Leggendo l’editoriale di Maurizio Molinari del 02/07/2023, scialbamente intitolato L’Europa, Parigi e una premier che non vuole nemici a destra, si ha la forte impressione di trovarsi di fronte a un direttore di Repubblica decisamente un po’ giù di corda. L’articolo, infatti, è piuttosto subdolo, come si evince fin dall’incipit, che recita: “
Nella Douce France fioriscono i semi dell’odio, coltivati nel fango dell’emarginazione e annaffiati dal mito dell’assimilazione”. Molinari non sbaglia quando definisce “mito” il tentativo di “assimilare” grandi masse di immigrati extraeuropei, ma si premura di sottolineare che i “semi dell’odio” vengono “coltivati nel fango dell’emarginazione”.
Tralasciando le consumate metafore agresti, il celebre direttore ripropone un’antica e rodata menzogna, quella secondo cui gli emarginati magrebini e subsahariani che hanno devastato le periferie delle principali città francesi, altro non sarebbero che i nuovi “umiliati e offesi” che diventano violenti e saccheggiatori (quando non terroristi islamici) a causa di una società che non gli integrerebbe abbastanza.
Per li rami della suddetta premessa discende tutto il restante contenuto dell’articolo, che ripropone la tesi surrealista di una “responsabilità” dei sovranisti, soprattutto di quelli mitteleuropei, nell’assenza di un’adeguata politica europea di gestione e contenimento dei flussi migratori. Molinari sembra voler suggerire che, a causa del pervicace rifiuto di Orban e Morawiecki di accollarsi nuove e sempre maggiori quote di clandestini afro-asiatici (ricordiamo che in questo momento la tanto esecrata Polonia assiste 1,5 milioni profughi ucraini, mentre l’Ungheria ne ospita 300mila), le tensioni saranno destinate a “un’ulteriore radicalizzazione”.
I “sovranisti” sono l’ossessione del direttore di Repubblica, fissazione che condivide con Massimo Giannini e frau Gruber, peccato che non abbiano nulla a che vedere né con la politica europea sugli immigrati, improntata a un’accoglienza indiscriminata e disordinata, né con i recenti scontri nelle periferie francesi. La soluzione ai conflitti a bassa intensità che stanno agitando l’hexagone, ma anche la Svezia, non saranno risolti da un trasferimento di maggiori quote d’immigrati in Ungheria, Polonia o Repubblica Ceca.
Molinari mente, forse neanche sapendo di mentire, quando scrive: “questa insurrezione violenta partita dagli ultimi e dai penultimi, che nasconde una rabbia e un disagio molto più estesi e profondi della reazione all’assassinio di un ragazzo nero da parte della polizia”. Non si accorge di ripetere le fole preferite della peggior sinistra terzomondista e “mélenchoniana” sul “disagio” dei giovani delle periferie (parzialmente attribuito ai sovranisti) e ignora le cause ideologiche, ossia islamiste e anti-occidentali, quando non di vero e proprio razzismo anti-bianchi, delle rivolte.
Già nel marzo del 2005, mentre facinorosi africani incendiavano le banlieue, un gruppo di intellettuali non certo ascrivibili alla temuta “area sovranista”, mi riferisco ad Alain Finkielkraut, Jacques Julliard, Bernard Kouchner, Pierre-André Taguieff, Élie Chouraqui, firmarano un appello contro le i “ratonnades anti-Blancs”, ovvero le spedizioni punitive contro i francesi messe in atto dai magrebini, rilevando come “un certo numero di immigrati sta ricostruendo la propria identità in un odio per gli ebrei e per la Francia, un odio giudeofobico e francofobo”.
Sono decenni che eminenti studiosi francesi, dai già citati Taguieff a Finkielkraut, passando per Bensoussan e Sansal, denunciano il separatismo musulmano d’intere porzioni di repubblica francese, il crescente antisemitismo di matrice islamica, l’israelofobia isterica e fanatica, il rifiuto urlato e sbracato dei “valori occidentali” da parte degli immigrati di terza o quarta generazione. La reazione a questi allarmi, spesso lanciati in solitudine, è stata accolta dai Molinari di turno con accuse di “razzismo” e “islamofobia” – “una parola creata dai fascisti e usata dai codardi per manipolare i cretini” disse il compianto Christopher Hitchens.
Il direttore di Repubblica, così come tutta la schiera di benpensanti che lo approvano, preferisce credere che gli immigrati siano automi privi di qualunque fede e cultura, ammansibili con un po’ di stato sociale e trasferibili qua e là come neutra merce umana. L’immigrazione non sarebbe, dunque, un problema di civiltà, ma solo una questione di numeri risolvibile con dell’ingegneria demografica: nuovi immigrati arrivano in Italia e Francia? Aumentiamo le quote di accoglienza a Budapest e Varsavia. Una soluzione burocratica, persino sovietica nella sua demenzialità.
Durante la tragedia di Chernobyl, quando le radiazioni superarono i livelli massimi di tolleranza, le autorità innalzarono quei livelli, simulando che tutto fosse in ordine. Ecco, le soluzioni generalmente proposte dai “responsabili anti-populisti” sono di questo tenore.
Il modello multiculturale, l’idea di una convivenza armoniosa tra etnie, culture, religioni, è fallito miseramente. Si tratta del più grande crack politico della Sinistra dai tempi della caduta dell’Urss. Non saranno i “ricollocamenti obbligatori” a restituire vitalità a un progetto naufragato tra “No Go Zone”, antisemitismo e violenza urbana. O Molinari finge di non vedere tale fallimento, oppure preferisce non parlarne per non prestare il fianco alla sua bestia nera, “i sovranisti”, preferendo accantonare la verità con un ragionamento in stile “non disturbare Billancourt” di sartriana memoria. Un vero giornalista, però, dovrebbe servire la realtà e non la sua pantomima ideologica.