucleare iraniano non è avvenuto, soprattutto a causa del subentro della guerra in Ucraina visto che l’Iran, alleato della Russia, ha provveduto a fornirle i droni per colpire le città del paese sostenuto dall’Amministrazione Biden, anche se, recentemente, sono ripresi i colloqui in Yemen.

Ma il passo indietro gigantesco rispetto a quello fatto in avanti da Trump, è stato di riproporre il più consolidato feticcio di tutte le amministrazioni americane dal 1993 ad oggi, ovvero la nascita di uno Stato palestinese in Cisgiordania, nonostante il fatto che i più persistenti oppositori alla sua nascita siano sempre stati i palestinesi stessi, dal 1993 ai giorni nostri. La sua effettiva nascita, infatti, metterebbe fine definitivamente al lucrosissimo ruolo di vittime e vessati che essi si sono attribuiti, e costringerebbe la cleptocrazia palestinese di Ramallah a mostrare di essere in grado di fare funzionare una efficiente macchina statale, per non parlare del requisito fondamentale al suo venire in essere, il riconoscimento non della mera esistenza di Israele, ma della sua legittimità di esistere.

Donald Trump, consapevole dell’inutilità di aprire un tavolo negoziale con l’Autorità Palestinese, aveva deciso di metterla in un angolo rivolgendosi direttamente ai potentati arabi, e mirando soprattutto all’Arabia Saudita, con cui, dopo la lunga stagione di gelo con Barack Obama, si erano riattivati buoni rapporti. Non a caso, il primo viaggio internazionale che Trump fece da presidente eletto fu a Riad. Ed è l’accordo prossimo con l’Arabia Saudita, annunciato da Netanyahu come foriero di una nuova era, nel suo discorso all’ONU del 22 settembre 2023, che Hamas ha fatto saltare con l’eccidio del 7 ottobre 2023 il quale è stato la premessa della guerra a Gaza. Accordo il cui merito, se fosse andato in porto, se lo sarebbe intestato Joe Biden, mentre, se avverrà, sarà unicamente frutto della tessitura diplomatica dell’Amministrazione Trump.

Le conseguenze di una Amministrazione Harris

Una vittoria di Kamala Harris alle presidenziali americane, per Israele significherebbe una costante pressione per i prossimi quattro anni finalizzata alla nascita di uno Stato palestinese, significherebbe la continua delegittimazione di Netanyahu se restasse al potere, significherebbe l’appoggio diretto o indiretto a tutte le iniziative internazionali volte a mettere Israele sul banco degli imputati per la violazione inesistente del diritto internazionale, significherebbe continuare a dare credito all’idea falsa, giù ampiamente mostratosi fallimentare, che Israele può solo cedere terra in cambio di pace, come ha fatto a Gaza e come ha fatto in Cisgiordania anche se non in modo definitivo, consentendo all’Autorità Palestinese di amministrare totalmente l’Area A e in parte sostanziale l’Area B. Significherebbe in altre parole continuare a ripetere vecchi errori, a percorre una via che non può portare a nessun risultato se non quello di indebolire ulteriormente lo Stato ebraico.

L’Iran, che solo Trump ha provveduto a colpire severamente con le sanzioni, e, quando lo ha reputato necessario, mostrandogli, con l’uccisione di uno dei suoi pezzi da novanta, il generale Qasem Soleimani, fatto eliminare il 3 gennaio del 2020, che non avrebbe esitato ad usare le maniere forti, con una Amministrazione Harris, continuerebbe a essere blandito, permettendogli, come è accaduto sotto l’Amministrazione Obama e quindi Biden, di continuare a rafforzarsi a spese di Israele e di tutti gli altri Paesi mediorientali.

Il vantaggio di riavere Trump alla Casa Bianca

La vittoria di Trump rappresenta dunque per Israele una necessità fondamentale. Avrebbe la possibilità di potere gestire Gaza in uno scenario postbellico per tutto il periodo necessario alla sua completa bonifica dai jihadisti di Hamas, di cui, tra i primi a volere la scomparsa ci sono certamente i sauditi. Allo stesso tempo vedrebbe accantonato per i prossimi quattro anni lo spettro dello Stato palestinese, e al suo posto, il proseguimento degli Accordi di Abramo con l’Arabia Saudita, che, va ricordato, non implicavano il venire in essere di uno Stato palestinese, mentre l’Autorità Palestinese verrebbe relegata ad attore subalterno, e soprattutto avrebbe di nuovo un alleato in grado di tenere a bada il principale agente di destabilizzazione del Medio Oriente, l’Iran, a cui sicuramente Trump non concederebbe alcuno sconto, mai come adesso, dopo avere saputo che il regime di Teheran stava progettando un piano per assassinarlo.

 

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