Nel suo ultimo intervento pubblico dopo l’eccidio provocato da Hamas, Benjamin Netanyahu ha paragonato Hamas all’Isis, “Noi lo abbiamo sempre saputo, ora lo sa tutto il mondo”.
Una cosa va tenuta bene a mente a scanso di ogni equivoco, e al di là delle incarnazioni specifiche assunte dall’integralismo islamico, al suo centro c’è quello che si può tranquillamente chiamare il sesto comandamento dell’Islam, il jihad, la lotta armata e risoluta contro gli infedeli e che si riassume nella Sura 9, che secondo il Sahith di al-Bukhari, massimo tra gli esegeti del Corano, fu l’ultima a essere rivelata a Maometto.
Essa abroga in modo irrevocabile gli accordi stipulati con i miscredenti, la sua ragione d’essere è l’odio sacro, l’odio verso tutti coloro che non professano la fede in Allah.
Così come il jihad era consustanziale all’Isis, esso, in eguale misura, è consustanziale a Hamas ed è al cuore del suo Statuto del 1988, dove l’articolo 8 compendia alla perfezione la glorificazione del martire suicida e il jihad, “Allah è l’obiettivo, il profeta è il suo modello, il Corano la sua costituzione, il jihad la sua strada, e la morte e l’amore per Allah è il più nobile dei suoi desideri” in ossequio al dettato originale della Fratellanza Musulmana di cui Hamas è una costola.
Il nuovo Statuto di Hamas, che ha visto la luce nel 2017, consiste in una operazione di maquillage semantico che non modifica in nulla la sostanza del documento originale: il rifiuto di Israele e la rivendicazione ferma su quello che il gruppo afferma essere terre palestinesi, ovvero tutto il territorio dell’ex Palestina mandataria. Il jihad, per urtare meno la sensibilità occidentale e attirare simpatie, è stato trasformato in “resistenza”.
Quello di cui è stato capace Hamas nella giornata di sabato, fa impallidire per l’estensione e la spietatezza dell’azione omicida, i massacri compiuti dall’Isis, e, come è stato già più volte evidenziato, può solo essere paragonato alle azioni di sterminio messe in atto durante la Seconda guerra mondiale dalle Einsatzgruppen delle SS.
Per sedici anni, da quando Hamas prese il potere a Gaza nel contesto di una lotta fratricida con Fatah, Israele ha cercato di gestire la sua presenza in modo da non dovere essere costretto a sbarazzarsene, fino a giungere, dopo due conflitti, quello del 2009 e quello del 2014, a consentire, in accordo con il Qatar, finanziatore principale del gruppo terrorista, che gli arrivassero con regolarità milioni di dollari, (l’ammontare complessivo che il Qatar ha versato a Hamas è finora nell’ordine di un miliardo e cinquecento milioni di dollari).
In questo modo e nonostante il fatto che, una volta terminati i finanziamenti qatarioti, Hamas rialzasse la testa e ricominciasse a lanciare razzi su Israele a cui Israele rispondeva bombardando le sue postazioni a Gaza, i governi che si sono succeduti hanno continuato a perseverare con la medesima politica di contenimento, reputando che essa fosse il male minore e che in questo modo Hamas si ammansisse e rinunciasse alle sue istanze programmatiche.
Il fallimento di questa politica conciliatoria è oggi sotto gli occhi di tutti, e soprattutto di chi, come Netanyahu l’ha avallata per anni. Lo si sapeva anche prima che Hamas è come l’Isis, sì, ma si è dovuto aspettare che ormai quasi mille israeliani venissero uccisi nell’arco di mezza giornata, per rendersene conto.
Israele ha pagato un prezzo inconcepibile per i suoi errori passati e presenti, e adesso non c’è che un’unica strada, distruggere Hamas, liberarsi definitivamente da questo feroce e implacabile nemico che si è lasciato crescere dentro casa.