A seguito del molto contestato ordine esecutivo sull’immigrazione emanato dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump abbiamo voluto ascoltare la chiara voce di Robert Spencer, il direttore di Jihadwatch, che abbiamo già avuto il piacere di intervistare in passato.
Tra i suoi libri sul jihadismo e l’Islam vogliamo ricordare The Complete Infidel’s Guide to the Coran (2009), Not Peace but a Sword (2013), The Complete Infildel’s Guide to Iran (2016) e, disponibile in italiano, Guida politicamente scorretta all’Islam e alle Crociate (2008) edito da Lindau.
Vorrei cominciare con una domanda relativa all’ordine esecutivo del presidente Trump sull’immigrazione il quale impedisce ai cittadini di sette paesi musulmani l’ingresso negli Stati Uniti per un periodo di tre mesi in modo da implementare le misure di sicurezza e di controllo. Ritiene che questa disposizione fosse necessaria, e se sì perché?
Sì, è necessaria. La scelta è chiara: o impedire ad alcuni viaggiatori legittimi l’ingresso nel paese per un periodo temporaneo, o permettere l’ingresso di rifugiati in mezzo ai quali ci sarebbe sicuramente un numero sconosciuto di jihadisti islamici che ucciderebbero cittadini americani. Coloro che si oppongono all’ordine esecutivo sembra che non siano interessati al fatto che i rifugiati hanno già perpetrato degli attacchi terroristici in Europa e negli Stati Uniti.
L’ordine esecutivo del presidente Trump ha creato un tumulto di grandi dimensioni negli Stati Uniti e molti rimproveri anche qui in Europa. E’ stato chiamato “una messa al bando dei musulmani”, cosa che ovviamente non è, visto che i paesi nella lista sono sette in mezzo a cinquantuno paesi islamici nel mondo. Inoltre, questi stessi paesi erano già considerati pericolosi dall’Amministrazione Obama. Qual è la sua opinione?
Il presidente ha agito interamente nell’ambito delle sue prerogative così come sono delineate dalla legge degli Stati Uniti. Egli ha infatti la responsabilità di limitare l’immigrazione a scopo di sicurezza nazionale. Chi chiama ciò una “messa al bando dei musulmani” cerca di montare l’isteria contro Trump in modo da screditarlo e distruggere la sua capacità di azione.
Diverse persone negli Stati Uniti e in Europa hanno anche criticato l’ordine esecutivo per non avere incluso paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar. Sappiamo che l’Arabia Saudita è un alleato degli Stati Uniti dal 1945 ma sappiamo anche che ha sponsorizzato il terrorismo oltre ad avere diffuso il wahabismo. Il Qatar ha finanziato gruppi terroristici come Al-Qaeda, Jabhat Al-Nusra e Hamas. Per quale motivo, secondo lei, non sono stati inclusi nella lista?
Non so per quale motivo non siano inclusi nella lista ma Reince Priebus (Capo Gabinetto della Casa Bianca. N.d.r.) ha affermato che altri paesi potranno essere aggiunti. E’ una mossa molto intelligente, mette sull’avviso presunti alleati degli Stati Uniti come l’Arabia Saudita.
In una recente intervista che ho avuto con Raymond Ibrahim quando gli ho domandato cosa ne pensasse della lunga alleanza tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita mi ha risposto che si tratta di “una alleanza nauseante e scandalosa”. E’ anche la sua opinione?
Sì, assolutamente. I sauditi sono i principali responsabili nell’avere diffuso l’ideologia jihadista in giro per il mondo, in modo particolare in quelle comunità musulmane dove si era sviluppato un Islam culturale che aveva minimizzato il ruolo del jihad. Hanno incendiato il mondo e non sono in alcun modo dei veri alleati degli Stati Uniti.
Lei è uno dei uno dei maggiori esperti di jihad islamica. Quale considera essere il maggiore fallimento delle politiche anti jihadiste degli Stati Uniti fino ad oggi?
Il maggiore fallimento è stato quello di ignorare e negare l’ideologia motivazionale che si trova dietro il terrorismo jihadista. E’ stata una pratica ufficiale dell’Amministrazione Obama rimuovere qualsiasi riferimento all’Islam dai programmi di addestramento contro terroristico. E’ stata una scelta estremamente autolesionista. Non si può sconfiggere un nemico che non si comprende.
Il 15 di febbraio il Primo Ministro di Israele, Benjamin Netanyahu si recherà a Washington per incontrare il presidente Trump nella sua prima visita ufficiale dopo le elezioni. Fin dalla sua nascita, Israele è stato all’avanguardia nel combattere il terrorismo islamico. In che misura, secondo lei, gli Stati Uniti e l’Europa possono beneficiare dell’esperienza israeliana?
Israele possiede senza alcun dubbio una notevole esperienza contro terroristica che può essere di beneficio sia per gli Stati Uniti sia per i paesi europei.
Benjamin Netanyahu è stato un risoluto antagonista dell’accordo sul nucleare con l’Iran voluto dal presidente Obama. Ritiene ancora oggi che si tratti di un pessimo accordo e che ponga una grave minaccia non solo per Israele ma per l’intera ragione. E’ d’accordo? E se sì, per quale motivo?
Sì. Le ragioni per le quali si tratta di un pessimo accordo le ho esposte in dettaglio nel mio libro The Complete Infidel’s Guide to Iran. Quello che l’accordo fa essenzialmente è di dare dopo dieci anni un semaforo verde al programma nucleare iraniano. Le sanzioni che subirà durante questo periodo decennale sono prive di forza. Inoltre, avere levato le sanzioni economiche ha inondato i mullah con miliardi che stanno usando e useranno per la loro rete globale di terrorismo jihadista.
In questi ultimi anni l’IS, il così chiamato califfato, è diventato una specie di uomo nero islamico, al punto che molti pensano che se verrà sconfitto non avremo molto di cui preoccuparci. Anche lei è della mia opinione che questo modo di ragionare sia profondamente illusorio?
Sì, lo è. Il sistema di pensiero dello Stato Islamico è sostenuto da altri musulmani. Sconfiggere lo Stato Islamico è importante, ma non estinguerà l’ideologia che lo sostiene.
Fino a che punto pensa che il diffuso mantra che “L’Islam è una religione di pace” abbia indebolito la percezione occidentale che si tratti di una vera minaccia? E come possiamo spiegare questa minaccia senza mettere tutti i musulmani nella medesima categoria e generare fenomeni di intolleranza?
La falsa affermazione che l’Islam è una religione di pace ha generato noncuranza in merito alla minaccia globale del jihad. Dobbiamo parlare della dottrina islamica, della teologia e della legge islamiche, non dei musulmani in quanto gruppo. Tuttavia, anche quando lo facciamo, veniamo accusati di “islamofobia”, un termine confezionato per intimidire le persone che si oppongono al terrorismo jihadista.
Concludendo un articolo fondamentale pubblicato nel 1976, Bernard Lewis, il decano degli islamologhi occidentali scriveva “Va ricordato che l’Islam non è concepito come una religione nel senso limitato occidentale ma come una comunità, una lealtà, e un modo di vita, e che la comunità islamica si sta ancora riprendendo dall’era traumatica in cui i governi musulmani e gli imperi vennero rovesciati e le genti musulmane vennero costrette con la forza a essere soggette alle regole degli stranieri e degli infedeli. Oggi, sia il popolo del sabato che quello della domenica ne stanno soffrendo le conseguenze“. E’ d’accordo?
Lewis ha completamente ragione. Bisogna notare inoltre che questo “modo di vita” include un sistema politico e che questo sistema politico è autoritario, suprematista, violento e intollerante.